Ricorrono anniversari importanti quest’anno per i diritti delle persone con disabilità: 25 anni della legge 104 in Italia “sull’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” e 10 anni dalla Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità. La strada sembra segnata e chiara perché le persone con disabilità possano trovare reale inclusione nella nostra società. Eppure constatiamo ancora molte difficoltà. Vittorio Scelzo, grazie alla lunga esperienza della Comunità di Sant’Egidio, condivide con noi alcune osservazioni molto importanti per avviare una riflessione sull’argomento, che vorremmo continuare nei prossimi numeri con l’aiuto di chi nel mondo della disabilità lavora e/o vive.

Quali cambiamenti vediamo ancora necessari? Per alcuni genitori il concetto di assistenza deve essere superato in quello di esistenza: una persona non sente concretamente di poter essere membro attivo di una società, di una comunità, se il suo ruolo costituzionale è quello di essere solo e sempre un “assistito”. Così l’associazione Vedere Oltre lavora nel dialogo e nella formazione convinta della necessità di guardare ai bisogni delle persone con disabilità immaginandone l’intero arco della vita. Persone che, se pur dipendenti da altri, dovrebbero sempre poter realizzare loro stessi al meglio delle possibilità che hanno. Possibilità che i genitori devono poter essere aiutati a riconoscere.

Il Servizio di Consulenza Pedagogica di Trento da anni lavora per il sostegno dei genitori con un figlio portatore di disabilità con l’obiettivo di rendere i genitori protagonisti del cambiamento nella crescita dei loro figli senza divenire loro stessi professionisti della riabilitazione. Devono infatti rimanere genitori. Possibilmente… non soli!

Una delle considerazioni che sento fare da molti genitori è che la reale inclusione è ancora lontana. L’inclusione scolastica infatti, che ha dato certamente grandi frutti nonostante le tante difficoltà, sembra comunque fermarsi all’interno delle mura scolastiche e pare difficile esportarla in un ambiente sociale comunitario “normale” lavorativo – ove possibile – o del tempo libero. Come promuovere la partecipazione attiva, di ogni membro, alla società, alla comunità; come sostenere il cambiamento nella cultura dell’accoglienza? Se pure comprendiamo l’importanza di questi valori e proviamo a metterli in pratica, riusciamo a trasmetterli ai nostri figli, ai giovani nelle nostre parrocchie? Ne parliamo abbastanza? Ne parliamo troppo?

Anche qui è giunta eco del divieto del Consiglio di Stato francese di trasmissione di uno spot della Coordown in cui persone con sindrome di Down rispondevano alla domanda di una mamma che si chiedeva se il bimbo che aspettava – con sD – avrebbe potuto essere felice…per non turbare chi aveva già scelto di interrompere la gravidanza. Su Ombres et Lumière, il direttore Cyril Douillet scriveva qualche mese fa degli inquietanti cambiamenti che emergono in Francia, dove se si riesce a gioire per i Trisome games (giochi internazionali dedicati agli atleti con sindrome di Down, ai quali ha partecipato anche la nostra Nicole Orlando) per il loro valore di inserimento sociale e valorizzazione, allo stesso tempo lo Stato mette in atto misure di indagine preventive sulle gravidanze che ricordano molto delle pratiche eugenetiche. Douillet concludeva che “al grande gioco della vita la maggior parte delle persone con sD, non ha possibilità di vincere, perché non ha nemmeno il dirittto di partecipare…”.

Occorre una nuova consapevolezza anche nell’educazione: fare i conti con la possibilità che i momenti difficili possano capitare a chiunque, conoscere realtà dove la sofferenza sembra farla da padrone e scoprire che la gioia anche lì è possibile, riuscire ad affrontare la paura di avvicinare chi è diverso e imparare a preoccuparsene, imparare che illudersi di eliminare la sofferenza dal nostro sguardo non fa che riproporla e moltiplicarla in altre forme, credo faccia parte dello sforzo pedagogico che dobbiamo ai nostri figli.

Cristina Tersigni, 2016

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.136

Qualcosa è cambiato? ultima modifica: 2016-12-16T12:15:14+00:00 da Cristina Tersigni

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