Perché raccontare la storia di Rarina? La sua è una vicenda talmente “rara”, anzi speriamo unica, nel suo genere. Chi potrebbe ritrovarsi nella vita di questo esserino così fragile e così isolato, ma pure tanto tenace e paradossalmente sempre in compagnia? Forse nessuno! ma Rarina è una di noi, è una di quelle creature a cui Gesù alludeva, quando ci esortava ad accogliere i bambini e a prenderci cura di tutte le sue creature.

Rarina è nata tredici anni fa, affetta dalla sindrome di Freeman Sheldon; sono stata una dei tanti operatori sociali e sanitari che hanno avuto la… fortuna di incontrarla fin dai primissimi mesi della sua vita e all’inizio mi vergognavo di ammettere che non conoscevo la sua patologia. Quando nel corso di una riunione sentii due medici confessarsi di aver cercato sull’enciclopedia medica notizie su questa sindrome, mi rasserenai un po’ sulla mia ignoranza, ma mi preoccupai un po’di più per il destino di Rarina.

Qualcuno prevedeva per lei, così compromessa sotto molti aspetti, che non avrebbe superato l’anno di vita.

Ma i mesi passavano e Rarina, dopo vari interventi chirurgici, attaccata ad un respiratore e nutrita con un sondino gastrico, continuamente monitorata da varie apparecchiature, continuava, imperterrita la sua battaglia con la vita, dentro l’ospedale.

I suoi genitori, due poveri e giovani immigrati stranieri che lavoravano come ambulanti, non sapevano come prendersi cura di lei una volta dimessa. La bambina richiedeva assistenza continua, ventiquattro ore su ventiquattro, non si sapeva se vedesse o se sentisse, non sorrideva, piangeva raramente. Gli aiuti dei servizi sarebbero stati comunque insufficienti, entrambi i genitori avevano la stretta necessità di lavorare. Durante i lunghi mesi di ricovero in ospedale la mamma andava ogni giorno a trovare sua figlia, ma a casa come avrebbe fatto? Andarono dal Giudice e rinunciarono a lei… solo così, sotto tutela pubblica, Rarina avrebbe potuto essere accolta in una Casa famiglia, ma sempre con grandissime difficoltà.

Dopo un lungo elenco di risposte negative, finalmente i coniugi Antonio e Maria, responsabili di una Casa Famiglia diedero la loro disponibilità ad accogliere Rarina. Ma la C.F. era ed è, una struttura educativa e non ha competenze sanitarie, e la bambina aveva bisogno di interventi di tipo infermieristico, cure che anche una mamma con un po’ di pratica, avrebbe potuto somministrare alla propria figlia, ma per le quali non era possibile incaricare una educatrice. Inoltre la retta che il Comune avrebbe erogato era del tutto inadeguata per garantire quell’assistenza continua di cui Rarina aveva bisogno. Alla fine, dopo inenarrabili difficoltà, si giunse ad un accordo tra Comune e ASL, per corrispondere alla C.F. una retta integrata da parte di entrambe le amministrazioni. Fortunatamente Antonio, responsabile della Casa Famiglia, essendo un medico, si assunse personalmente la responsabilità dell’assistenza di tipo sanitario.

Di questa vicenda, qui molto brevemente riassunta, non mi stupivano troppo le difficoltà burocratiche, che in fondo data l’eccezionalità della situazione, si potevano in parte comprendere, ma ciò che mi colpiva maggiormente era la solitudine di questa bambina, che non aveva nessuno che chiedesse per lei, nessuno a sorreggerla nelle braccia… a “sostenerla”. Quando dico nessuno, intendo una mamma o un papà, una nonna… e non intendo togliere nulla a tanti operatori che si sono avvicendati intorno a lei, così dipendente dagli altri.

E gli “altri” hanno reagito in modi diversi talvolta opposti. Ricordo con piacere la suora infermiera del reparto ospedaliero dove era stata ricoverata per tanti mesi, che si è separata da lei con tanta difficoltà e che all’ultimo momento, d’impulso, è salita sull’ autoambulanza che accompagnava Rarina in C.F. ed ha voluto “tenerla in braccio” durante tutto il tragitto per passarla poi tra le braccia di Maria . Ma ricordo anche altri che invece davano l’impressione di “trattare” una pratica e non una bambina sola e malata, per di più di una rara sindrome, sottintendendo talvolta: “ma se anche i genitori l’hanno abbandonata perché ci dobbiamo pensare noi?”. Quando Rarina era ancora in Ospedale, al termine di una prima riunione in cui la ASL negò l’autorizzazione per l’inserimento in C.F., un medico posando una mano sulla spalla di Antonio gli disse: “Ti abbiamo levato una bella rogna!”.

Ricordo che quasi ogni anno al momento di rinnovare l’impegnativa della ASL per l’integrazione di retta, (rette pagate con ritardi incredibili) bisognava intraprendere una battaglia con i vari responsabili amministrativi che si avvicendavano, perché ognuno si stupiva del perché questa bambina doveva stare in una struttura educativa; c’è stato qualcuno che mi ha detto “ci vorrebbe una lungo-degenza!”. Certo, Rarina era solo una malata grave che doveva morire e basta. Pochi pensavano alla vita di Rarina, alla vita di una bambina!
Oggi Rarina è ancora lì in quella stessa Casa Famiglia, che dovrebbe accogliere bambini da 0 a sei anni, e lei ormai ne ha più del doppio.

Naturalmente, nonostante sia adottabile già da anni, nessuno l’ha adottata.
Antonio e Maria, che oltre dodici anni fa l’hanno accolta fra tante difficoltà, nonostante Rarina continui ad essere nutrita attraverso un accesso gastrico artificiale, e ad avere necessità di essere aspirata attraverso la tracheo-tomia, nonostante non veda, non senta, non sorrida, nonostante abbia bisogno di controlli, visite e talvolta di ricoveri, le sono rimasti accanto, come due genitori. Anche se è ormai inevitabile un cambiamento di casa famiglia per Rarina che dovrà andare in una struttura con ospiti della sua stessa età…e non sarà semplice.

Antonio e Maria in questi anni hanno instaurato un rapporto profondo con Rarina, Maria dice che la bambina ha voluto vivere a tutti i costi ed ora è una presenza viva in mezzo a loro; il rumore del suo respiro scandisce il ritmo delle sue giornate e accompagna il ritmo della vita della casa. È parte integrante della loro esistenza anche per tutti i bambini, tanto che, qualche tempo fa, quando Rarina è stata ricoverata in ospedale, una bambina si è messa a piangere perché temeva che fosse andata via per sempre. Rarina corrisponde a questo rapporto e Maria lo percepisce fisicamente quando la prende in braccio e sente come si rilassa ed è più tranquilla.

Un episodio significativo circa il legame tra Rarina e la Casa Famiglia, si è verificato qualche tempo fa: durante un agosto canicolare, Rarina fu ricoverata in ospedale, in una situazione ambientale perfetta: aria condizionata, cibo particolarmente adatto alle sue esigenze, cure e assistenza “Holliwooddiani”, eppure lei tornò a casa molto deperita, per poi riprendersi in breve tempo non appena tornata nel suo ambiente familiare. Antonio ripensa a quei giorni di ricovero della bambina e li assimila ai quarantadue giorni in cui ha assistito sua madre in coma e come per Rarina egli dice: “in quei giorni ci siamo veramente parlati senza parole”.

Antonio crede che nella sua vita Rarina abbia il compito di tirare fuori l’amore degli altri ed a quel medico della ASL che credeva di togliergli un peso, oggi risponderebbe che senza Rarina gli sarebbe stato tolto un pezzo di vita!

Rita Massi, 2012

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.118

Rarina, storia di un fiore raro ultima modifica: 2012-03-16T10:45:09+00:00 da Rita Massi

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