Isabelle de Mézerac e suo marito aspettano il loro quinto figlio, quando, al terzo mese di gravidanza, i medici annunciano che il bambino è colpito da trisomia 18, un handicap fatale. Decidono di accompagnare Emmanuel fino alla fine della sua vita.

La diagnosi era senza appello. Il bambino che aspettavo sarebbe nato per morire.

Mi sono ritrovata in uno stato di sofferenza inimmaginabile. Non sapevo assolutamente più a che punto ero, né cosa fare. Mi trovavo in una situazione di vulnerabilità e di dipendenza totale dalle parole degli altri. Il dolore era talmente intenso che volevo solo liberarmene. L’unica proposta fatta dai medici era di interrompere la gravidanza. Il risultato di questa risposta è stata di aggiungere altro dolore. Il medico aveva avuto la grande onestà di aggiungere: “Vi avviso, la maggior parte delle coppie si riprendono molto difficilmente dall’interruzione di gravidanza”. La situazione era talmente insopportabile che mi sono detta: no, forse c’è qualche cosa d’altro da fare, non so cosa, ma forse…

E piano piano dal mio cuore si è atfacciata un’altra decisione. Si presentava nella mia testa come dei flash, come dei lampi. Mi sono detta: se dovessi affrontare una situazione simile con uno dei miei altri figli, per una leucemia fulminante per esempio, cosa farei? Senza l’ombra di dubbio l’accompagnerei fino in fondo, e vorrei approfittare di tutto il tempo che ci resta da vivere insieme per dirci tutto e conoscerci.

Nel profondo soffrivo della scoperta della malattia del mio bambino, ma non volevo precipitare nella sua morte. Allora perché anticiparla?

Tutte queste idee tornavano regolarmente e hanno portato me e mio marito alla decisione che ho presentato al medico il giorno dopo: “Desidero proseguire la gravidanza!” Non sapevo se era possibile… e per mio marito non lo era.

Ebbene sì! Il medico mi ha immediatamente proposto di seguirmi durante il resto della gravidanza. Il suo atteggiamento è stato estremamente rispettoso, pieno di umanità, nell’accompagnarci nella nostra decisione. Questo ha avuto un grosso impatto su di me poiché ero riconsiderata prima di tutto come una mamma incinta e questo mi ha rasserenato.

Dopo aver preso la decisione insieme, mio marito mi ha pienamente sostenuta. Appena era al lavoro non ci pensava più, era preso dalla sua vita; ma io non potevo astrarmi neanche un attimo da quello che stavo vivendo. Un giorno ho chiesto a mio marito: Soffri?”

Mi ha risposto: “Soffro ogni volta che ti vedo.”

Abbiamo condiviso lo stesso dolore con la stessa intensità anche se in noi due si esprimeva diversamente. Mio marito soffriva ma in un modo completamente diverso che non riuscivo a capire pienamente.

Alcune persone mi hanno rimproverato: “Si rende conto della sofferenza che ha imposto ai suoi figli?”

Ma non sono io che ho provocato questa sofferenza, si è imposta a noi così come ai nostri figli. Non volevamo questa sofferenza, ma forse la possiamo vivere in modo diverso da quello che ci propongono oggi. Nello stesso modo, i medici non mi hanno imposto una sofferenza inutile, si è imposta anche a loro. Preferiscono seguire dei bambini che stanno bene. Anche per loro annunciare una diagnosi di questo tipo è una sofferenza.

“E perché sei cattolica che fai questo?” mi hanno detto. Allora mi arrabbiavo: “No! Non avete capito niente, lo amo questo bambino.”

Serenità a tristezza

La serenità non mi ha mai abbandonato ma anche la tristezza non mi ha mai lasciato. La vita e la morte sono mischiati in un processo che è un processo di vita, ma nel quale la morte ha già cominciato a tessere la tela. È quindi una situazione complicata, molto pesante psicologicamente, che non si può vivere soli. Decidere di proseguire una gravidanza in questa situazione non è possibile se non si è veramente accompagnati dal proprio ambiente, da un medico che vi capisce e che vi riceve con compassione e dolcezza.

Ho ripreso la mia vita con tutte le sue attività: era importante.

Era però una gravidanza davvero particolare, dovevo viverla con molta intensità, vivere pienamente questo tempo che mi era dato perché era il tempo della sua vita. Era essenziale per costruirmi dei ricordi con lui, per vivere i momenti di pace o di gioia che avremmo trascorso assieme e ce ne sono stati. Mi ero data due piccole regole di vita: vivere un giorno alla volta e non pensare a quello che sarebbe successo al momento della nascita. Questa si è svolta nella serenità con la presenza dei nostri figli: un momento di pace profonda, condivisa in famiglia. Emmanuel è vissuto solamente un’ora e venti. Si è addormentato nelle mie braccia.

Tutto è compiuto

Non si è mai pronti ad affrontare la morte del proprio figlio. Sono momenti di grande prova, ma avevo nel cuore un sentimento di compiutezza e devo dire che quel sentimento era l’unica cosa che mi consolava. Il sentimento di essere andata fino in fondo per lui, fino in fondo alla mia vita di mamma per lui, gli avevo dato tutto, mi aveva, anche lui, dato tutto. Emmanuel mi mancherà tutta la mia vita. Ma ecco, ho scoperto un intensità di amore che non mi conoscevo, anch’io sono stata fino in fondo a me stessa.

Spiritualmente, è stata una prova molto grande. Ero ai piedi della croce, ma nello stesso tempo ai piedi della mia fede.. “Accetto di credere?”

Ho anche sentito: “Ah! Ma hai un piccolo angelo in cielo, è meraviglioso!”

No, non è assolutamente meraviglioso, è profondamente doloroso. E poi, non è un piccolo angelo, ma un bambino.

Non bisogna fare della falsa spiritualità su queste prove.

Amo le parole di compassione del Cristo: mi piace vedere che anche lui, davanti alla morte di Lazzaro, ha pianto. Ho pianto molto, e tre anni dopo piango ancora. Lui, ha capito anche il mio dolore di madre, le sue parole continuano a consolarmi.

Articolo tratto da Ombres et Lumiére, n.152
Traduzione di Valeria Spinola

Questo articolo è tratto da:
Ombre e Luci n.93

Sommario

Editoriale

La forza della tenerezza di M. Bertolini

La forza della tenerezza

L’incanto si è rotto di M. Bertolini
Le mollette di Roberto di Roberto e Valeria M.

La ragazzina nuova di T. Cabras
Dalle un bacio di V. S.
In carcere di J. Vanier
Pizza, supplì e bibita a 7 euro di M. B.
La tenerezza di Dio di L. Nardini

Altri articoli

Questo bambino lo amo! di I. de Mézerac
Counseling in rima di A. Bianchi
La malattia e la fede di F. Bertolini
Scheda: Il Parkinson di V. Levi della Vida
Gli amici che non ti aspetti di Monica
Cartelli letti alle porte delle chiese

Libri

Né giusto né sbagliato, P. Collins
Credere e curare, I. R. Marino
La disabilità non è un limite, AA. VV.
Il Vangelo per tutti i disabili mentali
Dopo di noi, insieme a noi, F. Belletti
Gli oggetti raccontano storie straordinarie di oggetti comuni, S. Tamberi

Questo bambino lo amo! ultima modifica: 2006-03-30T10:37:31+00:00 da Redazione

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