Attacchi alla dignità della persona

Negli ultimi anni, prima nei salottini degli intellettuali borghesi e poi insinuandosi nell’opinione pubblica, si è diffuso l’ambiguo quesito: “È una vita degna di essere vissuta?” Ci si riferisce specialmente ad esseri umani in stato di vita vegetativa e con patologie degenerative, ma il quesito si sta progressivamente allargando alle persone con disabilità intellettiva considerate gravi, cioè molto dipendenti dagli altri, con poche autonomie e abilità, scarse possibilità di partecipazione e di integrazione. Inoltre, altre persone sono sottoconsiderate, la cui vita viene comunemente ritenuta di minor valore. Ad esempio, i carcerati per gravi reati per cui si invoca la pena di morte; gli immigrati poveri, per i quali, quando affonda il barcone nel Mediterraneo e muoiono annegati, quasi nessuno versa una lacrima. Anche chi si trova nel grembo materno non è considerato pienamente umano e può essere abortito senza ritegno, con particolare accanimento verso il feto presunto malformato, il cui aborto è giustificato con terribile pietismo persino da sostenitori di movimenti per la vita.

Potremmo citare molti casi di cronaca a conferma di questo andazzo, mentre molti drammi, molti attentati contro la vita avvengono nell’anonimato.

Il caso recente più clamoroso e molto politicizzato di attacco alla vita e alla dignità della persona è stato quello di Eluana, in cosiddetto stato di vita vegetativa persistente. Il padre si è arrogato il diritto di decidere di farla morire, contro anche il parere delle suore che la seguivano da tanti anni, lo Stato gli ha permesso di compiere que DOSSIER ha dirittura considerato il suo come un atto di amore e di rispetto delle presunte volontà pregresse della figlia. Alimentazione e idratazione non sono però terapie, sono necessità primarie dell’essere umano. Inoltre, il linguaggio ha mostrato tutta la sua falsità: Eluana non era un vegetale, ma una disabile gravissima, cioè in stato di eteronomia totale, di totale dipendenza dagli altri. Mangiare e bere non erano per lei terapia, ma necessità primaria. Occorre cambiare il linguaggio, anche quello medico, se distorce la realtà, se impedisce il riconoscimento dell’umanità dell’essere umano. Gli schemi mentali possono stravolgere la realtà, farci vedere ciò che non è. C’è stato un medico che ha dichiarato che Eluana “è già morta da 17 anni” quando era ancora viva; anche il medico non vuole più riconoscere colui che ha di fronte, il suo pensiero prevale sulla realtà, ciò che dovrebbe essere palese non lo è più.

Cultura di morte

Quale cultura sottende a queste rinnovate tendenze eugenetiche? Giovanni Paolo II l’ha chiamata cultura di morte. E’ un mix di relativismo, funzionalismo e individualismo. Il relativismo ha pronunciato la parola fine sui valori universali, sui quali si fondava anche il diritto degli Stati, e dunque non c’è più vero e falso, bene e male, giusto e sbagliato, tutto è rinegoziabile continuamente, si decide in base agli interessi dei più forti di turno, anche la dignità dell’essere umano può in diversi casi essere messa in discussione, adducendo varie ragioni, introducendo Pa nismo, che ha tolto di mezzo Dio e ha dato il via al prevalere del pensiero sulla realtà, al mettere sempre tutto in discussione, favorendo la superficialità, andando all’opposto del vero spirito critico che è proprio la coltivazione della ricerca del riconoscimento del vero e del falso, del discernimento del bene e del male. Assistiamo così alla crisi della morale e conseguentemente alla crisi dell’educazione, con inevitabili tremenda deresponsabilizzazione etica e nefasto oblio della pedagogia.

Il funzionalismo di matrice economica sostiene che un umano vale se ha certi requisiti, se no è da considerare zavorra della società e dello Stato. Introduce la micidiale distinzione tra essere umano e persona: non tutti gli esseri umani sono considerabili persone. La persona umana deve avere determinate caratteristiche, se no non può entrare nella schiera di coloro che hanno dignità e diritto alla vita. Ma chi stabilisce queste caratteristiche? Chi può modificarle? Chi decide? Su quali basi? E chi non è considerabile persona, che fine fa? Viene emarginato? Ghettizzato? Eliminato? A rischio i vecchi in stato di cosiddetta decadenza psicofisica, che diventano un peso e un costo, non servono più neppure per fare i nonni, non sono più funzionali al sistema economico e produttivo. I disabili mentali dalla nascita non lo sono mai stati, quando sono molto limitati e non integrabili sono considerati dei poverini senza speranza e con miserabile vita. Se si può è meglio che non vengano al mondo, sono un costo pesante per la collettività, impediscono la realizzazione individuale dei loro congiunti, la loro vita è p ) Difendere la fragilità di ognuno L’individualismo, i. dal motto “l’individuo e i suoi bisogni” tanto in voga nella seconda parte del ventesimo secolo e in questo primo scorcio del terzo millennio, sancisce una posizione dalle conseguenze comunitarie e sociali disastrose: l’altro è meramente un mezzo per la mia realizzazione individuale. Io sono al centro dell’universo, gli altri ruotano intorno e vanno bene finché mi servono, quando non servono più: via. Non c’è più fedeltà alla comunità, ma solo a se stessi e questo spiega, ad esempio, la devastante crisi della coppia e della famiglia. Connessi all’individualismo sono il narcisismo, l’edonismo, il consumismo, il carrierismo, il razzismo. Distruttive sono pure le conseguenze personali: la solitudine dilaga e insieme ad essa l’angoscia, la depressione, la disperazione.

La relazione educativa di aiuto

Che fare? È necessario almeno tentare di rimettere delle fondamenta solide al vivere comunitario, alla società. E il primo punto ineludibile è certamente e inderogabilmente il rispetto della dignità dell’essere umano sempre, in ogni età e condizione della vita, dal concepimento alla morte naturale, senza se e senza ma, senza pietismo e senza rassegnazione. Se no, quali basi? Quale tutela? Quali garanzie? Quali diritti?A chi spetta la decisione di chi vale e chi no? Chi deve vivere e chi deve morire? Il pericolo di ripercorrere in modo nuovo le strade letali dei totalitarismi del secolo scorso, nazismo e comunismo, non è così remoto come sostiene qualche personaggio superficiale di certe insulse correnti culturali.
politici. Ma non basta. Non bastano le affermazioni di principio, destinate a rimanere dichiarazioni d’intenti. L’impegno culturale e politico, il riaffermare con decisione una visione della vita e dell’uomo è condizione necessaria ma non sufficiente per salvaguardare la dignità della persona umana sempre.

Necessita contribuire pure a favorire il riconoscimento del valore di ogni essere umano. Come? Attraverso un accompagnamento dell’essere umano contraddistinto dalla relazione educativa di aiuto. Non basta l’aiuto come risposta alle necessità primarie: alimentazione e idratazione, salute, igiene, protezione, riposo, addestramento nei limiti delle possibilità; tutto ciò corrisponde alla dimensione assistenziale, alla cosiddetta erogazione delle prestazioni assistenziali, così tanto considerata dal legislatore, ma riduttivo approccio nell’accompagnamento della persona umana. Se ci si riducesse a ciò, ci troveremmo di fronte a quello che ho chiamato neo-assistenzialismo, la mera assistenza infarcita di un po’ di cure sanitarie. Questa sembra la rattristante tendenza legislativa di questi ultimi anni, ad esempio, dei servizi per disabili, con una residenzialità che rischia di diventare cronicario, altro che prima casa per coloro che non hanno più o non possono più essere seguiti dai genitori.

Non basta nemmeno passare dalla cura al prendersi cura, cioè a rinforzare l’aiuto con la pur lodevole volontà del prendersi a cuore attraverso una relazione interpersonale affettivamente significativa. È un passo avanti rispetto alla semplice assistenza, ma ancora non ci siamo.

Ci vuole l’accompagnamento educativo, intendendo l’educazione nella sua triplice e sinergica accezione: ingegnarsi continuamente per costruire contesti di accoglienza in cui la persona si senta accolta, scoprire e supportare il potenziale personale per quanto possibile, motorio, relazionale, affettivo, comunicativo, cognitivo, morale, tenendo ben presente che autonomie e abilità, ad esempio, non sono un fine, ma un mezzo, quando possibile, per contribuire alla realizzazione personale; integrazione, ma intesa come mettere al centro la persona, in una logica ed esperienza di condivisone e di comunione.

Ci vogliono dunque l’approccio educativo e la relativa riflessione pedagogica nell’accompagnamento delle persone che hanno necessità di essere accompagnate nel cammino della vita, temporaneamente o permanentemente, parzialmente o totalmente, in tutte le età e condizioni della vita, a garanzia del progetto di vita personale, della dinamica promozione integrale della persona, per il bene comune, di tutti e di ciascuno, di sostanziale serenità personale e comunitaria, di speranza personale e comunitaria, di significato e senso dell’esistenza.

La comunità educativa, luogo della festa e del perdono, che quando uno la frequenta esclama “Che bello!”, che quando si entra e si incontrano le persone, nasce dentro di sé un sentimento di gioia, che genera meraviglia nel vedere e nel comprendere la bellezza delle relazioni che fanno riconoscere meglio, fanno scoprire, al di là delle apparenze e degli stereotipi, la bellezza delle persone, quella vera, in cui ci si aiuta, ci si sostiene, ci si vuole bene, si ama e si è amati, si cercano e si trovano le soluzioni ai problemi, alle incomprensioni, ai conflitti, in cui si coglie e si coltiva la progettualità di ognuno e della comunità stessa, permette di riconoscere la dignità della persona umana.

Vittore Mariani

docente di Pedagogia speciale Università Cattolica Milano

Bibliografia essenziale
(per opportuni e possibili approfondimenti)
AA.VV., Dignità e diritti delle persone con handicap mentale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2007.
L. Bianchini — V. Mariani — A. Valentini, La persona disabile: dignità e promozione integrale, Nuove Frontiere, Roma, 2009.
M. Cairo — V. Mariani — R. Zoni Confalonieri, Disabilità ed età adulta. Qualità della vita e progettualità pedagogica, Vita e Pensiero, Milano, 2010.
V. Mariani (a cura di), La relazione educati va di aiuto nelle diverse condizioni ed età della vita, Edizioni del Cerro, Tirrenia(Pi), 2005.
J. Vanier, La comunità. Luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano, 1991.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.115

Per il rispetto della persona, sempre ultima modifica: 2011-09-04T20:07:14+00:00 da Vittore Mariani

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