Mi chiedete di cercare nella scatola dei ricordi qualcosa che riguardi gli albori di Insieme. Ma sono passati più di 40 anni, cioè il tempo che dall’essere mamma va all’essere nonna, (se non bisnonna!)
Però ci sono sensazioni che ritornano e aiutano: il rumore dei passi sulle scale del Nazareth per arrivare fino al mezzanino, luogo concesso al gruppo nascente di Fede e Luce, il “profumo” dell’inchiostro del ciclostile misto a quello della pizza al taglio della merenda, il suono della campana che con rintocchi personalizzati cercava le suore, i tonfi del pallone ritmati da chi, in giardino, si allenava per la partita di basket. A mezza via, tra il piano terra e il primo piano.
È questa l’atmosfera in cui è nato Insieme, che non aveva la pretesa di essere un vero e proprio giornalino, ma piuttosto uno strumento agile e semplice per tessere i legami tra chi iniziava a vivere l’avventura di Fede e Luce.
Era fatto di racconti, di cose concrete, di quel dire “è possibile” là dove la paura o il pregiudizio attorno alla disabilità toglievano il coraggio al passo da fare. Basato sulla condivisione, sulla necessità di uscire dal proprio buco e di finirla con il piangersi addosso. Niente retorica. Zitti i soloni.
Ha raccolto il vissuto di tanti, piccoli e grandi. Ha dato voce ai particolari, che a volte dicono più dell’insieme. Ricordo di aver chiesto a due bambini che cosa ricordavano del primo pellegrinaggio a Lourdes: un treno lungo lungo, tanta gente, ma soprattutto Nanni che la sera passava in tutte le carrozze con un carrello e gridava: “Brodo, brodo!” Già, dopo una giornata in treno e prima di dormire nelle cuccette, cosa c’è di meglio se non un buon brodo caldo?
E Insieme raccontava anche del brodo.
Dietro le quinte di questo giornalino c’era una donna che, senza apparire più di tanto, ha avuto un grande ruolo: Annarella.
Suora di Nazareth, chiamata poi “la nonna” da un ragazzo di Fede e Luce e diventata “la nonna” per tutti e di tutti, era colei che preparava le matrici di Insieme e non certo con la macchina da scrivere elettrica, ma con una vecchia Olivetti sulla quale bisognava pigiare bene i tasti per forare la velina che poi avrebbe lasciato trasparire l’inchiostro (informazione per i nativi digitali che non hanno conosciuto gli albori del ciclostile…).
La nonna mediava anche i nostri misfatti quando occupavamo il mezzanino con le riunioni di ‘redazione’ di Insieme, senza badare troppo all’orario e al vociare.
Una donna (non certo lo stereotipo della ‘suora’) che con la sua sola presenza rendeva credibile il vangelo. Poche parole. Qualche parolaccia, quando ci voleva. Molte benedizioni. E quel perenne sorriso.
E quel legame trinitario (Mariangela, Italia, Annarella), che testimoniava l’inversione delle parti, o la continuità della vita. Mariangela e Italia erano state sue alunne. Poi lei stessa si era messa al servizio dell’impresa (apparentemente impossibile) delle sue ex alunne. Con molta umiltà.
Ha passato giorni interi a litigare con il vecchio Getstetner (ciclostile) che a volte esagerava con l’inchiostro, con i fogli di carta che si inceppavano, con le pagine spaiate difficili da assemblare. Ma, finite le litigate, il giornalino era pronto.
E ancora, forse non a caso Insieme è nato al Nazareth. È stato contaminato dal valore del luogo: il Nazareth di Roma. Dove piccolo è bello. Dove l’apparente assurdità di una famiglia fuori dal comune (Maria, Gesù e Giuseppe, che guarda caso è il claim della congregazione) diventa scuola di umiltà e di normalità. E luogo di insieme. Non solo il titolo del giornalino. Ma una realtà tangibile, dove la diversità è un valore, il fare insieme è stile di vita quotidiana. Luogo dove anche l’assurdo dell’handicap, della debolezza e della diversità, diventa trama e ordito per una vera umanità.

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Un giornalino, una donna, un convento ultima modifica: 2020-09-16T11:01:15+00:00 da Manuela Bartesaghi

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