Mi chiamo Silvia, ho 15 anni e sono entrata a Fede e Luce ancora prima di nascere. Questo però non vuol dire che io sia un’esperta, anzi spesso non ho la minima idea di cosa fare quando mi trovo di fronte a situazioni nuove. Non amo le Feste di apertura o quelle di primavera, insomma tutte le grandi adunate di gruppo, e spesso le evito, mi invento scuse per non sembrare davvero un’asociale come dice mia madre. In realtà non ci vado non perché ami la solitudine, ma perché ho paura.

Paura del nuovo, di ciò che è diverso, perché i ragazzi della mia comunità li conosco e so come prenderli, ma gli altri sono degli estranei, e ho paura di essere messa alla prova, perché sono troppo orgogliosa per accettare le critiche.
Quindi è chiaro che quando mi è stato detto di Loreto per poco non sono svenuta al pensiero di 400 persone tutte nello stesso posto per una settimana.

Mia madre non ha neanche preso in considerazione l’idea che io pensassi di non andare, ma anzi ha esteso l’invito ai nonni. Mio nonno saggiamente si è eclissato, mentre mia nonna era elettrizzata al pensiero di tutta la famiglia riunita, e il suo entusiasmo genuino mi faceva sorridere. Secondo mia madre io sono un’eretica, perché non vado a messa circa da quando ho fatto la cresima, e non c’è una domenica in cui non mi faccia la ramanzina dicendomi: ”Silvia, hai preso un impegno e adesso devi rispettarlo”, ma rispettare gli impegni presi non è mai stato il mio passatempo preferito (comunque non vorrei che da quello che ho scritto passasse che mia madre è una donna tirannica ed intransigente, perché non è così.

È solo un pochino dispotica a volte, e diventa leggermente isterica e intrattabile quando non la pensiamo come lei, ma a parte questo è una donna adorabile). Così la prospettiva di passare una settimana, anziché al mare da una mia amica, a Loreto a pregare e in affidamento su Isabella con mia nonna non mi esaltava, ma anzi ho preso in considerazione l’idea di arruolarmi nella legione straniera.

Una volta arrivati, nella pioggia torrenziale, vedendo tutta la comunità camminare sotto l’acqua, in gruppetti di due o tre persone sotto gli ombrelli di quei pochi previdenti, mi è subito venuto in mente ciò che aveva detto ad un casetta una persona della mia comunità: ”In un pellegrinaggio la cosa più importante è camminare tutti insieme, adattando il proprio passo a quello del più lento, per non lasciare indietro nessuno.” Sotto la pioggia, pur bagnandosi fino al midollo, i più veloci aspettavano i più lenti, perché nessuno venisse lasciato indietro, e c’era sempre chi con un sorriso o una parola d’incoraggiamento, rincuorava quelli che, come me, si lamentavano della solita iella e già rimpiangevano il momento in cui avevano avuto questa idea folle.

I gruppi di scambio non li ho potuti apprezzare molto sia perché troppo brevi per permetterci di creare dei veri legami con Greci e Ciprioti, sia perché il nostro gruppo era uno dei più taciturni. Sentivo che il gruppo che era nella sala vicino a noi si faceva allegre risate durante i momenti di silenzio imbarazzante che si creavano molto spesso tra di noi.
Anche se il maltempo ci ha perseguitato per tutta la settimana, quasi a voler saggiare la nostra forza di volontà e il nostro spirito di adattamento, si è riuscito sempre a trovare il modo di svolgere tutte le attività. Le feste organizzate prima dai greci e poi dai ciprioti sono state molto divertenti, anche se un po’ arrangiate, e si respirava un’atmosfera rilassata perché, se c’è una cosa che accomuna tutti, indipendentemente dalla lingua che parliamo o dal Dio in cui crediamo, quella è la voglia di divertirsi e di fare un po’ di baldoria.

Non posso dire che il pellegrinaggio mi abbia aperto le porte della fede, come può forse aver fatto per altri, ma certamente è stata un’esperienza molto particolare dal punto di vista umano, anche per l’incontro di culture diverse, perché ho avuto modo di osservare come in realtà tutta l’umanità porti gli stessi fardelli, e che l’unico modo che abbia trovato per alleviarne il peso sia sapere che non si è da soli, e che in realtà anche le persone che sembrano più lontane cercano tutte la stessa cosa, e percorrono la nostra stessa strada. Dove porti non lo so, ma in fondo non importa, perché ho capito che quello che conta è continuare ad andare avanti. Ma se ci si accorge che qualcuno è rimasto indietro da solo, dobbiamo riuscire a trovare la forza e la pazienza di aspettarlo, prendergli la mano e camminare con lui.

Silvia T., 2011

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.116

Con l’idea di non andare ultima modifica: 2011-12-04T09:22:14+00:00 da Redazione

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