Non sono un prete dai facili entusiasmi, cerco però di vivere lo stupore perché sono convinto che meravigliarci ci rende meravigliosi; nel Convegno appena celebrato in Assisi organizzato dall’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI che mette al centro “catechesi e disabilità” mi sono proprio esaltato. La prima parte del Convegno infatti aveva a tema il grembo generativo della Chiesa come luogo necessario per l’esperienza della fede. In parole più semplici, senza banalizzare, diremmo che perché un bambino o un adulto faccia un serio cammino di fede non bastano certo le paginette del catechismo o gli incontri di catechesi, ma è necessaria la presenza di un Chiesa viva e madre che accompagni nell’esperienza cristiana mostrando volti e opportunità. E fin qui con interessantissimi spunti di riflessione e ripensamenti per una pastorale più viva, tutto bene, tutto regolare; cattedratico e profondo, ma tranquillo.

All’arrivo di pullmini disabili, traduttori LIS, cartelloni e pannelli colorati, applausi a mani alzate che silenziosamente facevano un fragore assordante, il clima è cambiato! Volti di persone che hanno pagato sulla loro pelle la fatica di essere accolti in Parrocchia o di poter accedere ai sacramenti, responsabili diocesani per la Catechesi della iniziazione cristiana affamati di strumenti per i loro bambini più fragili, sacerdoti e laici impegnati da anni nella gioiosa accoglienza di chi cerca amicizia e sostegno e chi come me aspettava da mesi (anni?) che ci si “incontrasse per incontrarsi davvero”.

Ricordo con tenerezza il giorno in cui mio fratello Roberto a quasi 15 anni ricevette la Prima Comunione e la Cresima perché gli era stata negata la possibilità di stare con i suoi coetanei al catechismo. Lui che non avrebbe mai potuto leggere o imparare a memoria. Io avevo solo 7 anni e di lì a poco avrei anch’io fatto la Prima Comunione, ero felice. Il Vescovo li aveva chiamati tutti, in una Messa a parte, in una chiesa a parte per far loro incontrare Gesù eucaristia. Roberto stava ritto con gli occhietti curiosi, le mani giunte. La mamma e papà finalmente sentivano che la Chiesa non li aveva del tutto rifiutati. Era il 1974.

Sr. Veronica Donatello – chi non la conosce perde qualcosa – che con una forza incredibile ha seguito tutta la preparazione del convegno era raggiante e più di tutto mi ha colpito l’intervento di fratel Enzo Biemmi non solo per la potenza della sua riflessione, ma per la visibile commozione. L’ha spiegata: “altro è fare un discorso interessante e dotto, altro è parlare a voi che sapete bene ogni ferita dei nostri sbagli, delle nostre lentezze nell’accettare la differenza”.

Non saprei riportare con un virgolettato tutte le sue parole ma le riassumerei così: ci siamo accorti che qualsiasi rinnovamento anche molto creativo nel campo della comunicazione della fede non va a segno se non c’è una Comunità gioiosa per la propria fede desiderosa di questa comunicazione e testimonianza. Nessun metodo avrà successo se non c’è un grembo che genera: per avere un figlio bisogna “amarsi” (una comunità dove ci si ama), bisogna desiderarlo e pertanto ci vuole fiducia nel futuro; poi l’attesa che nutre come la gestazione nel grembo materno; poi c’è il parto, doloroso, con il taglio del cordone ombelicale: permettere al figlio generato alla fede che non sia la fotocopia di ciò che gli hai dato. Cammino lungo e carico di cura che diviene poi un ritirarsi con fiducia perché la vita nello Spirito continui con frutti nuovi. “Ci vorrebbe – ha detto – una Chiesa così: come una mamma”. Ma poi ha affondato il colpo quanto citando Evangelii Gaudium, prima esortazione apostolica di papa Francesco, promulgata il 24 novembre 2013, ha parlato di una Chiesa del corpo-a-corpo: un corpo ecclesiale che non si difende dalle piaghe dell’umanità ferità (e incarnata da Gesù). Qui cito testuale: «il passaggio da una “mente ecclesiale” (razionalità) ad un “corpo-a-corpo ecclesiale” (sensoriale, relazionale, carnale) apre ad un nuovo paradigma della iniziazione cristiana che non è tanto il Catecumenato, quanto lo stare con i disabili perché loro hanno sviluppato quei sensi che noi abbiamo inibito. Essi hanno sviluppato quei sensi della fede che noi abbiamo frustrato. Stare con loro è essere generati da loro a tutte le dimensioni della fede cristiana». Punto. Che altro aggiungere?

Penso solo che l’invito di Gesù finalmente può trovare seguito: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti» [Lc 14, 12-14]. Io a questo banchetto sono stato nutrito, in questa cena ho desiderato spezzare il pane in memoria di Lui.

don Stefano Buttinoni, 2018

Per approfondire:
Don Stefano Buttinoni gestisce un canale YouTube e un sito (parolebuone.it) dove condivide interessanti materiali per riflettere sulla spiritualità, la catechesi e l’accoglienza. Sono inoltre presenti alcuni video dell’arca appositamente tradotti e sottotitolati in italiano.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.142, 2018

Copertina OL 142, 2018

Dal convegno all’impegno! ultima modifica: 2018-06-30T09:25:13+00:00 da Don Stefano Buttinoni

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