La disabilità, pur essendo una profonda ferita, non può e non deve costituire una giustificazione per recriminazioni, pietismi, passività ed un alibi per la produzione o l’attesa di interventi di sostegno preformati, spesso parziali e qualitativamente insufficienti ai reali bisogni. Riteniamo, al contrario, che iniziative costruttive, possibilmente originali, e comunque scaturite dalla concreta analisi delle risorse e dei vincoli esistenti, in particolare quelli economici e culturali, permettano alle agenzie che a diverso titolo interagiscono con le famiglie interessate, d’intesa con le famiglie stesse ed in rete tra loro, di accrescere la propria dignità, il proprio potere contrattuale, la propria autorevolezza e, dunque, di innescare un processo virtuoso volto alla crescita del benessere personale e collettivo.

Quando noi, dodici soci, nel settembre del 2013 demmo vita all’Associazione Vedere Oltre avevamo in mente diversi progetti e diverse possibili strade per realizzarli, ma nessuna esperienza pratica di cosa significasse dare respiro ad un’associazione che avesse lo scopo di tutelare gli interessi di nostra figlia Marta e di altre persone con disabilità e delle loro famiglie.

Mentre eravamo alla ricerca di una soluzione organizzativa. e non solo abitativa, per un dopo di noi (o meglio, secondo il tema dell’ultimo workshop, per un “senza di voi”) per Marta ed alcuni suoi amici, sentivamo la necessità di farci conoscere, sia per ottenere visibilità e, perché no, finanziamenti attraverso donazioni, sia per proporre buone prassi poste in essere da operatori dei diversi principali settori o ambiti in cui potremmo artificiosamente scomporre la vita delle famiglie con disabilità, così come la vita di ogni altra famiglia.

Prese avvio perciò la produzione dei nostri eventi: all’inizio la maggior parte di natura musicale e in più, timidamente, qualche evento che potremmo definire “tecnico” sulla disabilità, realizzati con l’intervento di esperti, autori o protagonisti di buone prassi. Andammo a cercarle, queste persone, e nessuna mai ci ha opposto un rifiuto, anzi ne ricevemmo quasi sempre un “rilancio” in termini di offerta di nuove idee che accrescevano l’ampiezza e lo spessore delle nostre iniziali intenzioni.

Scoprimmo, così, un po’ per volta, che organizzare eventi sulle buone prassi non solo ci costringeva a riflettere con più consapevolezza sugli argomenti che volevamo rappresentare, ma ci conduceva ad organizzare incontri con e tra persone competenti e volitive che, a loro volta, scambiandosi le reciproche esperienze, generavano una sinergia che, in non poche occasioni, ha prodotto nuove e significative iniziative, per noi prima impensabili.

La soddisfazione che ne è derivata, nel giro di pochi mesi, ci ha portato a preferire questi eventi a quelli artistici, che, diradandosi, hanno creato lo spazio sufficiente alla realizzazione dei workshops. Per altro, l’esperienza dei primi tentativi ci aveva già mostrato quanto fosse per noi meno complessa ed onerosa l’organizzazione di eventi “tecnici” a fronte dell’allestimento di uno spettacolo artistico.

Mia moglie Lucina suggerì che i workshops fossero collocati all’interno di una medesima “serie”, omogenea per finalità ma eterogenea per le materie trattate, il cui titolo rispecchiasse il nostro scopo ultimo, quello cioè di esaltare la dignità ed il bisogno di autonomia delle persone con disabilità, specie se adulte, e la necessità che fosse loro riconosciuto il diritto di essere percepite a tutti gli effetti come “persone” e quindi portatrici degli stessi bisogni di ogni altro, in particolare il benessere fisico, materiale ed emotivo, lo sviluppo personale, l’autodeterminazione, l’inclusione sociale, le relazioni interpersonali. Dunque un titolo che auspicasse l’abbandono dell’assistenzialismo e suggerisse l’emersione della “persona” dai vincoli sociali della disabilità, ovvero “Dall’ assistenza all’esistenza”.

I titoli prescelti per i sei workshop sono stati:

  • Disabilità e… scuola media superiore
  • Disabilità e… salute
  • Disabilità e… educazione alla fede
  • Disabilità e… cittadinanza
  • Disabilità e… autonomia
  • Disabilità e… “senza di voi” ovvero non solo casa-famiglia

Perché chiamarli workshops, cioè laboratori? Perché, nelle nostre intenzioni, mettere a confronto tra loro e con il pubblico i protagonisti di buone prassi per i diversi ambiti di vita prescelti significava favorire accordi e sinergie e la proposta di ulteriori esperienze innovative, così come avviene in quei laboratori dove la ricerca del miglioramento è il primo strumento di lavoro, ricerca che non si accontenta dello status quo, spesso gravemente insufficiente a rispondere ai bisogni espressi ed inespressi delle persone e delle famiglie con disabilità. Senza pietismi, senza recriminazioni, senza maledizioni, ma, nonostante la profonda ferita inferta dalla disabilità, con le maniche già rimboccate.

Mariano S. Pergola
Vedere Oltre – Associazione Onlus

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.136

Dall’assistenza all’esistenza, sei workshop dell’Associazione Vedere Oltre Onlus ultima modifica: 2016-12-16T10:45:14+00:00 da Redazione

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