Paolo

A nove anni Paolo non parla e, ne sono certa, non parlerà mai, anche se spesso sentiamo il suono della sua voce.
Le parole non hanno senso per lui come le immagini e le figure. Sembra non avere alcun accesso ai modi della comunicazione, all’astrazione e quindi nessuna previsione degli avvenimenti.
Tuttavia, con molto lavoro e molta energia, riusciamo a stabilire qualche automatismo di autonomia, qualche stimolo verbale… enormi vittorie!
Ha bisogno di un aiuto continuo, di una sorveglianza costante perché combina molte sciocchezze. È affascinato dall’acqua, per esempio; salta, corre, scappa da tutte le parti. Non sa giocare, ma gli piace guardare oggetti luminosi e sonori, i cartoni animati.

Nonostante ciò, comunichiamo molto con Paolo. Va pazzo per la musica, riprende le melodie. Quando lo tocchiamo, ci da la mano da accarezzare, ci stringe il braccio e pizzica la pelle delle mani. È sorridente ed il suo sorriso è comunicativo. Facilmente si capisce che è contento. Vocalizza. È curioso. Ha un’energia incredibile. Paolo, in generale, ha l’aria felice, tranne quando manifesta dell’angoscia: allora si morde e si tira i capelli. Di natura è timoroso e non ha mai l’idea di disturbare nessuno.

È molto sensibile al modo con cui si entra in contatto con lui. La sua indifferenza apparente può intimidire e far credere che non desidera essere avvicinato. Ma se ci si occupa di lui senza cercare di attirare il suo sguardo, senza lasciargli il tempo di toccarci, senza cantare o parlare, soffre molto di solitudine: è sul punto di piangere. Alcuni sono più portati ad andare verso di lui, anche a costo di dargli fastidio con gentilezza, a farsi in quattro per ottenere uno sguardo, un sorriso. Tutti quelli che se ne occupano in questo modo, rimangono segnati per un bel po’ di tempo…

Che cosa ci si può aspettare da lui?

Mi sono fatta a lungo la domanda sul senso della vita di Paolo. Ha un senso per me perché mi fa crescere in un cammino difficile ma ricco di umanità. Ma la vita di qualcuno ha senso solo perché serve agli altri? Paolo non è un “bambino-medicina” voluto da Dio per la nostra salvezza. Allora qual è il senso della vita di Paolo per se stesso? A quale cammino è chiamato?
Paolo sente che gli vogliamo bene, penso, ma come può lui amare? Essendo docile come un animale? Le sue reazioni sono così legate alla ricerca di conforto. È buono se è in forma. È infernale se qualcuno non va. Non ho mai visto in lui un gesto di compassione o di comprensione dell’altro. È uno dei tratti maggiori dell’autismo. Tutto gira attorno a lui e qualche volta ho l’impressione di essere la sua schiava quando mi obbliga a farmi alzare 10 volte per notte senza aver l’aria di capire che mi fa soffrire.

Come portarlo allora su un cammino di carità? È impossibile, perché questa parola non ha senso per lui e questa realtà è assorbita senza mai essere restituita o invitata. Davvero non si può chiedere niente da questo lato.

Come nutrire la sua vita interiore?

Come si può pregare senza linguaggio? Come avere accesso alla Parola di Dio senza capire né parole né immagini?
Niente mi da più fastidio di chi, perché Paolo ha sorriso durante un canto, vuol credere che egli ha degli slanci mistici!
No, ha sorriso ad un aria che conosce o a un suono particolare.
Ed è anche vero che è commovente vederlo sorridere qualche volta quando si canta un’Ave Maria, senza dubbio perché questo gli ricorda un momento felice.
Perché non ammettere la realtà terribile del suo handicap che lo taglia fuori da ciò che ha la grandezza dell’uomo nella sua capacità di essere caritatevole, così come nella ricerca di Dio? Ammesso che non può averne parte né coscienza di ciò che perde, la sua vita avrebbe meno valore di un’altra? Sarebbe la sua vita meno cara a Dio di quella di un santo?

A che pro?

Abbiamo da tempo rinunciato a portare Paolo alla messa. Non senza sensi di colpa. È da dire che non si comporta assolutamente come si conviene: ha senso andare a bere nell’acquasantiera, correre senza tregua, gridare perché provoca risonanza, andare a mangiare i pasticcini dell’aperitivo nascosti nel confessionale? Senza contare che non manifesta alcun interesse per quello che succede durante la messa. La sua presenza impedisce a tutti di pregare.
Bisognerebbe certo che la parrocchia lo conoscesse meglio per accettarlo, ma noi genitori, siamo stanchi di spiegare, di giustificare il suo comportamento, di continuare a sostenere questa lotta.

Poi, confesso, che la presenza di Paolo alla messa è troppo commovente per me. Ci va con gli amici di “A braccia aperte” e per gli incontri di Fede e Luce. A casa, la presenza di Paolo è esclusa da quel momento che cerchiamo di fare per una preghiera famigliare. È già una sfida con i piccoli (ma pare lo sia anche con i grandi!) allora con Paolo in mezzo, tutto va a rotoli. Spesso però metto un cd con dei bei canti nella sua stanza e cantiamo con chi c’è. Durante gli incontri di Fede e Luce, mi piace molto il momento della preghiera, un momento di raccoglimento in cui gli altri si occupano dei miei figli piccoli ed io tengo Paolo seduto fra le gambe. È un po’ sportivo ma è breve, molto semplice e si è tutti insieme.

L’ammissione ai sacramenti

Paolo è battezzato e a meno di credere che è un essere pieno di Dio per il miracolo del suo handicap(!), perché non potrebbe fare la Prima Comunione? La scusa di dire che non capisce niente di ciò che fa, che non capirà mai niente malgrado i nostri sforzi, è sufficiente per rifiutargliela?
Dopo tutto Dio non è un concetto ma una persona e quindi mi pare che la comunione sia proprio il solo mezzo non perché capisca ma perché egli incontri il Cristo.
Che cosa pensare di cosa mi ha detto un giorno un sacerdote e che per altro mi aveva sollevata: “Dio non ha bisogno di sacramenti per incontrare chi vuole. Egli agisce come gli pare molto al di là dei sacramenti”.

Ma oggi la questione della comunione mi assilla. Sarebbe una mancanza di fede nella capacità di Dio a incontrare Paolo? Un altro prete mi ha detto: “Se fa la Prima Comunione, poi dovrà comunicarsi spesso!”. Perché dal momento che non pecca? Una sola comunione non potrebbe nutrire tutta la sua vita? Oppure una volta l’anno, a Pasqua per esempio?
Infine, perché aspettare la Cresima? Non ha lui più bisogno degli altri, dello Spirito Santo per crescere? Questo sacramento che ci manda nella vita come testimoni di Cristo non ha senso per un bambino come Paolo? Perché gli ortodossi danno questi sacramenti insieme e perché è così complicato da fare per i bambini handicappati nella Chiesa cattolica?

di Maria Amelia, mamma di Paolo

Articolo tradotto da Ombres et Lumière, n. 172

Che senso ha la vita di Paolo? ultima modifica: 2010-03-29T11:12:23+00:00 da Redazione

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