Non è certo inusuale che un grande festival metta a disposizione degli accreditati con qualche forma di disabilità i servizi necessari per poter partecipare all’evento nel modo migliore possibile; ma, se la memoria non m’inganna, compilando la domanda per accreditarmi al Festival Internazionale del Cinema di Berlino per conto di Ombre e Luci ho visto per la prima volta che le eventuali esigenze potessero essere segnalate prima, e non dopo, l’accreditamento. Non mi ha sorpreso, perché la Berlinale, che si tiene nella capitale della Germania ogni febbraio da 74 edizioni, è un evento molto attento ai temi sociali: ad esempio, siccome alle proiezioni ci si può sedere dove si preferisce (arrivare presto è cruciale per ottenere un buon posto) viene garantito l’accesso prioritario a chi abbia una disabilità, specificando – non lo avevo mai notato in altre occasioni simili – che la possibilità vale anche per chi abbia disabilità non visibili.

Bisogna dire che l’accessibilità, tema molto caro a chi organizza grandi eventi con una copertura stampa internazionale, sarà l’ultimo dei problemi di un festival che, proprio per la sua attenzione ai temi dell’inclusione e del dialogo, rischia spesso di essere travolto da polemiche politiche. Due, quest’anno, sono già scoppiate: l’invito (poi annullato) ad alcuni politici di estrema destra per la cerimonia inaugurale del 15 febbraio, perché i valori che la Berlinale vuole comunicare sono incompatibili con il razzismo e la violenza verbale delle note idee del loro partito; l’assenza di alcuni registi in polemica con la posizione equidistante della Berlinale sul conflitto israelo-palestinese in corso, in questo caso perché la volontà generica e pubblicamente espressa di dialogo tra le parti, anche attraverso momenti di dibattito appositi, viene considerata troppo sbilanciata a favore di Israele a causa delle ragioni storiche del rapporto tra la Germania e gli ebrei.

In mezzo a tutte queste possibili polemiche, la speranza è che il cinema sia un’occasione di incontro e inclusione, anziché di divisioni. Mentre quindi attendiamo con curiosità di vedere i film in programma, vale forse la pena tornare indietro di un anno, alla Berlinale 73, perché il film che vinse l’Orso d’Oro, Sull’Adamant – Dove l’impossibile diventa possibile di Nicolas Philibert, uscirà finalmente anche nelle sale italiane dall’11 al 13 marzo, distribuito da I Wonder Pictures. È un documentario, ed è raro che questo genere vinca un grande festival; ma la giuria, pur in presenza di altri film meritevoli (citiamo almeno Tótem – Il mio sole di Lila Avilés, che riesce a mostrare lo sguardo di una bambina nei confronti della grave malattia del padre con una delicatezza commovente e mai morbosa) ha colto nell’opera di Philibert la magia di un cinema capace di dare voce, volto e anima a una parte della società che spesso rimane nascosta (e vedendo il film non si capisce perché ciò accada). L’Adamant è un edificio galleggiante ancorato sulla Senna, a Parigi: è un centro diurno che gestisce pazienti con disabilità mentali, dove i medici hanno quell’umanità che spesso, per le persone in cura, fa la differenza tra sentirsi veri esseri umani o solo oggetti indegni di attenzione e affetto.

È chiaro che Philibert abbia l’innata capacità di osservare e ascoltare chi desidera essere osservato e ascoltato – lo dimostrano anche i suoi film sui bambini – e infatti riesce a ritrarre, di quei pazienti che gli concedono il loro tempo anche con interviste di vari minuti, l’umanità a tutto tondo che li rende interessanti da ascoltare, fino a far credere che siano persone capaci anche di curare gli altri (magari anche noi spettatori) e non solo bisognose di essere curate. Quello dell’Adamant è un mondo vicinissimo alla vita del centro di Parigi, eppure ignorato dalla maggioranza dei parigini: ecco perché le opere dei registi capaci di arrivare dove noi in genere non guardiamo sono così preziose (e ogni tanto vincono festival importanti come la Berlinale).

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Dalla Berlinale presente e passata ultima modifica: 2024-02-16T09:52:34+00:00 da Claudio Cinus

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