Era un caldo pomeriggio di primavera del 1988, mia figlia Julie era appena nata. Assaporavo quella gioia, quando un medico mi annunciò che mia figlia era probabilmente affetta da trisomia 21. Mi sentii svenire. Un sentimento di collera mi invase: «Che cosa ho fatto al buon Dio per meritare questo?» La sera la diagnosi era confermata. Prima di uscire dalla stanza, un medico si chinò sulla culla: «Penso che nella tua vita tu sarai molto felice perché hai dei genitori che hanno l’aria di essere in gamba». Queste parole mi erano sembrate ispirate. Hanno avuto, comunque, l’effetto di un elettroshock! Julie aveva bisogno che mia moglie ed io ci occupassimo di lei senza che per questo ci piangessimo addosso.

Mio padre, militare, mi ha trasmesso una «religione da cavaliere», di servizio, a difesa della vedova e dell’orfano. Mi ha insegnato l’attenzione verso gli altri. Tuttavia la mia fede, per molto tempo, è rimasta tiepida, fondata più sulla tradizione che sulla convinzione. Nel 1982 avevo tutto per definirmi felice: una moglie e quattro figli meravigliosi, un buon lavoro… Tuttavia sentivo che in fondo al cuore mi mancava qualcosa.

Come se Dio mi chiamasse ad una missione senza che io potessi sapere quale. Una sera, a Roma, mentre passeggiavamo nei pressi di Castel Sant’Angelo, ne parlai ad un amico sacerdote che mi rispose: «Se Dio ha un progetto su di te, farà in modo di fartelo conoscere!»

Qualche mese più tardi, sono partito con mia moglie per vivere un ritiro spirituale tenuto da Jean Vanier presso il Foyer della carità di Ognissanti. Avevamo vagamente sentito parlare di lui. Al nostro arrivo, ci siamo trovati con persone disabili mentali. La mia prima tentazione era stata la fuga… Temevo di essere maldestro con le mie parole e i miei gesti. Poi, l’esperienza, ha progressivamente trasformato il mio sguardo. Se noi tendiamo loro la mano, loro hanno tanto da insegnarci: a non nascondere, ma ad accettare i nostri «handicap» personali o debolezze per continuare il cammino. Mi resi conto che un handicap non mi impediva di raggiungere una certa felicità! Quella settimana è come se avesse preparato i nostri cuori ad accogliere Julie, nata cinque anni più tardi.

Un anno dopo la sua nascita, mia moglie ed io abbiamo assistito ad una messa animata da Fede e Luce. Abbiamo risposto a questo invito perché conservavamo un commosso ricordo di Jean Vanier, uno dei fondatori del movimento. Rapidamente ci siamo lasciati coinvolgere nell’impegno. Nel 1991, 15.000 persone si erano date appuntamento a Lourdes, per festeggiare i 20 anni del movimento di Fede e Luce. Il sabato santo, mio figlio Olivier mi ha accompagnato davanti alla grotta, in occasione della cerimonia di riconciliazione. Che choc trovarsi alla presenza di migliaia di persone con handicap… Le loro sofferenze, quelle dei loro familiari, mi hanno commosso. Arrivando davanti al sacerdote per confessarmi, solo tre parole hanno potuto uscire dalla mia bocca: “Io ho paura.” E mi sono sciolto in lacrime. Sono andato via, smarrito. Una persona disabile che non conoscevamo, è venuta a cercare Olivier per dirgli: “tuo padre piange.” Mio figlio mi ha ritrovato e mi ha preso per mano. D’un tratto, mi sono sentito più sicuro. È nel profondo della nostra disperazione che Dio ci attende e ci dona grazia, sostegno e conforto. Siamo tutti scelti da Lui, ma dobbiamo esserne consapevoli, accoglierlo e fare un passo verso di Lui.

Da vent’anni, abbiamo fondato il “Granello di senape”, la comunità Fede e Luce di Ville d’Avray. La nostra vocazione è quella di vivere legami di amicizia, di essere “con”, di condividere momenti di preghiera con amici che hanno un handicap mentale e con persone come voi e me. Ho scoperto, in tanti, dei tesori di pazienza e di attenzione. Un giorno ho domandato a Julie: “Sei molto concentrata quando fai la comunione. Cosa succede in quel momento?” Mi ha risposto con grande naturalezza: “Parlo con Gesù. Lui mi dice che mi ama ed io gli rispondo: anch’io.” Le persone con handicap mi colpiscono per la semplicità della loro relazione con Dio. Il loro esempio mi ispira e mi aiuta ad avvicinarmi a Lui. Essi placano anche le relazioni tra gli uomini. Faticano a sopportare le tensioni. Quando c’è una disputa, implorano le persone a “fare pace”.

Oggi, come coordinatore internazionale, sono il portavoce delle comunità di tutto il mondo. In qualunque paese, quando incontro una comunità, è come se fossi a casa mia. D’altra parte, le realtà dell’handicap si differenziano molto da un luogo all’altro. Sono rimasto profondamente colpito dalle famiglie poverissime di Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo. Laggiù l’handicap mentale di un figlio è vissuto dai genitori come doppio castigo, perché, nella sua vita, egli non sarà in grado di lavorare e, dal punto di vista economico, rappresenterà un carico pesante. Ciò che appare meraviglioso, o meglio misterioso, è la gioia di queste famiglie che, nonostante le loro sofferenze, cantano, ballano e conservano una fede molto forte. Come Julie, i disabili ci ricordano l’essenziale: conservare sempre un cuore di fanciullo e dare il primo posto a Dio.

Mi sono recato recentemente in Libano, dove ho ritrovato il coordinatore nazionale della Siria, e tutto ciò che Alaa ha potuto condividere con me, mi ha profondamente commosso; le comunità sono rimaste invariate (38) e non si riuniscono solo una volta al mese, ma… una volta la settimana, talmente è forte per loro il bisogno di comunione e di condivisione che si vive in seno alla comunità. E dove ce ne sono diverse in una stessa città, ci si ritrova tutti insieme, ogni due mesi. A Damasco, a Natale, erano presenti 360 persone!

Sì, questa gioia profonda e contagiosa, che lega e caratterizza i membri delle comunità sparse nel mondo, ha bisogno di esprimersi e talvolta di esplodere, nonostante i pericoli e la paura. È per questo che si è deciso di non chiudere la comunità dell’Arca, presente in Damasco, nonostante la situazione di rischio e di morte, dovuta a una guerra fratricida che dura ormai da tre anni. Ci sono tanti luoghi di conflitto, e la gente cerca luoghi di pace e di gioia.” La nostra missione è quella di celebrare la vita e la gioia, senza lasciarci pietrificare dalla paura”. (Jean Vanier)

Ghislain du Chéné, Coordinatore Internazionale Fede e Luce, Ville d’Avray – Francia

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129

La vocazione di un papà ultima modifica: 2015-03-19T12:45:08+00:00 da Ghislain du Chéné

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