Roberto ha 40 anni, vive a Roma con la madre. Il padre è mancato da qualche anno. Ha due so-relle sposate.
Lavora da diversi anni in una ditta che fornisce il servizio di mensa a diverse pubbliche amministrazioni e grosse aziende private. Si alza tutti i giorni molto presto, e per raggiungere il lavoro deve prendere due autobus e la metropolitana.
Lo incontro in un pomeriggio di una bella giornata di festa in occasione del matrimonio di due amici del gruppo. In una stanza riparata dalla festosa allegria degli altri. Roberto racconta del suo lavoro.
Non so cosa è possibile trarre dalle sue risposte una volta trascritte. Sicuramente meno di quanto è stato possibile capire ascoltandolo rispondere con voce sempre tranquilla e quasi dimessa, ma piena di sfumature e intonazioni tanto più eloquenti perché espressione di una autenticità innata, che arricchivano il racconto di tutto quello che le parole potevano solo sottointendere.
Ma, soprattutto, occorrerebbe potere vedere Roberto tornare a casa stanco la sera avendo compiuto il suo faticoso lavoro, di certo senza aver mai seriamente pensato di poter sottrarsi ad esso.
Il suo atteggiamento di accettazione incondizionata e serena di questa che rimane comunque una realtà bella ma dura della nostra vita, credo sia in primo luogo una vera lezione per tutti quelli che l’hanno potuto conoscere.

Che scuola hai fatto Roberto?
Fino alla V. elementare. Poi ho fatto la terza media.
Come hai ottenuto il lavoro che hai adesso?
Come invalido civile.
E’ stato difficile averlo?
No, ho aspettato fino a che mi hanno chiamato. Andavo tutti i mercoledì a timbrare il cartellino..
Sei stato contento quando ti hanno detto che avevi il lavoro?
Si, contentissimo.
Puoi descrivermi un po’il tuo lavoro?
Lavoro alla mensa, dove si portano via i vassoi…dove si portano i vassoi a spasso, insomma un selfservice.
E tu che cosa fai di preciso sul lavoro?
Appena arrivo la mattina, metto i tovaglioli sulla sbarra di vetro. Metto tre file di tovaglioli, prima metto una fila, poi ne metto due, sopra poi ne metto un’altra. Dall’altra parte uguale.
Poi vado a mettere le oliere sui tavoli, sulla mensa. Da là finisco verso le 11. Poi faccio colazione.
Dopo colazione?
Scendo giù alle lavastoviglie. Lì, comincio a mettere i piatti in macchina…fin verso le 2. Poi vado a scaricare i carrelli. Ne scarico uno, poi vado a scaricare la mondezza. Alle 3 ho finito, mi levo i vestiti del lavoro, mi metto quelli che ci sono venuto a lavorare e me ne vado a casa.
Che vestito hai per lavorare?
Una giacca, una maglietta, un paio di calzoni e il cappello.
Ti fa piacere metterla?
Si, mi fa piacere, così non mi sporco tanto. Mi si sporca solo la maglietta bianca e la parannanza.
Chi viene a mangiare alla mensa?
Quelli dell’Enel.
Hai qualche rapporto con loro?
No, non ci parlo mai, perché sto sempre di sotto. Li vedo solo quando vengono a mangiare. Conosco solo le guardie, là all’Enel.
Ti salutano e tu che cosa gli dici?
Gli dico buongiorno, buonasera e me ne vado.
Come ti trovi con i tuoi colleghi di lavoro?
Bene.
Hai qualche amico fra loro?
Si. ce ne ho tanti…ah, il Toscano!
E perché è amico tuo?
– Perché ci scherzo sempre. Quando sto a fà qualcosa, mi fa il solletico. Poi glielo rifaccio, e lui lo rifà a me, ed io lo rifaccio a lui, e poi la moglie baccaglia… .
E gli altri compagni di lavoro ti hanno mai preso un pò in giro?
Si. Qualcuno.
Cosa ti dicono?
Che mi devo sbrigare.
E tu?
Che se vado con calma le faccio le cose. Perché svelto non ci riesco, se no mi casca tutto dalle mani. Non ci so andare svelto.
Quando i tuoi compagni di lavoro fanno così, li trovi antipatici?
Eh, un pochetto.
Per te il lavoro complessivamente è una cosa bella o una cosa che bisogna fare per vivere?
– No, a me mi piace di lavorare. Senza lavoro non ci so stare, perché se no mi addormento senza far niente. E poi ’ndo vado, che sto solo a casa e non c’ho nessun amico.
Ti ricordi qualche episodio divertente sul lavoro?
Mi cascano i bicchieri di plastica per terra e non si rompono e poi ce li rimetto. Tante volte devo fare il formaggio verso le 11 e poi mi scordo tutto quanto: di mettere i cucchiaini, di metter l’olio.
Qual’è la cosa più bella del tuo lavoro?
La cosa più bella io non lo so.
E la cosa più brutta?
Che il direttore viè una volta a settimana.
Ti piacerebbe fare un altro lavoro?
Sì, il lavaggio delle macchine.
Ti piacerebbe tutto il giorno lavare le macchine?
Sì. Quando piove si sta a casa, invece lì alla mensa si lavora pure mentre piove. E non si vede l’acqua che viene giù.
Ti capita di stare a casa perché stai male?
Sì, mi è capitato.
E ti piace?
Il primo giorno mi piace. Il secondo già m’annoio.
C’è stato un periodo in cui lavorare era diventato per te un grosso problema, che ti alzavi la mattina e pensavi: oddio, devo andare a lavorare?
Tutti i giorni.
Insomma il lavoro in parte è una cosa bella in parte una cosa dura…?
E’ durissimo, è.
Però nonostante questo ti piace…
Sì, perché mi stanca.
Per te è bello stancarti…
Sì, invece a casa che faccio? Mi annoio solo. E non faccio niente.

Francesco Bertolini, 1991

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.34, 1991

Sommario
Lavorare con gli altri di Mariangela Bertolini
In fabbrica è una bella fatica di Lucia Cesarini
Meglio stanco che annoiato di Francesco Bertolini
Il più popolare al velodromo di Rino Perozzi
Sergio è un buon giardiniere di Nicole Schulthes
Oggi è dei nostri da O. et L. n.93
È sempre disponibile di Nicole Schulthes
Centro di Formazione Professionale Primavalle: un territorio, molti progetti di Natalia Livi

Rubriche

Dialogo aperto
Vita Fede e Luce - Che settimana! di S. Sciascia

Libri

Educare al servizio di Carlo Maria Martini
Storia di un filo d'erba di M. Bettassa

Meglio stanco che annoiato ultima modifica: 1991-06-21T10:53:30+00:00 da Redazione

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