“Il mio compito è annunciare il Vangelo a tutti”.

Don Luigi D’Errico, parroco dei SS. Martiri dell’Uganda ha esordito così quando abbiamo sottolineato la differenza tra la disponibilità ad accogliere tutti e l’impegno ad andarseli a cercare proprio “tutti”, soprattutto i più fragili, così come ha fatto lui. Ha poi proseguito: “Gesù dice che dove c’è il povero c’è Dio. Non posso non andare a cercarlo e non impegnarmi per raggiungerlo. Sarà poi la persona a decidere se accettare l’invito o meno.

Se l’invito non è per tutti non saremmo più Chiesa cattolica, davvero universale. Le parrocchie dovrebbero accogliere ogni persona, senza alcun filtro: se il filtro c’è, bisogna accorgersene ed essere consapevoli che qualcosa non va”.

Alla nostra domanda, come sono entrate le persone disabili nella sua vocazione sacerdotale, don Luigi ha detto che la sua vocazione è nata proprio dal suo impegno con le persone in difficoltà. Chi ha maturato la propria vocazione sacerdotale scoprendo Gesù che gli parlava dell’emarginato, non poteva non accorgersi dell’assenza nelle parrocchie delle persone e dei bambini portatori di handicap.

Forse l’esperienza di servizio presso la comunità di Sant’Egidio, da parte del parroco o la presenza di un fratellino disabile nel caso del vice parroco don Davide Lees, hanno rappresentato una marcia in più per l’operosità di questa parrocchia nel campo dell’accoglienza delle persone disabili.

Qui è stata fatta un’intensa attività per raggiungere quante più famiglie possibile, cercando di far arrivare a tutti l’informazione che in parrocchia qualcuno aspettava tutti, anche le famiglie con i loro figli disabili.

Hanno cercato ragazzi di ogni età per coinvolgerli nei gruppi già presenti. I bambini e i ragazzi che frequentano il catechismo nella parrocchia ora sono quasi 500; di questi circa 15 hanno una disabilità di varia natura e le classi in cui sono inseriti, sono “potenziate” con un maggiore numero di adulti di riferimento.

Dice ancora don Luigi: “Le famiglie rispondono in tanti modi diversi. Qualche genitore è arrivato cercando un’attività da svolgere per il proprio figlio, senza l’idea precisa di mandarlo in chiesa. Un genitore, ancora troppo arrabbiato e con poca voglia di essere coinvolto, è arrivato lo stesso, trascinato dal proprio figlio gravemente disabile e innamorato del canto che sentiva durante la messa. Altri invece si vergognano e mandano il figlio solo se qualcuno va a prenderlo a casa.

È poi la comunità intera che deve imparare ad accogliere: è infatti la comunità ad essere radicata nel territorio, non il parroco che ha un mandato limitato nel tempo. Le prime volte, durante le celebrazioni possono presentarsi degli inconvenienti: scatti di ilarità nei bambini, gaffe più o meno gravi dei sacerdoti, difficoltà degli altri genitori… Man mano, con l’abitudine e la conoscenza, questi vanno attenuandosi e scompaiono, soprattutto se si riesce a far partecipare i ragazzi sempre alla stessa messa. Conta moltissimo per l’assemblea come si pone il sacerdote e che disagio mostra di fronte a certe manifestazioni… Ci sono voluti circa due anni, affinché tutti si abituassero, ma ci siamo riusciti. Così anche le grida di una ragazzina autistica adesso sono accolte e comprese come di gioia e di riconoscimento. E il sorriso del bambino che ama il canto è il più bello… sono i bambini stessi che lo prendono e lo portano alle prime file.

“Probabilmente”, dice don Davide, “non ricorderanno molto degli insegnamenti loro impartiti sul catechismo… ma per tutta la vita, sono sicuro, non dimenticheranno l’incontro e lo stare insieme ad un compagno portatore di handicap.”
“In questo senso,” riprende don Luigi, “anche i vertici della Chiesa hanno un compito preciso nel dare messaggi e indicazioni precise sulla strada da percorrere e rendersi conto ad esempio che mancano davvero in tanti all’appello dell’iniziazione cristiana.

Basterebbe incrociare il dato dei sacramenti impartiti con quello dei portatori di handicap che frequentano la scuola, che ancora intercetta praticamente tutti, rendersi conto che, i numeri, seppure ridotti da quanti non sono cristiani, indicano l’assenza di tanti, forse troppi, e provare ad affrontare il tema anche nella formazione in seminario.”

a cura di Cristina Tersigni e Rita Massi, 2013

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.121

Qualcuno aspetta ultima modifica: 2013-03-10T15:30:04+00:00 da Redazione

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