Non me ne sono più andato

Sono stato chiamato a Fede e Luce nel dicembre 1982. La responsabile del gruppo è venuta a trovarmi e ha detto: «C’è un gruppo di amici che si riunisce. Domenica facciamo festa. Se vuoi venire…» Io non avevo impegni e sono andato. Non mi sono più tolto.
Perché sono andato? Per fare una prova, perché era un’occasione di stare insieme e fare un po’ di festa. Perché rimango? Perché a Fede e Luce mi sento realizzato, sento che sono accettato e ho anche imparato ad accettare gli altri. Per esempio io non vedo e ho difficoltà a portare la carrozzella di un ragazzo, ma posso portargli un po’ di amicizia parlandoci assieme, facendogli capire che non è solo.

di Massimo, comunità di San Domenico Savio, (Cuneo), 1986

 

Una grande profezia

Sono Marco di Milano, a Fede e Luce da tre anni. Ci sono arrivato anche perché seminarista, il che può avere un peso in parte negativo. Infatti credo che ci sia il rischio, quando si inventano le relazioni tra noi, di rinchiuderle in ruoli. Il ruolo del seminarista o del «finto prete» è richiesto; la fatica è costruire rapporti che vadano al di là dei ruoli che ci chiedono.

Nella sostanza Fede e Luce è per la maggior parte di noi un cammino di fede; si tratta di seguire il Signore che prende questa forma, inventare questa relazione tra noi.
Secondo un’immagine abbastanza comune e paradossale possiamo dire che il seminarista è quello che studia Dio, ammesso che sia possibile. Credo che il cammino di fede, mio come di altri è stato incontrare non il Dio dei libri, ma il Dio che è vicino al povero, il Dio che è dedizione a ogni uomo e a ogni piccolo: e questo non è poco, anzi è tutto.
Credo che per fare una scoperta del genere sia necessario uscire dai ruoli. Infatti dovendo parlare, come mi hanno chiesto, da seminarista faccio un po’ di fatica. Credo che questa immagine di Dio, che da Dio dei libri, passando attraverso Fede e Luce, diventa un Dio incontrato, sia importantissima per chi come me domani sarà prete.

Un’altra cosa un po’ spiacevole per me è stata vedere incomprensioni, chiusure, lentezze di alcuni uomini di chiesa. Questo fa riflettere molto, credo anche che purifichi in parte la fede, soprattutto quando ci si accorge che l’immagine di Dio che veniva fuori attraverso queste mediazioni, queste figure di preti, era di un Dio un po’ lontano, un Dio dei libri. Allora mi accorgo come il cammino fatto sia per me preziosissimo perché mi ha dato la possibilità reale di incontrare il Dio dei piccoli. Credo che questo camminare insieme con Fede e Luce apra per il futuro la possibilità grandissima a noi che siamo chiesa di dare volto e voce al Dio della tenerezza.
Credo che il volto di questo Dio sia un volto di dedizione senza condizioni a ogni piccolo. Questo dà a me come a Fede e Luce una grande responsabilità, la responsabilità di chi ha incontrato questo Dio. Questo significa per noi la responsabilità di una grande profezia, di chi può porre nella storia quel segno della dedizione incondizionata di Dio all’uomo che è Gesù.

di Marco Bove, 1986

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Una grande profezia ultima modifica: 1986-06-22T12:11:04+00:00 da Redazione

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