Per tanti giorni la mia mamma non ha fatto altro che pensare ad Anna Lapper. Forse la ricorderete: qualche anno fa, una sua statua gigante – focomelica e incinta – dominò Trafalgar Square, e il dibattito pubblico. Fece scandalo (fece impressione, non giriamoci attorno) la presenza ingombrante di una donna che – nonostante la sua evidente disabilità fisica – esibiva un pancione e la forza disarmante di una maternità comunque gioiosa e potente.

Ebbene, nei primi giorni dopo l’incidente in cui si è rotta l’omero del braccio sinistro, nell’impossibilità assoluta di occuparsi della mia sorellina neonata, la mia mamma non ha fatto altro che pensare a come Anna Lapper, focomelica e determinata, abbia costruito il suo rapporto con il figlio. Perché già senza l’uso del braccio dominante, a un bebè non puoi far nulla. Cambiargli il pannolino, ad esempio; avvicinarlo al seno per allattarlo, ninnarlo anche solo un po’.

Perché, si sa, la maternità passa anche per una buona dose di fisicità. Ma forse – riflette la mamma – fisicità non è solo portare il bimbo in braccio, fargli le coccole tradizionali, cambiargli con delicatezza un pannolino o insaponarlo con cura durante il bagnetto: forse esiste anche una fisicità dello sguardo, dell’udito, la carezza di una parola, l’abbraccio di un sorriso pieno. Pensare ad Anna Lapper le ha fatto bene. Le ha dato forza.Una forza che ci è venuta anche grazie a tante persone. Siccome la mia sorellina nuova è vispa come una montagna russa perché praticamente non dorme mai, il babbo ha avuto bisogno (oltre a giorni di permesso) di un po’ di aiuto; che poi, oltre a curar la pupa, occorreva accudire anche la mamma (io, ormai, faccio da sola…). Allora è venuta la nonna, son venute le zie, ma anche tante amiche – giovani e meno giovani – e qualche amico. “Però”, ha pensato la mamma, “che meraviglia non essere soli”. Che poi la maggior parte delle persone la mamma e il babbo le hanno conosciute a Fede e Luce (o tramite Fede e Luce), pensa un po’.

Qualche settimana dopo la mamma ha cominciato a fare la fisioterapia – lontano da casa. Niente auto (non può guidare), niente bus (a lungo non si è sentita sicura), niente motorino (ovviamente!), e allora via a piedi. Ha attraversato in lungo e in largo Roma, quella matta della mamma. E ha pure un po’ allungato il percorso: perché? Perché così, per giorni e giorni, è passata sotto la casa di Stefano Di Franco (il nostro Capitano). Ora lui vive qualche piano più su, è vero… ma passare davanti al suo portone è stato comunque un modo per salutarlo. E per dire grazie a Fede e Luce, meraviglioso girotondo in cui sempre meno capisco-chi-aiuta-chi.

Giulia Galeotti, 2017

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.137

Viola e Mimosa n.137 ultima modifica: 2017-03-16T09:50:14+00:00 da Giulia Galeotti

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