Di “integrazione” si parla, si discute… è già una realtà! Una realtà che in questo momento riguarda tanti bambini, tante famiglie, tanti insegnati… non possiamo ignorarlo
E non lo vogliamo neanche ignorare, perché chi, tra noi, non desidera con tutto il cuore che ciascuno trovi il suo posto, si senta a suo agio sempre, dappertutto, in una società che l’accolga così com’è?
Non si tratta di fare teoria, si tratta di vedere i fatti.

Ascoltiamo allora le testimonianze di due mamme.

La mamma di Francesco

Francesco è un ragazzo di 9 anni, vive in casa con tutta la famiglia: papà, mamma, fratello, nonna, e tutti gli vogliono bene.

La sua spasticità gli impedisce di camminare, di tenere in mano qualsiasi cosa, di parlare. Ha una grande difficoltà per bere e sta seduto come può su una sedia speciale. Ma i suoi occhi sono vivi: esprimono una grande gioia per la mia visita e per tutte le attenzioni di cui è oggetto.

Francesco ha già una lunga storia – per così dire – scolastica dietro di sé.

La mamma racconta che 4 anni fa andava in un “Centro” (o scuola speciale), dalla mattina alle 9 fino alle 3 del pomeriggio. Poi, 3 anni fa, fu messo in una scuola di quartiere che stava vicino al “Centro”.
L’orario era solo al mattino, ma tutto si svolgeva bene perché la scuola era collegata al Centro dove Francesco andava anche a mangiare e che a sua volta mandava assistenti e personale specializzato per la terapia.

All’inizio dell’anno scolastico 1975 però, con la legge in vigore, dovette frequentare la scuola del suo quartiere.
Ci andò per un anno, ma poi i suoi genitori lo ritirarono.

Perchè? – abbiamo chiesto alla mamma.
– “Soprattutto perché stava sempre male: la scuola era molto fredda e si prendeva sempre qualche malanno!”.
E quando la mamma fece presente questo inconveniente le fu risposto: “Che ci possiamo fare! Dovete prendere la scuola così com’è!”.

“Inoltre – dice la mamma – era un po’ abbandonato a se stesso”. Di fatto “lasciato in un angolo come un cagnolino” aggiunge il papà che nel frattempo è entrato in casa.

E la terapia?
– “Niente: quasi mai. Allora vale la pena mandarlo?” dice ancora il papà.

Ma l’assistente non c’era?
– “Sì, certo. Lo veniva a prendere per pulirlo, ma niente di più: non aveva neanche il permesso di entrare in classe durante la lezione! Poi c’è la storia della bomba…”

Della bomba?
– “Si signora. Un giorno a scuola si disse che c’era una bomba. Allora tutti uscirono dalla classe, maestre e bambini; solo lui, Francesco, rimase.
E quando il fratello volle andare a prenderlo, glielo impedirono dicendo che lui doveva scappare… Quando arrivai io; lo trovai ancora in classe, solo! – dice la mamma. E poi non ce la faccio più a portarlo a scuola: non hanno neanche il pulmino. Allora non vale la pena. Sta meglio qui con noi! Lo terremo fino a che potremo”.

Ma allora cosa vorreste per il bambino?
– “Trovare una terapista che venga qui a casa, perché per mandarlo alla scuola normale, ci vorrebbe la maestra giusta, la terapia e il pulmann. Altrimenti non vale la pena!”

Mi congedo dai signori X, riflettendo su queste parole.

La mamma di Alessandro

Alessandro ha 9 anni anche lui. È spastico, direi “leggero”, Cammina appoggiandosi leggermente alla mano o al muro, parla.
Sul piano scolastico è in ritardo; ma ha una personalità molto aperta e un comportamento normale. Gli piace stare con i coetanei, scherzare, ma anche ascoltare in classe e partecipare. La mamma e la maestra, insieme, sono state e sono tuttora le operatrici principali della sua integrazione nella scuola pubblica. Le abbiamo incontrate insieme in casa di Alessandro.

Già a 3 anni il bambino frequenta l’asilo in un “Centro” per spastici. Poi nell’ottobre 1974, dietro consiglio della fisioterapista, la mamma cercò di metterlo in una scuola pubblica.

Fu un’impresa piuttosto dura – dice la mamma – perché nessuna scuola del quartiere me lo voleva prendere con la scusa di non essere preparate, di non avere l’attrezzatura. Andai persino dal Provveditore agli Studi! Fortunatamente alcuni amici di Fede e Luce mi aiutarono in queste ricerche, perché io certi giorni ero buona solo a piangere!
Il Provveditore mi confermò che le scuole del mio quartiere non erano adatte e mi indicò una scuola sperimentale non troppo lontana da casa mia.

Qui il Direttore riunì le maestre della 1° elementare e la psicologa e insieme, presero la decisione di affidare Alessandro alla signora X, a partire da gennaio.

La signora X è proprio la maestra che ho incontrato in casa di Alessandro e che mi parla di lui con vivo interesse e amore.

Ha in classe 19 bambini. Mi dice che non era preparata ad avere un bambino con particolari difficoltà, e all’inizio si era trovata “proprio a terra.” Andò allora a chiedere consiglio al Centro dove andava prima Alessandro, ma il primo anno l’aiuto fu quasi nullo. L’anno seguente ebbe invece una maestra d’appoggio che viene ancora ogni giorno e prende Alessandro da parte per fare con lui esercizio di lettura. Il lavoro della maestra d’appoggio viene continuato in classe dalla
signora X che utilizza il materiale speciale di proprietà della scuola.

Alessandro ora può scrivere un po’ ma non riesce ancora a leggere perché ha difficoltà di percezione dello spazio. Fa anche un po’ di matematica e qualche lavoretto semplice. Ascolta molto tutto quello che si dice in classe e partecipa, sia pure a modo suo. Impara anche a memoria poesie, canzoni, preghiere ecc.

Non ci sono mai stati problemi di comportamento. Dopo un mese era perfettamente adattato alla vita delle classe e la maestra lo considera come gli altri, senza accettare capricci. Insomma, Alessandro non è soltanto felicissimo a scuola, ma, a ritmo suo, fa sempre dei progressi.

Per la terapia, la mamma lo porta tre pomeriggi alla settimana, al Centro specializzato, dove fa ginnastica.

E per il futuro?
– “Certo non è semplice, mi dice la maestra, ma in questi due anni di scuola elementare che gli restano ancora, la mia grande speranza è di riuscire a farlo leggero. Allora… ci sarebbe anche qualche scuola media sperimentale dove forse potrebbe trovare il suo posto!”

Salutiamo la maestra, la mamma e Alessandro che gioca nel corridoio tutto contento della visita della sua cara maestra.


N.B. Aspettiamo altre testimonianze, e chiediamo:

  • perché Alessandro è così felice a scuola e fa progressi?
  • perché, invece, Francesco rimane sempre a casa senza più andare da nessuna parte?

Scriveteci il vostro pensiero. Ne riparleremo sul prossimo numero.

Nicole Schulthes, 1978

Quando arriveremo alla mèta del cammino della nostra vita,
tutti i poveri di tutti i secoli,
attorno a Gesù,
non ci domanderanno: “sei stato credente?”,
ma: “sei stato credibile?”.
La tua maniera di vivere,
la tua vita personale,
ha reso credibile a tutti gli uomini che Dio li ama
e che sono tutti capaci di amare?

Abbé Pierre

Nicole Marie Therese Tirard Schultes
Ha studiato Ergoterapia in Francia e negli Stati Uniti, co-fondando nel 1961 l'Association Nationale Francaise des Ergotherapeutes, (ANFE).
Trasferitasi a Roma, incontra Mariangela Bertolini e insieme avviano nel 1971, su invito di Marie-Hélène Mathieu, le attività di Fede e Luce e partecipano all'organizzazione del pellegrinaggio dell'Anno Santo del 1975. Dal 1983 al 2004 cura con Mariangela la rivista Ombre e Luci. Per anni ha organizzato il campo estivo per bambini e famiglie sul campus della scuola Mary Mount a Roma.

Questo articolo è tratto da:
Insieme n.15, 1977

Scuola e disabilità: integrazione, ascoltiamo le testimonianze di due mamme ultima modifica: 1977-12-05T12:50:34+00:00 da Nicole Schulthes

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