Tanto veloce e forte appare la ripresa nonostante la nascita prematura che Sirio viene dimesso in anticipo di un mese rispetto al raggiungimento del peso minimo necessario (due chili). Dopo una sola settimana a casa però, ha un arresto cardiaco: manca il battito per 17 minuti. Minuti lunghissimi, terribili e devastanti in cui il papà, correndo all’ospedale più vicino, insuffla aria nei suoi piccoli polmoni e massaggia il torace microscopico. Lo insegue la madre (l’autrice, Valentina Perniciaro) cui «la morte continua ad apparire nei pochi sguardi che incrocia, prima che scappino». Alla morte però viene strappato, tra le mani di una rianimatrice che avverte subito i genitori: «Probabilmente non vi ho fatto un favore… – dice, e non consola – il danno cerebrale è quasi certamente devastante».
Ma è proprio in quel quasi che scopriamo tutto il piccolo Sirio. Se la prima diagnosi di stato vegetativo permanente, a causa della paralisi cerebrale gravissima, pesa come una sentenza e andranno perse per sempre la possibilità di respirare autonomamente e di deglutire (indispensabili si sono rese, infatti, tracheotomia e Peg), il bambino, in altri spazi, sorprende. «Sovverti regole, sovverti le lettere tutte e dietro quella tua bocca immobile e ogni giorno più spalancata appare sempre più straordinario il sorriso che sei», scrive Perniciaro. Sirio c’è, eccome se c’è, altro che stato vegetativo! Una neuropsichiatra, incrociandone lo sguardo nella culla della terapia semintensiva, intravede in lui, apparente pezzo di legno, il bambino che potrà essere, prima fra i tanti «Geppetto» incontrati nella riabilitazione neurologica da quel momento. «È dai loro occhi, da come catturano la tua attenzione, dalle capriole che ti fanno fare, dal modo in cui si rivolgono a te, che inizio a scorgerlo anche io, mio figlio» continua la madre. E con lei scopriamo le incredibili possibilità di Sirio, la sua capacità di ridere nonostante la bocca sia bloccata, costantemente aperta, e la sua voce.
Con «passi faticosi e lenti, di una lumachina irriverente: passi di piccolo coatto di periferia, quasi arrogante nel tuo volerci essere lo stesso, esserci comunque, esserci malgrado tutto», Sirio acquista e conquista, strappa spazi di libertà di movimento. Prima con la sedia a ruote (il piccolo è davvero un maestro alla guida, e lo si può ammirare in uno dei tanti video che mamma e fratello condividono attraverso i social dal loro account @tetrabondi), poi anche sulle gambe traballanti e tanto curiose. Con il suo «sopracciglio accogliente e le sue parole mute che in un attimo sanno parlare a tutti», conquista spazi di comunicazione, grazie alle immagini in Caa (comunicazione aumentativa alternativa) combinate ai segni della Lis (Sirio ha avuto una grave infezione alle orecchie che gli ha danneggiato gravemente l’udito) facendo emergere il bambino «anarchico… irriverente e sbilenco», dalla voce tanto inarticolata quanto efficace, sia nella risata da babbo natale che nel vaffa impertinente e spiazzante, perfetto per inveire contro una condizione che, francamente, non ha nulla di quell’aggettivo speciale con cui si pone, di fatto, una distanza incolmabile, tra noi e loro.
Certa che sia necessario per tutti un nuovo sguardo sulla disabilità, soprattutto su chi si ritrova a prendersene cura («Odio le carezze di chi mi dice “Io non ce l’avrei mai fatta… per fortuna Sirio è figlio di una come te”: ci riuscirebbero tutte quelle che ho incontrato in trincea: e ci riusciremmo ancor di più senza parole vuote che mentre ci dipingono come eroine e ci abbandonano permettendo che la nostra vita si svolga al chiuso, da un lato, altrove, lontana»), Perniciaro sottolinea che solo grazie all’indispensabile collaborazione quotidiana di tante professionalità (logopediste, infermiere, psicomotrocisti: «Sirio è anche figlio loro») sono state possibili tante conquiste tra cui, essenziale, la scuola; denunciando, al contempo, lo scandalo della differenza di trattamento a seconda di dove si risieda.
Perniciaro condivide in questo libro tanto di sé, di difficile – difficilissimo quando descrive «quel dolore che non sa detonare» in «madri che cercano di non sentirsi colpevoli, che non lo sono ma non lo sanno» – e di sorprendente, con una scrittura generosa, potente e abile: capace di lasciarci entrare nel suo mondo di donna, profondamente amata e amante, figlia, lavoratrice e madre anche di Nilo (il cui destino di fratello segna inevitabilmente la sua esistenza). Un fratello maggiore davvero particolare le cui parole aprono ogni capitolo del libro, perle e sassi allo stesso tempo, capaci di risvegliarci e lasciarci intuire quanto possa essere fertile, per Sirio e per noi, il suo sguardo. A fianco un uomo, Paolo, che ha saputo farsi caregiver a tempo pieno: custode di speranze a volte anche ogni oltre speranza per i suoi familiari.
A Perniciaro, dunque, il merito di saper portare fuori dalle mura di casa i sogni e i desideri di una famiglia, tanto essenziali alla vita (giocare, fare sport, andare a scuola, in vacanza) ma ancora troppo spesso da conquistare con dure battaglie, per un futuro finalmente e realmente condiviso. Futuro nel quale l’adulto che sarà Sirio possa davvero trovare la sua strada: per ora è un «piccolo costruttore di integrazione che non vuole guide. Ci vuole al suo fianco, sì, ma solo per essere accompagnato e aiutato in un percorso che vuole scegliersi da solo… Non è questo il desiderio più grande di una madre?». Incontestabile, pure per noi. Invitiamo caldamente a scoprire la storia di Sirio fin qui, bambino tra bambini «di solito non fatti così».
Ognuno ride a modo suo
Autore: Valentina Perniciaro
Editore: Rizzoli
Pubblicato: Pagine: 240
Prezzo: 16€
ISBN: 978-8817163187
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 159, 2022
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