Fin da bambina, sono sempre stata affascinata dall’Africa e ormai adulta, appena ne ho avuto la possibilità, vi ho trascorso una breve vacanza. Una vacanza da villaggio turistico, come in una campana di vetro, da cui tuttavia ho potuto dare uno sguardo alla realtà! Ne sono tornata con una gran voglia di partire di nuovo per scoprire meglio questo continente, incontrarne la gente e vivere accanto a loro.

Per questo in seguito ho ripreso i contatti con un amico, Stefano, che avevo conosciuto a Roma (la mia città) e che sapevo essersi trasferito in Mozambico dove stava avviando un’ appassionante esperienza.

Stefano e Ivete (mozambicana) una coppia senza figli, vivendo quotidianamente accanto a tante povertà, privazioni e ingiustizie, sono stati spinti a pensare quale doveva essere la loro posizione in merito a tutto questo: se dovevano entrare in quel mondo o starne fuori. Hanno così aperto le porte della loro casa guardando la realtà che stava loro intorno, decidendo di non potersi isolare senza tenere conto del vicino di casa, del povero, dell’orfano… La decisione è uscita con il tempo, grazie ad alcuni avvenimenti determinanti che hanno fatto loro comprendere che non basta dare un aiuto, per alcuni entrare in casa doveva essere un entrare nella loro vita, per questo decidono per un vero e proprio cambiamento: accogliere in casa gli orfani; alcuni tra le migliaia di orfani che l’AIDS ha ormai seminato in tutto il Mozambico e che nella migliore delle ipotesi sono accolti nei numerosi orfanotrofi di stato.

Nasce così in loro l’idea di creare una casa-famiglia, non solo per dare un tetto e da mangiare a degli orfani, ma per dare loro una vera famiglia e un futuro. Questo li porta a pensare a un numero ridotto di bambini e ad uno spazio che si rifaccia alle condizioni normali di una casa mozambicana, una “ndangwini” appunto, che in lingua locale significa: casa dove esiste una famiglia.

Prende così avvio e si realizza un progetto di casa famiglia “Ndangwini”, dove vengono accolti con modalità e tempi diversi alcuni bambini orfani.

Grazie a questo contatto con Stefano ad aprile del 2007 mi reco per la prima volta in Mozambico presso la loro casa ed ho così la possibilità di cominciare a sostenere questo loro importante progetto; da allora sono andata altre quattro volte per periodi più o meno lunghi ed ormai mi sento parte integrante della famiglia.

Nella casa attualmente ci sono dieci bambini tra residenti e giornalieri, più tre ragazze, due delle quali hanno costituito uno di quegli “avvenimenti” determinanti che dicevo prima, in quanto sono state le prime due bambine, rimaste orfane di entrambi i genitori, che Stefano e Ivete hanno accolto. Inoltre seguono ventidue bambini del quartiere sostenendo le loro famiglie.

Fin dal mio primo soggiorno ho cercato di entrare a far parte della casa per quanto ho potuto, ho cercato di trovarmi una collocazione, un ruolo. I bambini spontaneamente hanno iniziato a chiamarmi “madrina” che è un termine riservato alle persone amiche, vicine alla famiglia, ma non legate da un vincolo di parentela; sono stati quindi loro ad accogliere me ed a farmi sentire subito in famiglia.

La vita nella casa generalmente scorre tranquilla, i bambini vanno a scuola, giocano fra loro, svolgono piccoli compiti quotidiani.

Purtroppo l’impegno costante per le cure di una famiglia tanto numerosa e le esigue risorse, lasciano poche opportunità alla coppia genitoriale per far giocare i bambini con giochi strutturati e specificamente stimolanti, pertanto durante la mia permanenza colgo l’occasione per svolgere attività che attirino l’interesse di tutti, grandi e piccoli. Grazie alla mia esperienza con il mondo dell’infanzia e dell’insegnamento, propongo loro attività grafico pittoriche, giochi di gruppo, attività motorie e giochi d’animazione. Tutto ciò riscuote grande successo nel gruppo, favorendo la scoperta di elementi nuovi, come utilizzare i pennarelli,,giocare con i palloncini, inventare storie e sperimentare tanti giochi di squadra.

Oltre all’aspetto ludico nel quotidiano, aiuto i piccoli nei compiti e qualche volta li accompagno a scuola, molti di loro hanno bisogno di essere seguiti e spesso necessitano di vere ripetizioni.

Alla luce delle tante difficoltà, oltre ad un impegno sul posto, ho cercato di alleggerire il carico di tante spese portando un po’ di materiale dall’Italia, come oggetti di cancelleria, matite, penne, risme di fogli, quaderni, colori. Ma portarli in aereo è costosissimo ed è solo grazie alla occasionale benevolenza di qualche hostess che talvolta riesco a passare senza dover lasciare qui del materiale tanto bello, ma pesantissimo!!!

Dal 2002 ad oggi, da quando cioè è ‘ iniziato il progetto Ndanguini, tanto è stato fatto e sempre più bambini sono stati accolti. Solo recentemente la Ndangwini è stata riconosciuta come famiglia di accoglimento dal Ministero Accao Social, un riconoscimento giuridico importante, ma che non prevede tuttavia alcun sostegno economico.

Inoltre dal 2009 Ndangwuini è entrata far parte del SETEM (Servizio terzo mondo). Il mio impegno continua quindi durante tutto il corso dell’anno; con il Setem infatti organizzo serate evento per far conoscere Ndangwuini e per raccogliere aiuti economici e sostegno.

Sono partita la prima volta con entusiasmo per incontrare dei bambini di un continente che mi affascina, non pensavo ad altro. La loro risposta al mio impegno è stata ed è talmente entusiastica che mi ripaga di ogni stanchezza; benché tutti i bambini abbiano alle spalle storie di dolore e privazione, i loro occhi sono oggi sempre ridenti, sono bambini che sanno essere sereni con poco, sanno entusiasmarsi per ogni piccola novità. Li sento felici della mia presenza, sento di riuscire non solo a farli divertire con le mie proposte di gioco, ma a farli stupire di gioia anche con dei semplici palloncini colorati, ho visto bambini che non sapevano giocare, cominciare a ballare con gli altri. e questo fa in modo che la casa sia sempre piena di allegria.

Ogni anno torno con entusiasmo con tanta voglia di fare, partecipare ed esserci e tra qualche giorno partirò di nuovo. Anche un’altra ragione mi spinge a continuare, guardando infatti fuori dalle mura della Ndangwini, la realtà è molto dura, si continua a morire di AIDS e la povertà affligge ancora molte persone, non si può non pensare quanto tutto questo sia ingiusto. Come Stefano e Ivete occorre pensare anche a chi sta fuori dalla casa,

Mi piacerebbe che la situazione migliorasse quanto più possibile e che la mia testimonianza aiutasse a conoscere questa realtà. Vorrei pertanto promuovere in tutti la voglia di sostenere Stefano e Ivete, che con amore ed impegno lavorano quotidianamente per offrire ai bambini la possibilità di crescere sani, con accanto dei genitori, in un ambiente sereno, aprendo le porte di casa e di una famiglia a chi una famiglia non ce l’ha.

Elisabetta Aglianò , 2011

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.114

Ndangwini: casa dove esiste una “Famiglia” ultima modifica: 2011-06-04T17:48:14+00:00 da Elisabetta Aglianò

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