Uomini di Dio, uomini per gli uomini. Alcuni monaci che avevano scelto di vivere una vita di preghiera quasi continua, di liturgia e di contemplazione, vivevano una profonda vicinanza e servivano la gente, come Gesù. La loro contemplazione li umanizzava, e il loro servizio li conduceva alla preghiera. Vivevano a Tibhirine, a un centinaio di kilometri a sud di Algeri, una zona di dolce montagna, vicino a un villaggio abitato da gente povera, di fede musulmana. L’amicizia tra i paesani e i monaci era bella, tanto profonda quanto semplice. Quella del fratello Luc, un monaco medico, sempre al servizio di chi aveva bisogno di cure o quella per i contatti del mercato pubblico per la vendita di miele. Fratelli monaci o paesani musulmani, si sapevano amati da Dio; ciascuno voleva testimoniare questo amore, secondo la propria vocazione.

La notte del 26 al 27 marzo del 1996, dieci giorni prima di Pasqua, un gruppo di “ribelli” armati entra nel monastero e rapisce sette dei nove monaci che stavano dormendo (due riuscirono a nascondersi). Il film racconta la vita del Monastero negli anni precedenti; i monaci avevano già subito nel Natale 1994 una simile invasione — dopo la quale le autorità algerine avevano suggerito loro di tornare in Francia. Il film racconta le discussioni della comunità: rimanere nel monastero? andare in un altro monastero? tornare in Francia? La domanda aveva però un aspetto più radicale: si accettava di rischiare la morte in questa terra divenuta inospitale?

Una domanda che in fondo era quella di Dio nei confronti dell’uomo peccatore, animato dall’odio più spesso che dall’amore. Meditando il vangelo, contemplavano la scelta di Dio. Lentamente, sotto la guida del superiore, tutti entrarono nella profondità della loro vocazione: essere con e come Cristo. Dovevano rimanere presso il villaggio e continuare la loro vita d’amicizia con i paesani? Fuggire per assicurarsi la sicurezza? Il film mostra, a un certo momento, alcuni monaci che, discutendo con la gente del paese, dicevano di sentirsi come uccelli su un ramo che qualcuno stava segando. I paesani fecero notare che erano loro quegli uccelli, e che i monaci servivano invece a proteggerli.

Camminare sulle orme di Gesù fino in fondo, fino a dare la propria vita per amore. Il regista non dice chi li ha ammazzati. Potrebbero essere stati i ribelli, o i militari del governo, per errore o volutamente. Non si sa. Eppure era importante sapere chi fossero i colpevoli. Ma più importante è raccontare le vite date per amore, per seguire il Maestro d’amore, Gesù.

Un film bellissimo, di gran successo commerciale. Mi hanno detto che è stato presentato a Roma a cardinali e vescovi, che, prima della proiezione del film, chiaechieravano tra di loro, ma che alla fine, sono usciti tutti in gran silenzio, richiamati alla serietà del loro primo amore. ll fratello Luc nel film dice a una ragazza del paese che lo consultava su un suo amore, che anche lui aveva amato delle belle ragazze e che poi aveva incontrato un altro amore, più totale. Ecco, è proprio un film sull’amore totale, divino. Con quale risultato politicamente misurabile? Come la morte di Gesù. Per questa ragione, più o meno riconosciuta consapevolmente, credo che il film ha avuto tanto successo, anche presso gente che non frequenta la Chiesa. Tutti noi abbiamo bisogno, sentiamo il bisogno della testimonianza di persone che danno tutto al Dio Vivente e ai fratelli.

Paul Gilbert, 2011

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.113

Uomini di Dio – Recensione Film ultima modifica: 2011-03-04T16:11:14+00:00 da Paul Gilbert

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