Mio marito è morto di infarto durante una sua trasferta di lavoro all’estero. Aveva 53 anni e niente ci aveva preparato a vederlo andar via così presto. Quando ho comunicato la notizia a Charles, ho iniziato col dire che era successo qualcosa di grave. Egli mi ha risposto subito “Mamma, Papà è morto”. La sua intuizione mi ha lasciata stupefatta. Quando io ho confermato, la sua successiva reazione è stata quella di domandarmi preoccupato: “E chi mi accompagnerà in piscina sabato?” Quindi è corso nella sua stanza e non si è più fatto vedere fino a sera.
Non so se Charles ha compreso che la morte del padre è qualcosa di irreversibile. Inizialmente egli ha reagito pensando alle conseguenze immediate della sua assenza senza proiettarsi nel futuro.
Ciò ha reso difficile spiegare a lui, così come a sua sorella, le circostanze della sua morte, arrivata così brutalmente. Ho detto soltanto: “Papà era malato di cuore ed è morto al ristorante, mentre mangiava con un collaboratore”. Non pensavo affatto in quel momento che Charles avrebbe associato il ristorante ed il mangiare in generale, alla morte di suo padre.
Nelle settimane e nei mesi seguenti, quindi, egli si bloccava di fronte al piatto rifiutandosi di mangiare altro che della pasta, sia a pranzo che a cena.
L’altra domanda che mi ha posto inseguito è stata “E se tu muori mamma che succederà?”
Come anche mia figlia, egli temeva di essere abbandonato e sembrava preoccupato di fronte al futuro. Avvertiva e assorbiva la mia stessa inquietudine e questo mi ha spinto a farmi sostituire da altre persone per evitare che egli subisse troppo le mie preoccupazioni e le mie angosce.
La famiglia, gli amici, la persone della parrocchia si sono dati da fare per aiutarmi, proponendomi di prendere Charles un pomeriggio, accompagnarlo in piscina tutti i sabato mattina, farlo uscire di casa… al fine di lasciarmi uno spazio di riposo. Questo periodo è stato molto duro: da un giorno all’altro dopo la morte del padre, Charles si rifiutava di lavarsi, di vestirsi, di andare a scuola, restando nascosto sotto al tavolo e rifiutandosi di uscire di casa – suo rifugio – come se avesse paura del mondo esterno. In quel periodo era molto regredito. Inizialmente ho provato a farlo uscire anche con la forza, ma dal momento che anch’io ero esaurita, ho finito col rinunciare e comprendere che, tenendo conto delle circostanze, dovevo accettare il suo stato depressivo senza dubbio passeggero e naturale. La morte del papà aveva destabilizzato tutti i suoi punti di riferimento, per cui aveva bisogno di tempo per riprendere fiducia. Grazie agli amici, ancora una volta, Charles a poco a poco è uscito dal suo guscio ed ha ripreso piacere a svolgere le sue solite attività. Ma per arrivare a questo ci sono voluti non meno di due anni. Egli ha anche potuto beneficiare dell’aiuto prezioso della sua psicologa che ha impostato la terapia sul lutto.
Molto positivo è stato il fatto che non passava giorno senza che Charles parlasse del papà.
In modo del tutto naturale lo rendeva presente, gli diceva buongiorno quando passava davanti alla sua foto, spiegando, ad esempio: “Mio papà è morto; penso a lui, prima andavamo in piscina insieme…”.
Io che ero tutta chiusa nel mio dolore, non riuscivo ad essere così spontanea come lo era lui, non riuscivo così facilmente ad abbordare “la cosa”. In un certo senso mi ha fatto bene sentir parlare di mio marito in modo così naturale, mentre il mio pudore me lo impediva.

– 2010, di Anne Ortiz, tradotto da Ombres et Lumière n.177

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Alla morte del papà, Charles restava nascosto sotto il tavolo ultima modifica: 2010-12-03T13:01:58+00:00 da Anne Ortiz

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