«Sono un padre d’un piccirillo!», mi sentii dire al telefono da Abib quella mattina che arrivò alla stazione centrale di Milano. Gli risposi che Giovanna lo stava aspettando, che mi aveva già telefonato due volte perché non lo trovava e che stava abbordando tutti i giovani con Taria sperduta e più o meno tunisina.

Dopo circa dieci minuti mi richiama Giovanna tutta contenta; si sono incontrati e riconosciuti. Che miracolo in mezzo a tutta quella gente! Mia sorella mi aveva chiamata da Roma qualche giorno prima, una sera d’ottobre dell’anno scorso per chiedermi se potevamo trovare da dormire ad un giovane tunisino che veniva dalla Sicilia per restare qualche giorno con la moglie. Una dottoressa di Trapani aveva, con molta premura, accompagnato la moglie di Abib con il suo bambino in aereo all’ospedale di S. Paolo, specializzato in malattie del metabolismo. Da una di queste malattie sembrava affetto molto gravemente il bambino. Abib era venuto pensando proprio di stare pochi giorni per sentire cosa dicevano i medici del suo bimbo, per confortare un po’ sua moglie e poi ritornare in Sicilia dove avevano un po’ di casa e un po’ di lavoro.

Abib e Naima col piccolo Mohamed finalmente uscito dall’ospedale

Ma la diagnosi dei medici fu molto dura: Mohamed avrebbe potuto vivere soltanto adottando una dieta rigorosissima, preparata in farmacia. Avrebbe dovuto restare due o tre mesi in ospedale con la mamma e poi, una volta dimesso, avrebbe dovuto sottostare a di controlli settimanali. Ricordo gli occhi neri e il Sorriso semplice e dolce di Naima, in quella stanza d’ospedale. Lo teneva sempre in braccio il suo Mohamed, tutto avvolto in un panno bianco, da dove spuntava solo un visino pallido pallido, con due grandi occhi spalancati. Abib decise di restare; disse che voleva cercare un lavoro e una casa per quando Naima e Mohamed sarebbero usciti dall’ospedale.

A noi sembravano miracolosi la fede e il coraggio di questa piccola famiglia mussulmana

A noi sembrava miracolosa la fede e il coraggio di questa piccola famiglia mussulmana, di queste persone senza niente che, per amore del loro bambino, avevano lasciato quel pochissimo che avevano. Senza casa e senza lavoro, senza parenti né amici, in un paese straniero, eppure con tanta speranza e mai un gesto di disperazione. Naima guardava dalla finestra dell’ospedale e diceva a Giovanna: «Con tante case, una per noi non c’è? Possibile?».
Avevi ragione, Naima, perché infatti quando quattro mesi dopo, con il tuo fagottino un po’ più grande e un po’ più colorito, sei uscita dall’ospedale, c’era un minuscolo appartamentino in una parrocchia di Milano pronto ad accogliervi.
Abib aveva trovato subito un lavoro; Giovanna l’aveva aiutato a fare tutti i documenti accompagnandolo a destra e a sinistra. Poi, quando andava a trovare Naima con i pannolini, l’uva o i biscotti, si sentiva dire: «Guarda Mohamed, guarda la nonna!». Giovanna rideva ed era tutta contenta. In quell’appartamentino abitano ancora, ma sarà per poco.
L’assistente sociale della parrocchia S. Maria del Suffragio è riuscita a far loro assegnare una casa popolare, per fortuna sempre in quella zona che è ormai loro famigliare. Abib ha già cambiato lavoro; ora fa il cameriere ed è contento. Per Natale hanno un grande progetto: portare il loro piccolino a casa dai nonni veri in Tunisia. Poi ritorneranno perché ora, anche qui, hanno un po’ di casa e un po’ di a micizia.

Io sono Abib

Testimonianza

La fede di una famiglia musulmana - Ombre e Luci n.32, 1990

Comincio pronunciando il nome di Dio.Io sono Abib, ho 28 anni, sono nato in Tunisia. Comincio la mia storia che forse sarà un po’ triste. Mi sono sposato il 9 ottobre 1988. Dopo sposati siamo arrivati in Sicilia sperando in una vita nuova. Dopo un anno è nato Mohamed. Sono stati quattro giorni felici, ma dopo ci siamo accorti che qualche cosa non andava e lo abbiamo portato all’ospedale prima a Mazara del Vallo poi a Trapani, poi a Palermo e questa vita tra ospedali è durata per tre mesi e mezzo senza sapere che cosa fosse il male di Mohamed. Alla fine siamo arrivati a Milano e qui il dramma: il bambino con la mamma all’ospedale, poi due giorni dopo arrivo io. Non so dove andare. Tramite una telefonata da Mazara a Roma e da Roma a Milano ho trovato amici che mi hanno portato all’ospedale a vedere il piccolo e ringrazio Iddio che questi amici mi hanno trovato anche l’alloggio dove stare momentaneamente — perché pensavo che dopo qualche settimana Mohamed potesse tornare in Sicilia. Invece fu il contrario: il bambino rimase in ospedale quattro mesi.

Non avrei mai pensato di trovare amici che mi aiutassero così tanto.

Cercai lavoro e fortunatamente lo trovai quasi subito. Fui ospitato come abitazione nella Parrocchia della Madonna del Suffragio dove trovò ospitalità anche mia moglie Naima e Mohamed. Dopo sette mesi aiutati dagli amici abbiamo trovato casa, sperando di fare del mio meglio d’ora in poi. Non avrei mai pensato di trovare amici che mi aiutassero così tanto. Li ringrazio tutti sperando di non dimenticarli mai. In questi ultimi giorni siamo felicissimi di come sta Mohamed. All’ospedale dove va ogni settimana ci hanno detto che se segue scrupolosamente la dieta e le cure da loro prescritte può star bene. Non ho detto che Mohamed è affetto da leucinosi, una malattia del metabolismo. Spero di poter tornare presto in Tunisia.

Io sono Naima

Testimonianza

La fede di una famiglia musulmana - Ombre e Luci n.32, 1990

Cosa devo dire? Sono passati tanti giorni lontano dal mio paese, giorni di dolore. Sono venuta in questo paese con il sogno di costruire un futuro. In Sicilia sono passati nove mesi con la felicità: gli amici, il lavoro e la felicità di aspettare un bimbo. Questa felicità non è durata: il bambino è sfato male e da un ospedale all’altro è incominciato il mio calvario. La situazione si fa sempre più difficile, per la lingua, per la città sconosciuta. La lingua era importante perché doveva parlare con i medici. Abbiamo perso il lavoro, la casa però ringrazio Iddio che gli amici si trovano ancora. I medici di Milano hanno salvato il mio Mohamed perché hanno capito che cosa aveva e grazie a loro può vivere quasi normalmente. Non è stato facile trovare casa e lavoro qui a Milano, ma con l’aiuto di amici che ci sono sempre stati vicini abbiamo ora l’uno e l’altro.
Queste parole sembrano semplici però per me sono dolorose e le ho sofferte giorno dopo giorno. Auguro a chi incontra situazioni come questa di affrontarle con pazienza e fede perché Dio è sempre con noi.

Abbiamo perso il lavoro, la casa, però ringrazio Iddio che gli amici si trovano ancora.
Abib, Mohamed e Naima ultima modifica: 1990-12-27T09:06:41+00:00 da Redazione

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