Sul grande calendario appeso alla parete, i giorni sono indicati con una piccola nave e un letto: il papà di Alberto infatti è impegnato per metà mese su un traghetto, come marittimo.
Il piccolo Alberto, nato idrocefalo e sordo, dall’età di sette anni anche cieco, misura dunque il tempo così: dopo aver staccato dal calendario 15 navi, sa che il suo papà sta per tornare con lui ed è un bambino felice. Non si può aprire meglio una visita alla «Nostra casa» di Osimo.

«Alberto era molto confuso e ansioso — spiega il direttore — adesso sa quando il papà non c’è o sta per tornare e l’aspetta sereno». L’episodio rappresenta bene che cosa si fa, e come, qui a Osimo: autosufficienza, comunicazione, indipendenza e, se possibile, socializzazione, sono gli obiettivi di questa «scuola» molto speciale. Come essa si realizzi, ne abbiamo avuto qualche idea passando di «classe» in «classe», con occhi ben aperti. La disposizione dei luoghi e la ricchezza del materiale ci hanno meravigliati fin dall’inizio. Quando dico ricchezza non parlo di materiale pedagogico di lusso; parlo dell’abbondanza, della fantasia, della varietà di tutti gli oggetti, fatti a mano, per creare la comunicazione, per rompere l’isolamento di questi bambini murati nell’oscurità e nel silenzio. La villa è spaziosa: corridoio largo, stanze vaste con altissimi soffitti, spazio per muoversi senza ostacoli ma che ha richiesto una suddivisione: in ogni classe quattro angoli organizzati, uno per ogni bambino, che ogni giorno troverà la sua maestra e il suo materiale, il suo armadio, la sua tavola, la sua sedia, troverà il suo calendario giornaliero, misterioso per noi a prima vista: oggettini incollati o tenuti da nastri adesivi su tavolette di legno, indicano le varie attività della giornata. Per chi è più avanzato, c’è anche un calendario settimanale: per esempio su una tavoletta di legno, una casetta, tre paletti gialli, una macchina e un po’ di spazio libero. Ogni giorno la bambina viene a toccare, leva un paletto, fa avanzare la macchinina e conta i paletti restanti. Così sa quanti giorni ci sono ancora prima di andare a casa per il week-end.

Insegnare al bambino sordo-cieco soprattutto la possibilità di una scelta personale… e in questo modo schiudergli la porta del libero arbitrio.

Una mensola attira il nostro sguardo con i suoi strani oggetti allineati, ognuno nel suo scomparto: una scaletta in miniatura, piattino e posate da bambola, due manine di plastica e un pezzetto di sapone, incollati su tavolette… Sono le «parole» che il bambino imparerà dall’educatrice toccando l’uno o l’altro prima di eseguire le azioni simboleggiate da quegli oggetti. Questo serve a comunicare al bambino cieco-sordo quello che gli si farà fare e nello stesso tempo lo introduce nel mondo dei simboli. Ne deriverà in un secondo tempo la possibilità per il bambino di scegliere lui stesso l’attività da fare. Preoccupazione ammirevole non solo per insegnare qualcosa al bambino, per comunicare con lui, ma anche per fargli scoprire la possibilità di una scelta personale: lui condannato fino a quel momento alla passività, a essere portato, guidato, nutrito ecc., senza capire né poter dire «sì» o «no», tranne forse protestando con delle grida. In questo modo gli si dischiude la porta del libero arbitrio. Quale omaggio gli si rende, quale forma concreta di amore e di rispetto!

I pasti si fanno in classe, questa volta insieme, al tavolo centrale; è un’altra lezione essenziale della giornata, che richiede un lavoro lungo e minuzioso quando lo si intraprende con un bambino che rifiuta il cibo o che non ha mai portato nessun alimento alla bocca da solo.

M. è un’alunna già avanti nell’apprendimento ; mangia lentamente ma da sola. Il piatto è posato su una scatola rovesciata per accorciare il tragitto dal piatto alla bocca. In seguito, l’altezza della scatola sarà progressivamente ridotta fino ad eliminarla. Ecco un altro aspetto di base di questa pedagogia. Ogni apprendimento deve essere analizzato con cura suddiviso in decine di piccoli passi che lo compongono. È come se, per uno che non possa salire gradini normali, la scala venisse ricostruita con gradini tanto bassi da permetterne una salita lenta ma effettiva.

Questo suppone:

  • un’ analisi esauriente dei gesti e delle attività per ideare una programmazione minuziosa;
  • la fabbricazione di un materiale adatto allo scopo, dal momento che in commercio non esiste assolutamente;
  • riutilizzazione ripetuta un numero inimmaginabile di volte perché nulla si fa in poco tempo quando, come è quasi sempre in questo caso, anche l’intelligenza è colpita.

Questo lavoro a piccoli passi, fatto di ripetizioni a non finire, richiede all’educatore una grandissima disciplina per conservare lui stesso la concentrazione necessaria e per non cadere nella routine e nel disinteresse che rovinerebbero la qualità del lavoro.

Inoltre, chi conosce i bambini pluri-handicappati, sa quanti altri ostacoli sbarrano la strada: problemi di comportamento, di passività, di autolesionismo. Il bambino pluri-handicappato, come ognuno di noi, può essere motivato solo da una ricompensa o gratificazione.

Ai bambini normali queste ricompense vengono da sole, sotto forme diverse e via via più complesse o sottili: il sorriso dell’adulto al neonato, il tono della voce che loda, l’oggetto distante finalmente raggiunto, il rumore che fa quando cade a terra… ogni cosa che porta alla scoperta e all’uso del mondo che ci circonda.
Ma lui, che cosa può vedere, sentire, scoprire, cioè capire, senza un aiuto tutto speciale? Per questo intervengono le tecniche di comportamento e di rinforzo (dalla minuscola ricompensa dolciaria, alla gratificazione via via più simbolica).

Di fronte ad ogni classe, il bambino ha la camera da letto. Anche qui, ogni grande stanza è divisa in spazi personali, con il letto, la sedia, l’armadio, o piuttosto, un cassettone con i vari cassetti, su ognuno dei quali, in rilievo è incollata la forma dei vestiti o della biancheria: li potrà trovare sistemati con ordine, sempre allo stesso posto; questo sempre in vista dell’autonomia da insegnare al bambino, non solo perché si sposti da solo ma anche perché si vesta da solo, prenda da solo i vestiti.

Questo rappresenta un livello molto avanzato. Per qualcuno i vestiti sono disegnati con ombre cinesi; qualche bambino, infatti, ha un residuo visivo che gli permette di percepire le forme. I movimenti dei bambini che non vedono e non sentono, sono guidati in questi spazi da numerosi accorgimenti inventati per ognuno di loro (segnaletiche tattili, corde, piste di legno…).
Ogni programma è personalizzato fin nei minimi dettagli. Solo a questo prezzo è possibile con questi bambini e farli progredire. Accanto alla stanza da letto, c’è il bagno, luogo essenziale nel programma della scuola. È qui che al mattino alle 8, ogni bambino viene guidato dalla sua maestra. È qui che impara passo passo, come ogni altra cosa, a lavarsi, ma anche e prima di tutto a controllare gli sfinteri: apprendimento lungo e difficile ma così essenziale nell’acquisizione dell’autonomia. È qui che ogni sera il bambino finisce il suo programma con l’educatrice che lo avrà seguito in ogni istante della sua giornata. In realtà, sono due le insegnanti che accompagnano durante il giorno ogni bambino (dalle 8 alle 14 la prima; dalle 14 alle 20 la seconda), perché nessuno potrebbe assumere per 12 ore consecutive un lavoro che richiede una simile intensità di attenzione. C’è anche una palestra, allestita in modo speciale; per molti di questi bambini è necessario anche imparare a camminare. Ogni movimento del corpo richiede a questi bambini tempo e lavoro.

Fuori, intorno alla villa che domina un paesaggio meraviglioso che ammiriamo, sono sistemati giochi classici da giardino e giochi inventati apposta per imparare ad arrampicarsi, a scivolare, a dondolarsi.

Bisognerebbe parlare della villetta vicina alla grande casa, dove lavorano i più grandi: una ragazza asciuga le posate con una lentezza e un’applicazione affascinanti. Un’altra va a scegliere su una mensola la targhetta che indica che vuol lavare i piatti. La vedo poi tirar fuori da sotto il lavello uno sgabello sul quale sale per trovarsi all’altezza necessaria, infatti è piccola di statura.

Bisognerebbe parlare ancora dei due appartamenti, molto ben arredati, nella città di Osimo, dove vivono una decina di ex-alunni della casa, che imparano, ognuno al suo livello, le soddisfazioni dell’indipendenza e del piacere di rendersi utili.

Bisognerebbe parlare del laboratorio nella via vicina, dove alcuni vanno a lavorare durante il giorno con il midollino o a piccoli lavori di assemblaggio.

Molti non arriveranno mai fino a questo livello, ma tutti progrediscono, con progressi minimi, a volte, ma sempre essenziali per loro e le loro famiglie e per noi che possiamo più accettare che ci siano casi detti disperati e irrecuperabili.

di Nicole Schultes, 1986

La Lega del Filo d’oro: breve scheda (1986)

L’Istituto medico-psico-pedagogico Nostra casa per bambini e giovani e la comunità Kalorama per adulti sono stati creati, rispettivamente nel 1967 e nel 1975, dalla Lega del Filo d’Oro, un’associazione nata nel 1964 per promuovere l’inserimento nella società delle persone sordo-cieche. Ospitano circa sessanta persone con pluri-minorazione all’anno.. I volontari vi svolgono un’importante lavoro di sostegno in molte attività, per esempio i soggiorni estivi. L’impegno è allargato al territorio di provenienza, affinché la permanenza in Istituto non pregiudichi il rapporto con le famiglie e l’integrazione sociale.

Per consentire alle famiglie di osservare il lavoro sul bambino, in Istituto ci sono due appartamenti esterni nei quali, periodicamente, i genitori trascorrono alcuni giorni  col figlio in funzione del rientro in famiglia.
Il rapporto esterno dei piccoli ospiti è realizzato attraverso attività ludiche e incontri con altri ragazzi. La validità dell’opera della Lega del Filo d’Oro (senza scopo di lucro) è stata riconosciuta da numerosi Enti Pubblici che hanno stanziato importanti finanziamenti, i quali,  seppur faticosamente, permettono di proseguire l’attività. In particolare il Ministero della Pubblica Istruzione, la Regione Marche, le U.S.L. di provenienza dell’ospite forniscono un aiuto importante, benché insufficiente, all’attività della Lega.

 

Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.13, 1986

Copertina - Ombre e Luci n.11 - 1986

Sommario

Editoriale

Non vede, non sente, non comunica di Mariangela Bertolini

Dalla disperazione alla speranza di Marie Hélène Mathieu
SCHEDA - Le persone plurihandicappate di Anna Cece
Ora sappiamo che tutto ha un senso di Olga Burrows Gammarelli
Un salsicciotto e tanta acqua  di un papà
"Mio Dio com’è duro vivere nella prova" di M.F. Heyndrickx
Il verdetto dei medici di M.D.
Vede, sente e parla attraverso le mani di Nicole Schulthes

Rubriche

Dialogo aperto n.13

Libri

Emiliana e l’handicap di Cosimo Fornaro
Il bambino non vedente pluri-minorato di E. Ceppi e al.
Il mio bambino a cura della John Tracy Clinic
Disabilita e intervento – “Apprendimento controllo degli sfinteri” Quaderni della Lega del Filo d'Oro, a cura di Nisi e al.

Vede, sente e parla attraverso le mani ultima modifica: 1986-03-22T14:36:18+00:00 da Nicole Schulthes

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