Varie persone chiedono a me e Tommaso di intervenire a convegni e formazioni di catechisti, per dare il nostro “contributo”. Mi domando “quale contributo”?

Rispetto all’inserimento di Caterina in una vita parrocchiale o in un percorso di catechismo, non è cambiato nulla, dopo i nostri interventi come famiglia di una bambina con disabilità.

Da quando Caterina ha fatto la Prima Comunione (ormai circa due anni fa), non c’è stata nessuna “vita parrocchiale” per lei.

Ha partecipato al weekend di fine anno, a cui noi abbiamo fatto in modo che andasse, con una persona conosciuta in “aiuto”. Ma anche dopo un’esperienza come questa, non c’è stato un inserimento, un ritorno da parte di adulti o ragazzi… La presenza di Caterina ha avuto importanza nell’ambito della costruzione di un gruppo attorno a lei che la potesse poi invitare in altre occasioni? Non ci sembra. Peccato!

Non c’è stato un inserimento in alcun gruppo parrocchiale, e nessuno si è premunito di conoscerla affinché questo un giorno possa accadere.

In generale, pensavo con Tommaso in questi ultimi tempi, se non fosse per la scuola, Caterina non avrebbe una vita sociale.

Al di là dei compagni che l’hanno accolta, come sempre in questi lunghi anni di scuola (e lavorando a scuola devo dire di essere soddisfatta del lavoro di inclusione che viene fatto sempre attorno a lei) ma che quest’anno sono tutti ubicati in zone molto lontane, non c’è chi la invita ad andare a feste, cene o altro come le ragazzine della sua età.

Questa è l’attuale situazione della nostra famiglia e non credo solo della nostra.
Caterina passa i suoi weekend tra piscina e parco giochi accompagnata ora da me ora dal papà (la piscina tocca a me, il parco giochi di solito a Tommaso).

Caterina partecipa alle messe della parrocchia, perché io e Tommaso la portiamo con noi, ma senza di noi lei non andrebbe a messa.

Almeno per la nostra parrocchia attualmente la situazione è questa.
Tutte le volte che ho ricevuto inviti a formazione / preparazione / convegni per catechisti, che a mia volta ho inoltrato a tutti i catechisti della mia parrocchia, sul tema della disabilità, non ho riscontrato una grossa partecipazione.

Dunque non rimane che Fede e Luce: qui è vero, finalmente possiamo rilassarci soprattutto durante le funzioni religiose, senza il pericolo di venire osservati per i comportamenti o suoni particolari che “provochiamo”.

Ma a malincuore, essendo dentro Fede e Luce da quasi 40 anni, devo riconoscere che, per quanto ci riguarda, anche Fede e Luce è un po’ latitante con la nostra famiglia .Vuoi perché siamo una famiglia “giovane” (ancora per quanto?), vuoi perché siamo una famiglia “vecchia” di Fede e Luce e ritenuta forte e animata, pochi hanno invitato e invitano Caterina “da sola” a partecipare ad incontri o altro senza di noi, come un momento “sociale” solo suo. Spesso per molte persone stare a Fede e Luce è partecipare ad incontri mensili belli, allegri e spensierati, ma per molte famiglie come noi Fede e Luce è tutti i giorni di tutto l’anno…

40 anni fa la società civile nascondeva le persone disabili o le relegava in scuole speciali, e di fronte al deserto e al buio che c’era nella società civile e religiosa attorno ai ragazzi con disabilità e alle loro famiglie, la “Festa/Casetta” di Fede e Luce, della domenica era un evento incredibile di divertimento e spensieratezza dove finalmente tutti si sentivano accolti.

Ora con la legge 104 e l’integrazione scolastica, la società civile si è dato come dovere quello di includere la disabilità nel mondo “normale”.

Dunque, paradossalmente, i ragazzi con disabilità hanno una vita sociale molto più ricca fuori della Chiesa e dagli incontri di Fede e Luce, almeno fino a quando sono inseriti in una scuola. Con la fine della scuola poi… Si apre un altro capitolo, ma non oso pensarci…

E questo, per chi a Fede e Luce ci è cresciuto, fa un po’ male.

Ma è forse lo spirito di Fede e Luce che dovrebbe penetrare di più nei cuori, e soprattutto nel cuore di chi a Fede e Luce è da anni e riuscire anche a stravolgere l’andamento normale della propria vita familiare andando incontro alle persone e ai ragazzi con disabilità e alle loro famiglie, più che la preoccupazione di organizzare tante cose.

Perché solo così ci si rende conto di quale stravolgimento è per una famiglia la nascita di un bambino con problemi.

Noi genitori di ragazzi (e mi piace pensare anche tanti fratelli e sorelle) mettiamo tutta la nostra energia per dare ai nostri figli una vita dignitosa e felice, ma è la vita sociale che ad un certo punto viene a mancare.

E ci si sente un po soli. Non credo che la situazione della nostra famiglia sia poi così rara, almeno per quanto riguarda il nostro territorio.

Chi è in grado di stare con Caterina a fare una qualunque cosa?

Soltanto con la conoscenza e la frequentazione di un ragazzo con disabilità, e guardando al di là della sua disabilità, si può riuscire a passare del “tempo libero” con lui/lei e scoprire di potersi divertire. Perché anche questi ragazzi hanno desiderio e voglia di stare insieme di incontrare persone e mangiare una pizza in compagnia.

Le occasioni di weekend o di feste in Parrocchia devono essere organizzate e pensate anche e soprattutto per questi ragazzi più ai margini perché potrebbero essere l’unica occasione di vita sociale.

Io credo che le parrocchie, come le scuole, ambienti educativi per grandi e piccoli, conoscendo la situazione delle famiglie del territorio, si dovrebbero porre il problema di cercare le persone con disabilità senza aspettare che queste si presentino da sole, perché magari da sole non riescono ad arrivare.

Ogni persona come singolo e non solo come appartenente a un gruppo, o ad un’associazione, dovrebbe riflettere su questo.

Per la Cresima forse inseriremo Caterina in un percorso personalizzato, dal momento che potrebbe essere l’unico percorso a lei adeguato per prepararsi: questo creerà un po’ di dispiacere nei fratelli che vorrebbero che la sorella seguisse il loro stesso percorso come per la Prima Comunione.

Mi rincuora che comunque la Chiesa si stia muovendo al riguardo. Il problema sono le persone che “non si lasciano muovere”!
Monica Leggeri, Roma – Kimata

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.129

E ci si sente un po’ soli ultima modifica: 2015-03-19T10:55:08+00:00 da Monica Leggeri

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