Mio Dio come è lungo e tortuoso il cammino, com’è oscuro il bosco…
Mia figlia, aggrappata al braccio, avanziamo lentamente. A una volta della strada, una grossa pietra ci sbarra il cammino. Questo ostacolo è nulla in confronto agli handicap di Beatrice. Giriamo intorno alla pietra, mentre altre più piccole scivolano sotto ai nostri passi. La vita scorre così intorno a Beatrice che avanza con l’aria indifferente a ciò che ha intorno. Così, al mattino, arriva da me a carponi, poi si rialza quando una sedia o tavolo vengono a trovarsi sul suo percorso. Avanziamo con tranquillità, in silenzio. Sulla scarpata vedo piccoli fiori selvatici: mi ispirano dolcezza e fiducia; come Beatrice, quando sorride divertita: è capace di esprimere tutte la dolcezza e tutta la fiducia dei suoi vent’anni. Camminiamo costeggiando un’altura accentuata da alcune querce. Come son belle, come son pure nel loro profilo slanciato! Mi fanno pensare a mio figlio, ormai in grado di gestire la sua vita.
Alla nostra destra, vicino ad un incrocio, una quercia pluri-centenaria, in autunno, farà cadere di nuovo le sue ghiande.
Le radici, intatte dopo tanti secoli, mi infondono sicurezza, mi fanno sperare.
Continuiamo a camminare. Le spighe di grano sono bionde e pesanti, promettono un buon raccolto. All’improvviso, un enorme buca ci sbarra la strada; è una cava di cui sostegni han ceduto per l’uso. Guardano il vuoto, Beatrice mi stringe più forte. Resto immobile.

Mia figlia mi scuote; perché fermarsi? Il sole scende all’orizzonte, ci avviciniamo alla fattoria. Beatrice segue il papà nella stalla, lo aiuta a rimuovere la paglia che scricchiola: per me è come un canto. Davanti alla casa c’è un gran prato: vedo mio figlio accarezzare i vitellini. Avrà avuto, da bambino, le carezze e le attenzioni che desiderava, mentre io ero tutta occupata dalla sorellina ?
Presto, devo preparare la cena: un pò di carote, qualche porro, due patate; la minestra sarà presto pronta. Come succede sempre, noi finiamo di mangiare e Beatrice non ha ancora cominciato. Resto accanto a lei pensando a tutto quello che devo fare. Ritorno con la mente a quei momenti della mia vita passata, quando mi resi incomprensibile a chiunque mi si avvicinasse, chiusa com’ero nel mio guscio — che era allora la mia forza — per ritrovarmi poi sola, tagliata fuori dal mondo.
Eppure, ogni volta che cadevo nel punto più profondo della depressione, la voce dei bambini risuonava altissima dentro di me e riprendevo le mie occupazioni. Nemmeno la mia famiglia, nemmeno gli amici, i vicini, poterono capire le mie angosce, le mie notti senza sonno. Nonostante la mia straordinaria attività e le occupazioni incessanti, la casa aveva un aspetto d’abbandono.

Non so come riuscii a reggere in quel periodo. Ho spesso pensato a quel deportato costretto insieme ai suoi compagni a percorrere nello sfinimento decine e decine di chilometri: sapeva che, per non crollare, doveva restare con lo sguardo fisso sulla persona che aveva davanti e seguire attentamente i suoi passi. Proprio allo stesso modo, Gesù mi chiedeva di porre i miei passi dietro ai suoi.

Gilberte Roger, 1990
(O. et. L. n. 88)

Una passeggiata in campagna ultima modifica: 1990-12-27T08:29:51+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.