Eccezionale udienza in S. Pietro

da “L’Avvenire” del 27 ottobre 1975

Hanno regalato al Papa un libro d’oro. Lo hanno scritto i duemila handicappati, con l’aiuto dei loro genitori ed amici di “Fede e Luce” che ieri pomeriggio hanno fatto ressa intorno a Paolo VI nella basilica di S.Pietro illuminata a giorno. È un libro di preghiere e di racconti scritti a mano, in bella grafia, su fogli di pergamena, che raccolgono le esperienze di amore e di sofferenza vissute da ciascuno dei gruppi che hanno scelto di vivere con gli handicappati; le preghiere parlano di fede e di speranza: una fede e una speranza che sanno di gioia, di voglia di vivere, di desiderio di comunicare a tutti l’amore che riempie il cuore di chi il dolore ha per compagno costante della sua vita. Vivere un pomeriggio in mezzo a una tal massa di handicappati è un’esperienza che turba e fa riflettere.

È soprattutto una provocazione, Una provocazione per il nostro egoismo e la nostra in differenza nei confnon ti di chi soffre”, Quando dalla sedia gestatoria il Papa è sceso in mezzo a questo insoli to gruppo di pellegrini c’è stato un protender di mani:il Papa salutava,in viava carezze,benedicevy ma il suo volto questa volta era teso:un riflesso del dolore di tutta quella gente lasciava una ombra sul suo viso… “

Nel cuore di Dio

Da “L’Osservatore Romano” del 30 ottobre 1975

Se l’udienza di domenica pomeriggio in S. Pietro è stata una delle più belle, delle più toccanti dell’Anno Santo, ciò è dovuto principalmente a questo spirito di gioia che i gruppi hanno manifestato all’unisono con i loro “alleluja”, con i loro canti, talvolta con i loro gridi incontrollabili, espressione di quel barlume di intelligenza più o meno grande che emerge dalla personalità esteriormente ferita e che viene coltivato dall’amore dei congiunti e amici.

Quante carezze, continue carezze, abbiamo visto dare a questi fratelli affamati d’affetto, bisognosi di sentirsi protetti e di fatto amatissimi e aiutati in ogni modo. Poco prima che Paolo VI apparisse in S.Pietro, sono state accese d’improvviso tutte le luci della basilica: un’onda di luce, come quel sole che un giovane handicappato ha disegnato un giorno, sgusciante vittorioso di fra le nubi ad il luminare la barca, l’arca della grande fraternità di “Fede e Luce” e che è diventato il distintivo dell’associazione. Ma la vera luce era accesa nei volti, negli occhi.

Quando il Papa ha accolto in grembo un piccolo dei loro, una voce ha detto al microfono: “In questo momento tutti noi siamo presentati al Papa e il Papa abbraccia tutti noi”. La risposta è stata un fragoroso “Alleluja”.

La commozione era per gli altri, per noi che guardavamo, per il Papa che accarezzava il capo deforme ma tanto espressivo del piccolo membro del corpo di Cristo che stava con lui e degli altri che in una lunga sosta è riuscito ad avvicinare, per essi, invece, c’era soltanto la gioia.

Uno dei loro motti: “Sorridi: Dio ti ama” è stato stato valorizzato dal Papa nelle brevi e toccan ti parole pronunciate in basilica: “Dio vi ama, Gesù vi ama, anche noi vi amiamo!”. Il Papa ha detto: “Dio abita nel vostro cuore”. Una mamma, dopo, commentaca:”Fin scono a capire, sanno più in là siamo noi a cuore di Dio”.

Quando il Papa ha lasciato l’udienza, sulla sua mozzetta bianca c’era il distintivo della Arca: un simbolo di quanto anch’egli li avesse nel cuorejcome ancora ha mostrato l’indomani, mandando una delicatissima lettera “ai cari han dicappati di Fede e Luce riuniti a Roma, ai lao genitori e amici” e la sera di martedi, rivolgen do nuove affettuose parole dalla finestra del s suo studio al pellegrinaggio riunito per la veglia della Luce.

Virgilio L., 1975

Ho scoperto la liturgia come festa!

da “Attualità” di Velletri

Il pellegrinaggio degli handicappati, porzione eletta del popolo di Dio, mi è parso, pur nella varietà degli incontri, una catechesi di bontà che ha indotto la Chiesa, Vescovi, Preti e Laici presenti a meditare su una dimensione nuova del messaggio cristiano: quello della realtà.

Mi sentii più semplice durante le grandi concelebrazioni specie in S. Paolo, tanto da provare gioia nel battere le mani ritmando il canto unito a numerosi confratelli e ai Vescovi tutti ripieni della stessa pace. Assaporai la fratemità nel cantare il ritornello “le mani nelle mani” mentre si costituiva una gigantesca catena che, partendo dall’altare cingeva l’assemblea.

Allorché scambiammo il segno e il bacio di pace coi fratelli malati vidi sotto una luce nuova l’affermazione di Gesù, tante volte letta: “tuttto ciò che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a Me”,

La Chiesa stessa mi parve divenuta più umile e più autentica quando durante le celebrazioni di fraternità, i Vescovi e tanti preti, coinvolti nella medesima letizia, annullarono differenze assumendo comportamenti di fratelli dei più piccoli, saltando, battenao le mani, agitando le braccia e gioiendo. Malignamente paragonai certe compassate maniere di scambiarci il segno di pace e di gioia nelle celebrazioni in cui sono dei gesti ma privi di contenuto.

In quei momenti ebbi la percezione della bellezza della chiesa degli Atti degli Apostoli; chiesa umile, semplice ed autentica ove tutti erano uniti nell’amore e nella gioia.

Per questo gli handicappati, che pure hanno una missione da svolgere nella Chiesa, sono andati a Roma come umili discepoli accompagnati dagli amici ed educatori in ruolo di maestri: ma a Roma avvenne un ribaltamento della situazione.

I maestri si sono sentiti discepoli poiché hanno imparato maggiormente il significato dell’amore, dell’aiuto e della preghiera; i discepoli invece, impartirono salutari lezioni di umiltà richiamandoci alla memoria che “se non diventeremo come bambini” nel Regno dei cieli non entreremo mai.

Sono gli scherzi che lo Spirito gioca a chi anche nella Chiesa crede di ricoprire solo il ruolo di insegnare e non anche quello di imparare: per questo giova a tutti ricordare quell’altra espressione di Gesù: “Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi”.

Don Pietro B, 1975

Dallo stesso giornale

Armati di sacchetti con viveri, ci siamo trasferiti allo stadio Flaminio per vivere la festa dell’amicizia. Ogni gruppo ha presentato un numero folcloristico coinvolgendo tutti i presenti in canti e mimiche. Tanti palloncini tutti colorati sono stati distribuiti alla folla che tra grida sono stati lasciati volare in cielo, su, nello splendido cielo azzurro che Roma ci offriva. Ogni filo si tirava dietro un desiderio, una preghiera, una speranza. Tutti insieme erano il simbolo dell’amore.

Quattro giorni di pellegrinaggio

da “La Sesia”, Vercelli, 7 novembre 1975

Nei quattro giorni di pellegrinaggio, accanto ai momenti, per così dire solenni, la delegazione vercellese ha assaporato soprattutto la gioia, e lo attestano le dichiarazioni di alcuni amici dei bambini. Dichiarazioni che sono un pesante atto di accusa contro la società che emargina sempre più soprattutto coloro che più hanno bisogno di affetto: “Se le persone normali si rendessero conto che un’occhiata di pietà e di commiserazione equivale a un delitto, mentre una di non contraffatta simpatia vale più di mille elargizioni, forse si comporterebbero diversamente”.

E questo comportarsi diversamente non è niente altro che agire con naturalezza e in pieno accordo con gli handicappati, che hanno bisogno di sentirsi utili e non commiserati: ed un nostro diverso agire, sull’esempio fornito da “Fede e Luce” e concretizzato nelle quattro giornate di pellegrinaggio, sarà il massimo riconoscimento alla loro dignità di esseri umani.

Vera festa di gioia

dal “Giornale di Cuneo”, 1975

All’arrivo a Roma del gruppo cuneese di bambini in difficoltà, di famigliari, di educatori e amici, la città eterna presenta al nostro sguardo di pellegrini dell’Anno Santo il traffico delle grandi metropoli mondiali. L’indifferenza pare sia la caratteristica di coloro che ci è dato di incontrare per la strada, sui tram, per le piazze…

Questa nostra prima impressione verrà però smentita perché potremo constatare come la indifferenza di alcuni contribuisce ad esaltare la libertà e la naturalezza di altri in un clima di reciproco rispetto.

Domenica 26 ottobre; Piazza San Pietro. Circa 6,000 persone provenienti dalle più disparate parti del mondo…

Ogni gruppo porta uno stendardo ai cui piedi sono raccolti sani e sofferenti, ma tutti con la gioia sul volto. È un’assemblea che all’occhio umano può apparire deprimente, una somma di menomazioni fisiche o psichiche che pesano sulle persone sane; ma in realtà non è così, perché non è il sano a dare all’impossibilitato ma viceversa, tramite la giola che traspare dal suo volto, dalla serena convinzione di sentirsi accettato per quello che è. Questo pellegrinaggio è stato per i partecipanti un incontro gioioso, la festa della gioia!

Fiaccola a S.Pietro

Martedì 28 ottobre

Mille e mille lucciole
trepidanti d’amore,
si levano nel cielo
inneggiando al Signore.

Son tante fiammelle
che illuminano il viso,
dove ora germoglia,
la gioia e. il sorriso,

Ci siamo incontrati
con vessilli e bandiere
e lì nostro cuore,
non ha più frontiere!

Or ci sentiamo
l’un l’altro giulivi…
Rimaniamo per sempre,
uniti e vicini.

Nella volta stellata
si alza una voce…
Alleluja, alleluja.
Alleluja alla Croce!!

Otello (un amico romano)

Questo articolo è tratto da:
Insieme n.7, 1975

L’eco della stampa ultima modifica: 1975-12-03T13:00:34+00:00 da Redazione

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