A settembre tutti gli anni parliamo di scuola, di maestre e di alunni.. Questa volta parliamo della celebre pedagogista Maria Montessori e di come le sue intuizioni ed il suo metodo siano preziosi per l’educazione anche dei bambini disabili.

La concezione educativa di Maria Montessori parte dal presupposto (sul quale poi fondò tutto il suo impianto educativo), che vi sia da parte dei bambini una naturale e spontanea predisposizione all’apprendimento, al lavoro, alla sperimentazione delle proprie forze, alla costruzione di qualcosa, all’interessamento verso il mondo esterno purché venissero posti in un ambiente adatto, scientificamente organizzato e preparato ad accoglierli.

Il ruolo dell’adulto, quindi, deve essere, da una lato, quello di costruire un ambiente in grado di suscitare ‘ gli interessi che il bambino gradualmente matura e dimostra di avere, dall’altro quello di non ostacolare in nessun modo il lavoro pratico e psichico a cui ciascun fanciullo va dedicandosi nel corso della sua infanzia. Aiutami a fare da solo è lo slogan con il quale il metodo montessoriano mette in luce il bisogno del bambino di far emergere quanto in lui già esiste in potenza e il dovere di ogni educatore di non inibire, ma anzi liberare, la voglia e il bisogno del piccolo di adempiere a quella che è la sua naturale tendenza. Nella pedagogia speciale (rivolta all’insegnamento per bambini con bisogni speciali, appunto) Maria Montessori ha tracciato diverse piste di ricerca: e non solo la “prima” Montessori, la studiosa che si occupava di bambini frenastenici, come si diceva allora (a proposito lei ebbe una felice intuizione parlando di ritardo e non di insufficienza mentale), ma anche la pedagogista dei “normali”.

Aiutami a fare da me è valido soprattutto per il bambino portatore di handicap in cui l’esigenza di autonomia supera di gran lunga la necessità di esercizi fine a se stessi.

Il metodo Montessori può dare risposte tecnico-pratiche, oltre che teoriche, a chi cerca di attuare al meglio l’integrazione del bambino disabile a scuola.

È di pochi mesi fa l’articoloapparso su Il Corriere della Sera del 29 marzo 2010 dal titolo La ricetta antibullismo per i ragazzi delle scuole: riscoprire la Montessori; una scuola statale del quartiere più degradato di Manchester, cinque anni fa si è convertita grazie a un finanziamento pubblico alla «libertà pedagogica», teorizzata dalla scienziata italiana e adesso, dopo un tempo ragionevole, fa il primo bilancio: profitto cresciuto del 20%, alunni aumentati da 348 a 461, bambini meno capricciosi e più collaborativi. Si torna a parlare del metodo Montessori e della sua efficacia anche per contrastare il bullismo.

In Italia qualcuno la ricorda perché ritratta sulla banconota da mille lire, ai tempi della lira, più recentemente in TV uno sceneggiato ha raccontato la sua storia. In Italia ci sono solo 500 scuole di metodo Montessori, tra nidi, scuole dell’infanzia e classi della scuola primaria, mentre in tutto il mondo crescono e si diffondono sempre di più. Non è questa la sede per parlare dei motivi per i quali in Italia non sia mai stata ricordata e valorizzata quanto merita per i suoi profondi valori formativi. Certo è che meriterebbe una riflessione più approfondita.

Nelle scuole di metodo Montessori l’autonomia del bambino viene perseguita sin di primissimi giorni di vita fornendo un ambiente adatto ai suoi bisogni principali, che non sono solo quelli del nutrimento e della cura ma anche del movimento e del poter guardare il mondo attorno: un tappeto basso e morbido gli permette di girarsi quando e come vuole, semplici oggetti comuni posti vicino e sopra di lui, che avremo l’accortezza di cambiare ciclicamente, sono fonte di interesse e di stimoli sempre nuovi (e non in una culla con sponde alte dove l’unica cosa da guardare sono sempre le solite api colorate che girano sulla sua testa e come sfondo un soffitto bianco!). Dare stimoli calibrati al suo sviluppo favorisce in lui la nascita dell’autostima, del senso di autoefficacia (“so fare, quindi posso svolgere qualsiasi compito se lo voglio”).

Nelle scuole Montessori si studia in modo accurato l’ambiente del bambino, attività e mezzi che assicurano libertà di iniziativa e indipendenza a livelli minimi, già a diciotto, venti mesi. Lo stesso può essere fatto con un bambino più grande, per incoraggiarlo, perchè non debba dire: “Non posso”, “Non ci riesco”. Un bambino può andare da solo al gabinetto se i calzoncini hanno una elastico in vita, anziché una complicata chiusura; un bicchiere resterà in equilibrio se non è troppo leggero. Tanti piccoli accorgimenti per un grande fine.

La prima Casa del Bambino fu fondata a San Lorenzo a Roma nel 1907 da Maria Montessori, già nota in Italia per essere stata una delle prime donne laureatesi in medicina, per le sue posizioni femministe e per le novità introdotte nei suoi scritti a proposito del bambino e della sua educazione.

Ogni bambino, quando può, vuole fare le cose da solo spinto da direttive meravigliose che ha dentro di sé. Anche il bambino che presenta delle difficoltà, entro certi limiti Ci riferiamo a bambini che comunque hanno possibilità di relazione con la realtà e con gli altri., segue lo stesso principio che spesso è oscurato dalle sue sofferenze e la sua fatica di stare al mondo. Ben comprensibile è la reazione degli adulti di intervenire al meglio per lui, ma rischiano di non vedere, di aiutare troppo, di soffocare, relegandolo in una passività doppiamente pericolosa rispetto ad un bambino normale.

Nella scuola Montessori il tempo è del bambino. Si parla spesso di diagnosi e di interventi precoci fondamentali per capire al più presto di che cosa il bambino ha bisogno, ma si può cadere nell’errore di affrettare il ritmo di vita, costringendolo a interventi ripetitivi, fin troppo veloci. L’adulto tende ad accelerare le azioni infantili: infastidito dalla lentezza e dalla ripetitività del bambino, gli causa disorientamento e sofferenza. Anche la questione delicata delle interruzioni è fondamentale. Ciascuno di noi si irrita se viene disturbato quando sta facendo qualcosa che ritiene importante. Nella scuola comune questo è la norma: continuamente i bambini vengono interrotti per passare ad altro; nella divisione stabilita in tempi uguali per tutti, il bambino con difficoltà risulta evidentemente più penalizzato.

Nella scuola Montessori si predispongono tutti gli aiuti indiretti che consentono al bambino l’autonomia, senza l’aiuto diretto da parte degli altri. Anziché appendere l’asciugamano ad altezza dell’adulto, per esempio, è sufficiente posizionarlo ad un’altezza adeguata che ne consenta l’utilizzo da parte del bambino. Nell’ambiente montessoriano tutto è concepito su misura del bambino: nella logica dell’abbattimento delle barriere architettoniche e dell’utilizzo di ausili in modo che anche il bambino disabile possa, nel limite del possibile, “fare da solo”.

Gli arredi devono essere pensati e studiati tenendo conto dell’età e della corporatura dei piccoli e costruiti all’insegna della leggerezza in modo che, proprio a causa della loro fragilità, rivelino le conseguenze di un eventuale utilizzo sbagliato.o mancanza di rispetto da parte di coloro che ne fanno regolarmente uso: per questo motivo, nelle scuole montessoriane gli scolari si servono di piatti di ceramica, bicchieri di vetro, soprammobili fragili. I bambini sono, in questo modo, invitati a coordinare i movimenti con esercizi quotidiani di autocontrollo, autocorrezione e prudenza. Gli adulti in questo modo sono figure di aiuto e facilitazione e non giudicanti. In pratica, essi non impongono, né dispongono, né impediscono, ma propongono, predispongono, stimolano e orientano.

Laura Nardini, 2010

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.111

Aiutami a fare da me ultima modifica: 2010-09-30T16:15:59+00:00 da Laura Nardini

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