Per più di 30 anni ha rivestito i vari ruoli delle responsabilità a Fede e Luce come cooordinatore di comunità di Regione e Nazionale. Vive a Fidenza, non lontano da Parma; fa parte del Sicomoro, comunità nata nel 1993, a seguito della moltiplicazione di Condivisione ed entrambe le comunità appartengono alla provincia Fede e Luce di Kimata. Al termine del suo mandato condivide con noi parte di un grandissimo patrimonio di esperienza e di impegno nel mondo associativo.

Dove comincia la tua storia?
Ho studiato a Parma e a Milano, dove mi sono laureata in Lingue. Desideravo insegnare la lingua Francese, ma il mio ingresso nella scuola media coincideva con i primi inserimenti di ragazzi disabili nella scuola pubblica; poi, in base alla legge n. 517 del 1977, si prevedevano per loro interventi di integrazione e di sostegno. La scuola, di fatto, non era pronta a questo compito, mancavano spazi, strumenti e competenze.

Su invito del dirigente scolastico frequentai un corso di specializzazione biennale per una preparazione più adeguata ad accompagnare i ragazzi con disabilità e favorire il loro percorso di integrazione e di apprendimento. Così, ho continuato ad impegnarmi in questo ambito lavorativo, cercando di sensibilizzare i colleghi, di aiutare gli altri insegnanti di sostegno presenti nella scuola, chiedendo la collaborazione del Comune per dotarci di testi e strumenti adeguati e collaborando con l’ASL. Ricordo che si creò una rete di buone relazioni tra Scuola, Comune, Asl e Caritas che, nel tempo, portò frutti significativi per il nostro territorio.

Quando e come hai conosciuto Fede e Luce? Che cosa ti ha spinto a fermarti, e poi ad impegnarti, in quella comunità?
Nel 1975, presso la mia parrocchia, era nato il gruppo Condivisione, grazie al parroco, attento alle tante famiglie che allora vivevano la loro situazione di disabilità in una condizione di solitudine ed emarginazione sociale.
Poi, nel 1979, capitò provvidenzialmente in parrocchia don Francesco Marchini di Parma, in quegli anni assistente nazionale di Fede e Luce; insieme a Lucetta Battilani ci introdusse con pazienza e disponibilità nella realtà del movimento e così iniziai a partecipare con amici ad alcune feste della comunità SS. Innocenti di Parma.
In seguito, nel 1980, per alcuni di noi si presentò l’occasione di recarci ad Assisi e di partecipare ad una conferenza tenuta da Jean Vanier che così si esprimeva:
“Ciascuno di noi è prezioso ai Suoi occhi, è amato ed accompagnato nonostante la sua storia, malgrado i suoi limiti e fragilità… Un amore sincero e profondo, unito a pazienza e competenza, può gradualmente liberare le potenzialità nascoste in ciascuno di noi, anche in chi è stato seriamente compromesso dalla sua storia di disabilità ed emarginazione”.

E ancora: “La ferita o fragilità non impedisce di vivere la gioia e la festa, anzi la Sua presenza in noi, la favoriscono, rendendola più vera!”.
Queste erano parole nuove e forti, tanto che, alcuni mesi dopo, durante l’estate, non esitai a recarmi a Trosly, dove rimasi circa un mese per conoscere meglio la realtà dell’Arca e la spiritualità del movimento. Tornai a casa convinta di aver trovato ciò che cercavo.
Nel 1981 ero pronta a partecipare con un gruppetto di Condivisione al pellegrinaggio di Lourdes, ed eravamo contenti di incontrare la grande e bella famiglia di Fede e Luce. Tornata, mantenevo i contatti con Parma, con Mariangela e Valeria mentre la comunità di Fidenza cresceva.

Nel 1989, durante un incontro della regione Emilia/Veneto mi fu chiesto di accompagnare e rappresentare la nostra regione nel Consiglio Nazionale.
Di questo periodo, come non ricordare il viaggio di Lucia, Luciano e Lucetta che andavano a far visita a Don Lucio ad Avenza, desideroso di avviare una comunità di Fede e Luce dopo l’incontro con Jean Vanier, avvenuto a Piacenza nel 1991. Tanta luce non poteva non avere un esito positivo!
In seguito, negli anni 1995/98, sono stata Coordinatrice nazionale, poi, dal 1998 al 2008, coordinatrice della Zona Alpi-Danubio infine, dal 2008 al 2018, Vice-coordinatrice internazionale.

Ci spieghi cosa è chiamato a fare un vice coordinatore internazionale? Come “lavora” e perché è importante un consiglio internazionale?
Come coordinatrice di Zona, il mio compito era quello di gestire l’elezione e di accompagnare il cammino dei responsabili e delle equipe dei Paesi e in seguito delle Province a me affidate, di indicare le linee guida previste dal Consiglio internazionale, di suggerire possibili collaborazioni, di aiutare a superare divergenze là dove, per esempio, la presenza di etnie diverse, generava nei Paesi difficoltà di relazione a causa di un passato appesantito da conflitti, da incomprensioni e da rancori non ancora superati, soprattutto tra gli anziani… Certo, ho vissuto un ruolo talvolta delicato, impegnativo e appassionante soprattutto quando si coglievano passi in avanti e le situazioni alla fine volgevano al meglio.

Quale pensi sia il ruolo di un movimento come Fede e Luce nella società e soprattutto nella Chiesa? Riesce ad essere un movimento unico e coeso, mosso dallo stesso spirito e dagli stessi intenti, in tutte le parti del mondo?
Fede e Luce ha ancora oggi un ruolo importantissimo: quello di creare ovunque, nel mondo, ponti, legami di fraternità e di pace, grazie soprattutto a chi è fragile. Questo è il miracolo vero che a noi può sfuggire perché viviamo, in genere, situazioni privilegiate.

Come non dimenticare la visita in Romania, dove mi recai con Don Vito Palmisano, Maurizio Aurello e Stefano di Franco! A conclusione della formazione, si organizzò una spaghettata all’aperto, con gli ingredienti necessari portati da Roma. Ad un certo punto la fila di chi attendeva il piatto di pasta, invece di ridursi, aumentava. Così ci accorgemmo che i bambini di un orfanotrofio vicino avevano scoperto di poter approfittare di un buon piatto caldo e della nostra compagnia. Alla fine, ci divertimmo insieme e i loro volti sorridenti e impiastricciati di sugo, furono immortalati da un fotografo attento.

Quali cambiamenti hai visto negli anni? Quale ti è sembrato maggiormente fecondo? A quale avresti rinunciato?
Ogni movimento, nel rispetto del proprio carisma, è chiamato ad evolvere. In questi ultimi dieci anni, con tutte le comunità sparse nel mondo, si è cercato di ritornare alle radici, riflettendo sulla nostra identità e missione e si è capito che la ricchezza più grande del movimento si concentra nella comunità e nei suoi membri. Si è cercato di adattare la Costituzione alle nostre realtà. Dopo averla adottata nel 2008, era necessario renderla più conforme al vissuto e si è diventati più flessibili, pur rimanendo fedeli allo spirito originario.

Questo passaggio lo considero molto positivo. In passato, c’era forse la convinzione che fosse giusto portare ovunque uno stesso modello di comunità, ciò che andava oltre, destava sospetto: un laboratorio, per esempio, a fianco della comunità, non era Fede e Luce, poteva creare confusione… ora può essere considerato “un quarto tempo”, utile ad approfondire amicizia e legami.

A Beirut sono state dunque indicate le priorità del movimento, per i prossimi cinque anni: comunità – accompagnamento – apertura – rinnovamento – visibilità – nuovi membri, le parole su cui riflettere e lavorare. Queste linee guida garantiranno l’unità e, al tempo stesso, ogni comunità cercherà di essere più inserita nella propria realtà locale ed ecclesiale e ne rifletterà meglio la cultura e le caratteristiche anche nella conduzione degli incontri, utilizzando canti, giochi e preghiere tipiche del proprio ambiente.

In questi anni, al lavoro di preparazione dell’Assemblea internazionale, hanno partecipato anche i 13 vice-coordinatori internazionali durante i due incontri annuali previsti con il Coordinatore e l’Assistente spirituale internazionale (in uno di questi momenti viene programmato anche un confronto con il CDA del movimento). Il loro compito è quello di accompagnare ed incoraggiare i coordinatori di Provincia, là dove si recano, in genere, una volta all’anno, per gestire un’elezione o una formazione, per ascoltare e condividere, per rimandare sempre alla realtà più ampia della grande famiglia nella quale ogni Provincia è inserita. Il passaggio ad uno sguardo che va oltre al proprio ambito e al proprio quotidiano è una sfida da riproporre continuamente. Essi raccolgono anche dai vice-coordinatori della Provincia esigenze, bisogni ed attese che riportano e condividono con il Consiglio dei vice-coordinatori internazionali.

Niente viene trascurato, tutto è motivo di riflessione e di ricerca per passaggi ulteriori, ma soprattutto, attraverso la rete dei rapporti amicali che si creano, nessuno è lasciato solo nell’esercizio del proprio ruolo.

Come hai vissuto queste tante “responsabilità”? Quali gli aspetti positivi e negativi di questa esperienza? Sei stata vicina a comunità di nazionalità differenti… quali frutti o strade diverse hai visto in ognuno?
L’esperienza vissuta in questi anni, è stata certamente positiva ed arricchente. Ho sempre apprezzato molto il fatto di andare a vivere i nostri incontri annuali nelle realtà più diverse, là dove emergeva la necessità di condividere una realtà delicata o difficile. Non è stata semplice la decisione di proporre l’Assemblea internazionale a Beirut. Forse è stato un rischio. Ma alla fine, durante la cerimonia di invio, quando Ghislain ha consegnato la grande busta contenente la nostra raccolta di fondi agli amici siriani, allora in quel momento, credo sia risultato chiaro a tutti il valore, il dono della grande famiglia, capace di intervenire là dove sembra esserci solo tragedia. Le comunità della Siria potranno continuare ad organizzare i loro campi estivi! Solo chi li vive può capire l’entità di questo dono, il segno di speranza e di futuro che questo gesto racchiude, compiuto davanti a tutti e nella commozione generale.

Tanti sono stati i cambiamenti avvenuti e l’evoluzione è da considerarsi positiva. Oltre a quanto sopra indicato, è stata importante la decisione di non lasciare sole le piccole realtà come la Galilea, Grecia, Cipro e ultimamente l’Albania. È vero che richiedono un impegno importante per le province italiane, tuttavia il loro desiderio di esserci e di crescere, la loro vivacità, il riconoscimento del supporto ricevuto, sono di grande stimolo per il nostro Paese, che evidenzia qualche segno di stanchezza a causa delle diverse comunità che invecchiano. Devo dire che ho riscontrato con piacere la preziosità di questo scambio anche durante l’incontro dei giovani, vissuto a Fano, la scorsa estate.

Fede e Luce: quale ancora la sua ragione?
Nonostante si moltiplichino le esperienze positive di integrazione, le persone con disabilità vivono ancora in una situazione di emarginazione e solitudine. Fede e Luce non ha ancora esaurito il suo ruolo di messaggero della gioia e di testimone del valore e del ruolo che ogni “ragazzo” dovrebbe avere nella società e nella Chiesa. Il mondo vive un cammino totalmente contrario, non può capire, sentire o vedere. Credo che ci resti il sorriso, la gioia vissuta nelle comunità che, se resi visibili, possono ancora interrogare e contagiare.

Ritengo che siamo chiamati a vivere più in profondità la nostra appartenenza ecclesiale, magari inserendoci nei consigli pastorali parrocchiali o diocesani per dire chi siamo, qual è la nostra missione: non basta chiedere una stanza, vivere il nostro incontro, ed ignorare il dialogo con le altre componenti di quella realtà. Come vivere visibilità ed apertura? Mi aveva profondamente colpito, per la sua efficacia, il mimo proposto sul sagrato di S. Pietro, in occasione del giubileo delle persone con handicap. Perché non proporne di tanto in tanto uno nella parrocchia che frequentiamo o in altre vicine? Direbbe tanto di noi…

Ma se le famiglie e gli amici che restano non avvertono più significativo per loro il cammino di fede, questa è una questione aperta su cui interrogarsi, riflettere e chiedere luce.

Qualche ricordo dei fondatori di Fede e Luce, Jean Vanier e Marie Helene Mathieu?
I fondatori sono dei veri testimoni. Devo molto a loro: l’accoglienza, l’attenzione alla mia persona e la fiducia ricevute nel tempo e in modo diverso da ciascuno di loro, mi hanno trasmesso la forza e il coraggio di non arrendermi mai.

Jean, il profeta del nostro tempo. Ora che non può più tenere ritiri, nella sua ultima lettera dice di avere ancora dei piccoli progetti come realizzare dei brevi video su quanto ha imparato in Fede e Luce e all’Arca: “Ho imparato a considerare la bellezza e l’importanza della famiglia umana in tutto il mondo e la bellezza di ogni persona. Ognuno con la sua primaria innocenza, nascosta nel profondo del suo essere, ma spesso così ferito dalla vita che tutto questo diventa poi rabbia, aggressività, depressione, perdita di fiducia in sé. Questa innocenza primaria attende di essere risvegliata affinché ciascuno di noi possa scoprire il significato della sua vita. Non è questo lo scopo delle nostre comunità: essere trasformati dalla presenza di coloro che hanno sofferto l’umiliazione?”. Parole che lasciano trasparire rispetto per ciascuno, amore, tenerezza e dono di sé.

Marie-Hélène è sempre stata una donna instancabile, una forza della natura, con una capacità di lavoro e una determinazione in grado di sfidare chiunque… riusciva a mettermi in crisi. Ricordo che poco tempo dopo la mia elezione a coordinatrice di Zona, mi fece sapere che dovevo andare in Serbia per eleggere un coordinatore in grado di accompagnare le otto comunità che erano nate in una realtà difficile, abitata da cattolici e musulmani. Eravamo nel novembre del 1998 e spiravano venti di guerra… Cercai di dirle che forse non era il momento di andare a Senta, che il viaggio poteva essere rinviato a tempi migliori, non mi sentivo ancora pronta a morire per Fede e Luce, ma fu irremovibile. Unica concessione: saremmo partite in due, con Marie-Noëlle di Parigi che incontrai a Belgrado per poi continuare il viaggio insieme. Che battesimo e che avventura! Incontrammo un paesaggio desolante, una povertà assoluta, ma in questa situazione, c’era un’auto con cui ci accompagnarono ad incontrare tutte le comunità, ciascuna delle quali ci accolse con un mimo realizzato con niente, cioè con due foulards, alcuni piccoli fiori di carta e un minuscolo cero che sì, riusciva a brillare nella penombra, come segno di speranza e di futuro, nonostante tutto! C’era la gioia e la meraviglia dell’incontro!

intervista a cura di Cristina Tersigni, 2018

Glossario indispensabile

Comunità: Un gruppo di 20-30 persone.
Provincia: Un insieme di comunità, solitamente dello stesso Paese.
Zona: Una sezione formata da più Province, amministrata dai vice coordinatori internazionali.
Costituzione: Un documento che riassume i principi del Movimento Internazionale.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.144, 2018

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Mi chiamo Lucia ultima modifica: 2018-11-03T10:41:34+00:00 da Cristina Tersigni

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