Un giorno, durante una messa a Lourdes, mi trovai seduto accanto ad una signora, la cui lingua usciva dalla bocca senza potervi rientrare. Era molto impressionante guardare quel viso dal quale uscivano tubi e tubicini. Ogni tanto emetteva dei gridolini ed io mi chiedevo: “Perché Signore, permetti tutto ciò?”. I passanti distoglievano lo sguardo. Al momento della comunione ho visto alzarsi una suora con una siringa in mano che conteneva Ostia polverizzata e in tal modo la signora poté tranquillamente comunicarsi.

Allora mi sono detto: “È dunque questo, condividere il pasto del vero Amore!” Gesù viene a visitare ciascuno grazie alla tenerezza e all’inventiva delle nostre comunità. Capivo, grazie a quella donna chi era il Dio che si fa piccolo.

Da allora, quando parlo dell’amore di Gesù per i malati, io che sono tetraplegico tracheotomizzato, in sedia a rotelle, vedo nello sguardo dei miei interlocutori diverse reazioni. Quelli che non Lo conoscono hanno un atteggiamento riservato e prudente. Sembra che dicano: “se la religione gli fa bene, non staremo a contraddirlo”, tuttavia sembrano saper instaurare facilmente una semplice relazione umana.

Quelli che invece Lo conoscono, si rallegrano di sapere che ho per amico il Cristo, ma per loro è forte la tentazione di ridurmi ad una dimensione solo spirituale, dimenticando i gesti di amicizia semplice come mangiare insieme, andare a spasso, vedere un film. Molti genitori di figli con handicap, mi dicono: “Sono gentili con noi, a messa o nel gruppo di preghiera, ma dopo non c’è più nessuno. Le passeggiate si fanno fra persone normali: noi, sembriamo essere un peso”. Questa solitudine è una vera povertà. Vorrei ricordare come il Cristo non si sia limitato a predicare come un rabbino solitario.

Era circondato da amici. Si vorrebbe ancora oggi rinchiuderlo solo nella vita spirituale o nell’iniziazione eucaristica. Eppure la Bibbia non separa l’Uomo dal suo quotidiano. Gesù mangerà del pesce seduto sulla spiaggia, troverà il tempo per andare da chiunque, per festeggiare al banchetto di nozze di un amico. Chiede ad un cieco che cosa egli desideri. Ha il tempo e gli piace trovare questo tempo. Raccomanda di invitare alle nostre tavole i dimenticati e di non accontentarsi di dire “Signore, Signore” senza conseguenze.

L’incarnazione è vivere con gli altri in mezzo a tutti, non rinchiuderli in una vita interiore che, in fondo, costa poco. Bisogna trovare il tempo e questo è spesso più difficile che andare a messa.

Jean Christophe Parisot, (Diacono, Prefetto, miopatico, sposato e padre di quattro figli), 2013

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.124

L’amicizia incarnata ultima modifica: 2013-12-14T14:23:00+00:00 da Redazione

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