La lingua dei segni – non linguaggio, “lingua” mi fa notare un’amica che ha studiato a lungo il repertorio teatrale della comunità sorda francese – ha una dimensione performativa ancora tutta da esplorare, ma già intuita da chi, in campo artistico, ha avuto le antenne più sensibili, nella seconda metà del Novecento. La traduzione di The man I love di Gershwin, ad esempio, eseguita nella celeberrima coreografia Nelken (Garofani) attraverso una essenziale, struggente partitura di ideogrammi disegnati nello spazio dai movimenti delle mani che contagia progressivamente tutti i danzatori sul palco in un vorticoso, coreografico abbraccio, è ormai un classico del genere.

E, in effetti, un flash-mob coreografico potevano sembrare anche i tanti spettatori della comunità sorda che affollavano la hall del Teatro Nazionale e i bar vicini di via del Viminale e via Depretis, in una freddissima domenica pomeriggio di dicembre, discutendo animatamente tra loro con l’allegra fretta di chi si aspetta di assistere a uno spettacolo a lungo desiderato, in attesa dell’ultima replica romana del Richard II di Peter Stein e Maddalena Crippa. Per l’occasione, tradotta in Lis da due operatrici poste a un lato del palco.

Maddalena Crippa, in scena, è un credibile, risoluto Riccardo dai modi bruschi e alteri. Che con decisione, in modo assertivo ma non scortese, ha chiesto alle traduttrici Lis di spostarsi un po’ più indietro rispetto al posto loro assegnato dai tecnici, troppo vicino agli attori.

Può sembrare strano che sia stato necessario un intervento durante la replica da parte di uno degli interpreti, ma non bisogna dimenticare che uno spettacolo teatrale ha regole diverse rispetto alla proiezione di un film. Sul palco ci sono persone vive che interagiscono tra loro attraverso un complicato sistema di punti di riferimento pianificati durante le prove. Se cambiano le luci o la disposizione degli oggetti, sul palco sono elementi di disturbo, come per un musicista suonare con un rumore di fondo perennemente vicino all’orecchio.

Stranamente però, dopo il primo intervallo le due traduttrici Lis non sono più riapparse. La richiesta di Riccardo II/Maddalena Crippa sarà stata espressa forse in modo un po’ energico, ma a giudizio di chi scrive è più grave andarsene per sottolineare il proprio disappunto dopo una vera o presunta offesa, privando spettatori che hanno pagato il biglietto di godersi il resto dello spettacolo.

Il giorno seguente, presidente e direttore del Teatro di Roma hanno condannato il gesto, sorpresi da quello che definiscono un “comportamento irriguardoso” da parte di un’attrice che “si pregia del proprio talento e di una lunga carriera”. Crippa ha replicato subito su Facebook.

“Il Teatro Argentina non può prendere iniziative di questo genere senza preventivamente avere il consenso degli spettacoli ospiti e dei suoi artisti. Io sono stata informata solo questa mattina della presenza dei traduttori simultanei e ho subito chiamato la direzione del teatro, mi è stato garantito che tale iniziativa non avrebbe arrecato disturbo allo spettacolo perché sarebbero stati posizionati di lato al palcoscenico. Invece una volta cominciato lo spettacolo i traduttori non solo erano sul nostro stesso palco ma molto più avanti di noi totalmente illuminati così da rientrare completamente nel nostro campo visivo. Il mio lavoro richiede una concentrazione micidiale e per il rispetto di tutto il pubblico non accetto che questa venga in qualche modo compromessa. (…) Se si fosse organizzata la cosa con la dovuta cura forse avremmo potuto fare una prova e trovato la giusta collocazione.(…)”

Difficoltà superabili, sembra di capire, se si è disposti a dialogare sulla sostanza delle cose, senza fermarsi (da ambo le parti) a una reattività immediata, che non lascia spazio alla collaborazione nel rispetto delle esigenze di tutti. Spiace soprattutto che si cerchi spesso la scorciatoia della disputa; fare gli offesi in fondo è più comodo, chiude la partita, toglie diritto di replica alla controparte. Una scelta “facile” e istintiva, che però, in questo caso, ha privato gran parte degli spettatori in sala di uno spettacolo a loro esplicitamente, concretamente dedicato.

Giulia Guidi, 2018

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.141, 2018

Copertina OL 141, 2018

Perché tutti comprendano ultima modifica: 2018-03-26T09:55:42+00:00 da Redazione

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