Sono il papà di tre splendidi bambini. Matteo 9 anni, il primogenito, il “principe” di casa, colui che per me e mia moglie ha costituito il cambiamento del nostro matrimonio, allevato con cura a volte fin troppo maniacale. Poi è arrivato Simone, che ora ha 6 anni, ed è affetto da una rara sindrome genetica (gli abbiamo fatto un pezzo di cromosoma 15 in più) e la nostra vita è definitivamente cambiata.

Infine è “atterrata” Francesca, 3 anni, il terremoto di casa, voluta inizialmente per il desiderio di avere un altro figlio normale e darsi sostegno reciproco con Matteo in futuro nella gestione delle difficoltà di Simone, ma ora sconfinatamente amata semplicemente perché è un amore di bambina senza regole, perché è la terzogenita, perché è una femmina e quindi molto sveglia, perché abbiamo Simone con i suoi problemi e noi siamo stravolti, e lei lo capisce e fa di noi ciò che vuole!

Simone ha un grave ritardo mentale, non comunica, il suo livello di autonomia è minimo, non mangia da solo (ma all’asilo dove è meno viziato invece a volte si!), ha il pannolino, non parla, non indica, manifesta pochissime emozioni, tutte espresse solo con il pianto. Vivere ogni giorno con un figlio da accudire con cui non esiste praticamente relazione, con il quale soprattutto mia moglie affronta una fatica fisica e psicologica, enorme con gli immaginabili impatti sulla relazione tra noi due, può essere compresa solo da chi ha vissuto o vive un’esperienza simile.

Quando mi hanno chiesto di scrivere un articolo su di me, come papà di Simone, mi sono ricordato di quando, 5 anni fa, appena ricevuta la diagnosi di Simone, ho passato tanto tempo su Internet e sui libri a capire cosa sarebbe accaduto a lui (prima di tutto), a noi come famiglia ed a me come padre. Ho ammirato, leggendone articoli, interviste e libri, ed incontrato padri straordinari che vivono la disabilità dei propri figli come una ricchezza, una fortuna, sempre allegri e sorridenti, forti e determinati, insomma praticamente perfetti.

Considerando anche che l’80% dei matrimoni in cui è presente un figlio disabile naufragano sostanzialmente per l’abbandono da parte dell’uomo, ho fatto di tutto per assomigliare ai papà di cui sopra e salvare il nostro matrimonio, e francamente credo (o meglio spero) di esserci, per ora, riuscito.

Ho capito a mie spese (mia moglie non ancora e ne sta pagando le conseguenze con il suo lavoro) che se non sorridi, se non sembri la persona più felice del mondo, se la disabilità di tuo figlio per te non è altro che una delle tante curiose novità che la vita ti ha portato, rimani semplicemente solo, e messo da parte. E sì, perché agli altri nulla importa dei tuoi problemi, al massimo ti compatiscono ma sono pronti a voltarti le spalle. Ed ancor peggio vengono messi da parte anche gli altri figli sani. E questo è devastante per un genitore.

In questi anni ho cercato di costruire, e lo continuerò con determinazione nel tempo che verrà, quanto possibile per garantire a Simone un futuro dignitoso ma soprattutto di mantenere unita la famiglia, di lavorare incessantemente con gli altri due figli per permettere loro di crescere con la ricchezza dell’amore per una persona in difficoltà in casa, di dare loro le medesime opportunità dei loro amici/compagni.

Siamo tutti coinvolti nelle iniziative delle varie associazioni di cui facciamo parte, trascorriamo vacanze e momenti speciali con tante altre famiglie di disabili, ma allo stesso modo quando possibile portiamo Simone alle attività degli altre due bambini, per essere tutti insieme una “Famiglia”.

Però esiste il lato ‘B’

Il lato ‘B’ è quello che nessuno vede, e nessuno deve neppure immaginare. Sono le lacrime interiori di un padre che mentre accompagna con gioia a scuola Simone, camminando finalmente insieme mano nella mano (ci sono voluti anni di terapie a causa del ritardo psicomotorio di cui è affetto), deve dimenticare che anche oggi non verrà salutato quando lo lascia in classe, non riceverà un bacio o un sorriso. Sono le lacrime di un padre che vorrebbe poter andare un giorno a mangiare una pizza tutti insieme con la sua famiglia, oppure semplicemente fare una passeggiata in bicicletta.

È la consapevolezza che per noi l’ordine naturale degli eventi non esiste: quando i figli cresceranno a me ed a mia moglie non sarà concesso di poter affrontare la vecchiaia con serenità affrontando l’inesorabile susseguirsi del tempo perché avremo sempre un figlio da accudire. La difficoltà ad accettare di dover cancellare i propri sogni individuali e familiari, di essere consapevole che non si può mai staccare “la spina” per un momento di sollievo, anche solo psicologico. La paura di non aver più la forza fisica per gestire l’irruenza di un futuro giovane uomo che è un disabile mentale. La necessità di non dimenticarsi mai che bastano alcuni secondi di distrazione, in ogni momento della giornata, e l’irreparabile possa accadere. La fatica nel combattere i pregiudizi, le quotidiane battaglie per i diritti dei disabili, i tagli all’assistenza, agli insegnanti di sostegno, la lista è infinita.

È il dolore enorme per non saper rispondere alle domande che mi sono state poste dalla redazione per questo articolo: “come senti che è tuo figlio, in cosa ti sei riconosciuto in lui, cosa vi piace fare insieme, o cosa ti piacerebbe fare con lui, cosa sogni per lui, quale idea di autonomia è possibile, come lo hai aiutato a maturare, sei orgoglioso di lui, cosa ti meraviglia in tuo figlio”. Semplicemente perché non ho risposte, perché Simone è un disabile mentale grave, non conosco le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi desideri! L’unica domanda che mi pongo da sempre è: Simone è in grado di percepire la sua diversità rispetto agli altri, percependone dolore, oppure è felice nella sua semplicità. A me, come padre, Simone sembra felice, e mi basta, alleviando (ma non cancellando) il dolore per tutto il resto.

Ho voluto scrivere queste poche righe, in un pomeriggio di luglio quasi autunnale, perché i lettori che avranno avuto la pazienza di arrivare fino in fondo all’articolo ricordino che se incontreranno in futuro una famiglia con un figlio disabile, e se i genitori di questa famiglia sembreranno ragionevolmente felici, socievoli e ben disposti, non dimentichino che in questi genitori esiste il lato ‘B’. Semplicemente saranno stati così abili da nasconderlo nel profondo del loro cuore in modo che nessuno se ne accorga.

Lorenzo Cerutti, 2014

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.127

Il lato ‘B’ di essere papà di un figlio disabile ultima modifica: 2014-09-29T10:20:49+00:00 da Lorenzo Cerutti

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