Questa cronaca è un filo che unisce queste pagine. Serve per raccontare sommariamente a chi non c’era quei tre giorni ad Assisi.

Serve a cucire insieme i momenti maggiori (con Jean Vanier, col cardinale Martini, col vescovo Goretti) alle sensazioni ed episodi descritti dalle persone che li hanno vissuti, alle feste, alle immagini di questo incontro che ha dato gioia e crescita a tanti di noi. Noi che abbiamo camminato in questo pellegrinaggio di Fede e Luce sulle orme di S. Francesco secondo la sua Preghiera semplice: «Signore fa’ di me uno strumento della tua pace».

Naturalmente non si può «sentire» che cosa è stato rincontro di Assisi, come non si può «sentire» come è una musica dalle parole che la descrivono.

Perciò queste pagine vogliono più che altro dire: prova a venire con noi.

Assisi e le sue salite

Venire ad Assisi è stato faticoso per diverse delle 42 comunità italiane di Fede e Luce: le più lontane, quelle di Cuneo (San Domenico Savio, San Giovanni Bosco e Guida la tua guida) e di Mazara del Vallo.

Sono venuti anche alcuni rappresentanti di comunità straniere: Jugoslavia, Svizzera, Francia, Libano.

Il viaggio più lungo e difficile è stato dal Libano.

Dalle 17 di giovedì 24 aprile cominciano gli arrivi dei vari gruppi. Assisi ci accoglie con un bel pomeriggio e con le sue salite ripide e le numerose scale che costringono le carrozzelle a lunghi giri e sono il soggetto principale di battute e dialoghi volanti, specie dopo che Jean Vanier, il sabato mattina presenterà come tema centrale dei suoi incontri la necessità di «scendere» le scale secondo l’esempio di Francesco e la parola di Cristo. Il primo incontro è per la cena. I gruppi più numerosi sono nella Cittadella di Assisi e nel Cenacolo Francescano.

L’applauso silenzioso

Il primo appuntamento generale è alle 21 nel teatro della Cittadella per la «Veglia di presentazione». Si comincia, anche se alcune comunità che hanno avuto il viaggio più lungo non sono ancora arrivate, altrimenti per alcuni ragazzi al far troppo tardi, specie nell’eccitazione della festa, può seguire poi una notte irrequieta.

Non basta: alcuni possono essere disturbati da rumori troppo forti e Mariangela fa una proposta che mi pare molto bella (oltreché una manna per le fotografie a colori): l’applauso silenzioso. Ognuno dei novecento partecipanti invece di battere le mani agiterà il suo fazzoletto. È il triangolo di stoffa che ogni partecipante porta al collo: ogni regione un colore e ogni comunità un particolare disegno (ripetuto sullo stendardo di ogni comunità, che lì peri lì pare un impiccio inutile, ma che poi sarà utilissimo per ritrovarci nella folla che percorre Assisi).

Sventolata di fazzoletti (cioè applauso silenzioso) alla proposta.

In questa prima festa si stabilisce il tono del pellegrinaggio al seguito di San Francesco. E su questo tema sono diversi fra i canti guidati da Nanni, Matteo e Antonio con le chitarre.

Si fanno le presentazioni. Prima vengono grandi saluti silenziosi per alcuni rappresentanti di Comunità straniere. Gli amici Jugoslavi, non capiscono l’italiano e hanno come unico contatto con noi uno che capisce il francese: quanto alle parole; perché con gli occhi e le mani si capisce tanto; infatti ci conducono a cantare con loro.

Gli amici di lingua francese ci trascinano in un classico di Fede e Luce cantato e mimato naturalmente. Seguono le presentazione degli amici svizzeri, seguite dal saluto commovente delle due amiche libanesi. Poi vengono presentate le 39 comunità italiane presenti.

Cominciano le rappresentazioni francescane, mute ed espressive per chi ha limiti di comprensione, ma esemplari per tutti nella loro essenzialità. Ecco la storia della vocazione di Francesco; la storia del lupo di Gubbio; l’incontro col lebbroso; l’incontro di Francesco col Papa; infine la danza del Cantico delle Creature, mimate da amici e ragazzi. Tutti seguono con grande intensità il messaggio francescano, anche se non possono capire tutto. Fabietto che ha subito operazioni per mettere in uso le mani e sa bene che cosa significano le bende, segue con attenzione spasmodica Francesco che svolge le bende del lebbroso, simbolo di fraternità che guarisce e dà salvezza. I guizzi e il vento dei fazzoletti chiudono la prima festa: abbiamo cominciato a camminare insieme con Francesco. Usciamo cantando «Dolce è sentire…» Fuori le stelle, il silenzio di Assisi, e le pietre, e le scale e i vicoli di notte che percorriamo ognuno verso il suo alloggio.

I passi dietro Francesco

Il venerdì mattina i passi dietro Francesco sono anche materiali: ogni comunità percorre alcune delle vie di Francesco e sosta nei suoi luoghi: San Damiano, la Porziuncola, l’Eremo delle Carceri, Santa Chiara, le Basiliche sovrapposte.

Come avverte il chiaro e completo quaderno del pellegrinaggio consegnato a ognuno, l’incontro con Francesco è fatto di silenzio, di ascolto, di pace: il silenzio ci fa pellegrini; naturalmente non è il silenzio di chi si chiude in se stesso e l’essere pellegrini non è attività delle gambe — anche se qui ad Assisi sono servite, eccome — ma del cuore e della mente.

Anche il pasto è un bell’incontro, allegro, con canti.

Nel pomeriggio: «Punti di incontro». Sono venti con i contenuti più diversi (vedi l’elenco e le esperienze di alcuni partecipanti): servire, giocare, lavorare, riflettere.

Alcuni argomenti, è stato osservato, erano troppo ampi per le due ore previste, ma in ogni caso erano utili per il metodo impiegato nel trattarli.

Alla fine si va alla Basilica superiore per l’Eucarestia con il cardinale Martini, che segue con cura Fede e Luce italiana.

Con Martini in San Francesco

La cosa più suggestiva della basilica sono gli affreschi di Giotto sulle pareti: grandi, chiari, raccontano la vita di Francesco. Ci sorprendiamo a riguardarli con stupore. Toh! Riproducono le scene di ieri sera. Veramente è il contrario, ma l’inversione si giustifica: quelle erano fatte dai nostri ragazzi e dagli amici e dai genitori ai quali ci unisce una rete di affetti; questi fanno della Basilica Superiore un gioiello d’arte, forse più un museo di una chiesa. Infatti i turisti guardano un po’ stupiti questa folla che entra per una messa con i fazzoletti colorati, i canti, le carrozzelle, le sembianze insolite, le camminate diverse.

Alcuni sono irritati perché non potranno visitare gli affreschi nella prossima ora e mezza.

Arriva l’arcivescovo Martini. Lo accoglie il canto «Maranatha», vieni Signore. Comincia la celebrazione. Intorno sono i sacerdoti di Fede e Luce tra i quali spicca il nero Clemente. Intorno ancora, molti dei ragazzi più colpiti e degli amici, seduti sui gradini, per terra, in piedi, fitti, intenti. Martini, alto, imponente eppure «vicino» a chi lo circonda. Quanto, si vedrà poi la sera quando parlerà con i genitori.

Ha un vangelo difficile da spiegare: le ultime parole di Gesù prima di salire al cielo: andate in tutto il mondo; chi crederà sarà salvo; ecco i segni di quelli che crederanno. Spiega con chiarezza e brevità. Ascoltaci Signore! Ascolta le nostre richieste semplici e grandi, alcune dette con tanta fatica.

L’azione scenica, che spesso è nelle messe di Fede e Luce per facilitare ai ragazzi la comprensione di questo o quel concetto religioso, rappresenta dei pellegrini (l’umanità) che cercano chi è il Salvatore, colui che guarisce, e, trovatolo, seguono la sua parola.

Dopo la consacrazione, lo scambio della pace che è sempre uno dei momenti più intensi e ricchi delle messe Fede e Luce.

E questa volta, pressoché inaspettato, abbiamo un altro grande momento: due bambine molto colpite fanno la Prima Comunione, fra i loro genitori. Martini, grande, si piega portando l’ostia, giù, a Manuela e ad Anna nei loro passeggini.

Usciamo nel piazzale davanti la basilica, commossi, tra il prato verde, le pietre dei muri e del lastricato, nella luce ombrata di quando il sole è appena tramontato. Indugiamo nello staccarci dalla basilica, ma ci torneremo domani con Jean Vanier. Piano piano sfiliamo via con i nostri piccoli stendardi colorati, fra le viette che diventano viola.

Dopo cena Martini parla, solo ai genitori e ai sacerdoti. Perché si capisce dal tema, che è una frase del Vangelo «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? Rispose Gesù: Né lui ha peccato, né i suoi genitori…».

Intanto nei vari alberghi si svolgono le veglie di amici e ragazzi finché tornano i genitori.

Scendere le scale

Sabato è il giorno di Jean Vanier. Primo incontro alle nove, nel teatro della Cittadella.

Jean arriva in una macchina piccola, ne esce snodandosi per i suoi due metri: è grande, non solo di statura. Siede sui gradini del palcoscenico; Anna, accanto a lui, traduce. Jean costruisce il tema di questa giornata su due idee principali: prima, per incontrare il piccolo, il povero, dobbiamo scendere le scale secondo le parole di Gesù e l’esempio di Francesco, non salirle come ci invita la società; seconda, meditiamo la storia di Lazzaro e del ricco epulone.

Il suo modo di parlare può essere descritto dal verso della canzone di San Damiano: «…una pietra dopo l’altra, alto arriverai». Somma concetti semplici e fa sempre più salire chi ascolta senza che quasi se ne accorga. Tutti restano incatenati, le facce tese. Quando si esce, si ha la sensazione che con quelle parole qualcosa dentro noi è cambiato.

Torniamo alla basilica di San Francesco, per continuare l’incontro con Jean. Ora il tema principale è la conversione, il perdono, la necessità, per fare qualunque cosa, di mantenerci collegati a Cristo, sull’esempio di San Francesco. Mariangela traduce, Giotto, sui muri, raffigura.

Nel pomeriggio, tempo per il sacramento della riconciliazione, per adorare, per contemplare la natura. Piccoli gruppi entrano nelle chiesette che per l’occasione hanno spalancato le porte. Poche parole e il «Bongiorno bongiorno» di qualche ragazzo sottolineano il silenzio e l’atmosfera di quell’ora.

Alle 17,30, messa per i bambini e gli stranieri nella basilica di Santa Maria Maggiore. Sulla porta, due genitori e due bambini piccoli distribuiscono rami di ulivo, simboli del tema del pellegrinaggio e strumenti per esprimere gioia e festa fra poco. Si prega principalmente per le comunità Fede e Luce del mondo, rappresentate su un pannello portato all’altare prima dell’offertorio. Dei bambini portano oggetti costruiti da loro, simboleggianti la vita di Francesco (spada, denaro, saio, bastone…).

I bambini, da due a dodici anni, hanno avuto un loro particolare programma di pellegrinaggio.

Alle 18,30 l’Eucarestia in Santa Chiara. Celebra il nuovo assistente nazionale di Fede e Luce, P. Enrico Cattaneo di Napoli. Prende il posto di don Dario Madaschi, tornato al Padre all’età di 31 anni.

Con alcuni scritti di Don Dario e testimonianze di amici abbiamo fatto un libretto: «Ancora camminiamo insieme», che è stato donato a tutti i partecipanti.

La sera gli amici si ritrovano ancora per una veglia al Cenacolo con Jean Vanier secondo un modello collaudato: testimonianze (di una nuova amica, di un seminarista, di un amico cieco, che raccontano che cosa è Fede e Luce per loro), il racconto dell’esperienza di Jean; (la giovinezza, gli studi, l’incontro con le persone handicappate…), tanti momenti di «silenzio»…

Intanto nelle sale dei vari alloggi, i genitori e qualche amico rimasto con i ragazzi animano degli incontri.

Per esempio, nel teatro della Cittadella, Nanni della Comunità Santa Silvia e Dario della comunità di San Francesco, cercano di accendere un po’ di festa: prima stenta, poi si alza. Finisce a danze popolari. Danza anche don Franco Costa venuto questa sera da Roma per una breve visita. Va a finire — un’altra! un’altra! — che i ragazzi non vogliono smettere più, non parliamo poi di andare a letto.

Domenica, ultimo giorno. Comunità libere fino al gran finale: la messa nella cattedrale di San Rufino con il vescovo di Assisi. Sarà per la carica accumulata in questi giorni, sarà per il senso inespresso di qualcosa di prezioso che sta per finire, l’Eucarestia è più sentita che mai. Il vescovo, Sergio Goretti, ne resta colpito. Dice nell’omelia: da cinque anni e mezzo che sono qui, non ho mai vissuto un’Eucarestia così. Dice: grazie di aver scelto la chiesa di Assisi. Dice: tornate.

All’uscita ci salutiamo tutti. Ed esplode una sorpresa per tutti, preparata dal gruppo dei bambini: una danza nella quale i danzatori vestiti di coloratissime stoffe e carte scorrono intorno a una bambina, in piedi su una sedia, che rappresenta San Francesco. Uno a uno si tolgono le «vesti» facendone un variopinto mucchio, intorno al quale turbinano felici. È l’ultimo messaggio francescano prima di partire. Cantiamo tutti «Laudato sii mi’ Signore…» lasciando volare palloncini colorati.

Ora tutti si scambiano saluti e fazzoletti e baci, con gioia e un filo di tristezza. Fra poco si parte. Nel cielo, nuvole scure preparano la prima pioggia di queste giornate.

di Sergio Sciascia, 1986

Sergio Sciascia, nasce a Torino nel 1937 ma si trasferisce a Roma con la famiglia pochi anni dopo. Fin da piccolo manifesta una spiccata passione per lo scrivere e per il capire le cose che lo circondano, e di questi due aspetti farà il mestiere di una vita. Una collega, amica della primissima Fede e Luce romana, mette in contatto Sergio con Mariangela Bertolini e con l’idea di trasformare il ciclostilato “Insieme”che legava le poche comunità italiane di Fede e Luce in qualcosa di più. Era l’autunno del 1981. Nasceva Ombre e Luci e Sergio accettava di esserne il direttore responsabile.

Sergio Sciascia

Giornalista

Quei tre giorni di Aprile ultima modifica: 1986-06-30T12:15:45+00:00 da Sergio Sciascia

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