Ormai il Cardinale Carlo Maria Martini è nella grande Gerusalemme celeste, da Lui desiderata durante la sua vita di studioso, di sacerdote della Chiesa universale, di pastore aperto al dialogo con ogni uomo e donna di buona volontà. Molte cose sono state scritte e molti ricordi sono stati espressi da persone a Lui vicine. Non sarà perciò un compito facile aggiungere qualcosa, ma lo faccio per il debito di riconoscenza per il grande dono che ho ricevuto avendo fatto parte di Fede e Luce per molti anni.

Quando nel 1982 Jean Vanier chiese a Francesco Gammarelli e a me (all’epoca responsabili italiani di Fede e Luce) di fare dei passi per contattare il nuovo Vescovo di Milano S. Ecc. Carlo Maria Martini, mi sembrò, come spesso accadeva con le richieste di Jean Vanier, una delle sue solite richieste di “andare sulla luna”… Queste erano pressanti e necessitavano di una risposta positiva, perchè, ci disse: “le persone di Fede e Luce ne avevano estremamente bisogno”.

Così fu, e in una saletta riservata di un immenso palazzo vicino al Vaticano, che incuteva timore e riverenza al solo entrarvi, Francesco e io incontrammo il Vescovo. Gli chiedemmo di divenire “Amico” di tutto il popolo di Fede e Luce, e di essere “Vescovo referente” nei rapporti con la Chiesa istituzionale: dei ragazzi in primis, dei genitori spesso disperati e esasperati da ripetuti rifiuti per i loro figlioli, degli amici, non sempre esemplari rispetto alle regole dei buoni cristiani che frequentavano parrocchie e oratori.

Francesco ed io parlavamo parlavamo, parlavamo delle nostre necessità, delle sofferenze, della certezza dell’ amicizia umana e spirituale che si creava nei nostri gruppi così al di fuori della normalità; i nostri non erano gruppi di carità, nè di educazione, nè di approfondimento culturale, le persone così diverse tra loro, adulti e giovani, persone con handicap disparati, riunite insieme solo dall’amicizia e dal lasciarsi guidare dai più piccoli. Ci sembrava di parlare invano: probabilmente le nostre parole non avrebbero convinto una persona colta, un dottore della Chiesa come quello che avevamo dinanzi.

Ma dopo un lungo ascolto, che noi avevamo scambiato per educato disinteresse, ci disse che sì, avrebbe accettato di diventare il nostro Vescovo, perchè nessuno, anche il più dotto, poteva sapere che cosa il buon Dio dicesse personalmente al più piccolo dei nostri fratelli con handicap e che nessuno, sia il più credente che il più ateo, poteva sapere che cosa il buon Dio voleva comunicare a ciascuno attraverso questo mondo di Fede e Luce.

Così cominciò per Fede e Luce una lunga consuetudine di avere un Vescovo (successivamente un Cardinale) per “Amico”: ogni volta che veniva organizzato un evento significativo, un pellegrinaggio, un incontro nazionale o internazionale, il Cardinale Martini interveniva, partecipava, viveva qualche tempo in mezzo a noi e ci portava il contributo della sua riflessione nella quale univa sapienza e vita. Ricordo la riflessione, molto dura e impegnativa per i genitori in occasione di un pellegrinaggio ad Assisi sul tema del terribile e insondabile evento della sofferenza per la presenza di un figlio o una figlia con problemi così seri come quelli vissuti a Fede e Luce: “Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori…? …è così perchè si manifestassero in lui le opere di Dio” Gv., 9, 2-3. (1)

Inoltre, come Consiglio Nazionale, avevamo il privilegio e il compito di rivederci con Lui una volta l’anno per un intero pomeriggio a Milano. Questi incontri si sono ripetuti dalla prima volta nel 1983 fino a quando il Cardinale lasciò la Diocesi di Milano, nel 2005.

Arrivavamo da città diverse, spesso di corsa, avendo lasciato ognuno i propri impegni prioritari… Anche Lui metteva per qualche ora da parte la cura impegnativa della sua Diocesi, sicuramente prioritaria per il suo dovere di Vescovo.

E, fin dal primo saluto, la sua accoglienza era informale, lo sguardo rivolto personalmente a ciascuno, l’orecchio attento ai nostri progressi e ai nostri timori, la mente pronta a captare e a rilanciare i problemi in chiave più ampia, più spirituale, più aperta alla provvidenza e alle sue misteriose strade. Nel salutarci, su tutti calava una sensazione di pace, derivata da una comune certezza: avevamo contribuito alla piccola, ma essenziale opera di far crescere una pianta robusta, anche se non grande, non conosciuta, non tenuta in grande considerazione nella società e nella Chiesa italiana. Questo è quanto riviviamo nel ricordo, sia coloro che hanno potuto partecipare di persona agli incontri con Lui, ma anche attraverso le parole che sono rimaste negli scritti frutto di questa esperienza.

Negli ultimi anni ho avuto brevi contatti con il Cardinale Martini per aver “condiviso” la dura esperienza della malattia di Parkinson, avendola Lui vissuta per più di quindici anni in prima persona e io come moglie di una persona che tuttora vive questa difficile situazione. Una malattia che imprigiona il corpo e talora la mente, che non fa intravedere speranze di miglioramento, che deve essere accettata con pazienza e con determinazione giorno per giorno, minuto per minuto.

Ogni volta che ascolto la preghiera della Messa, durante la quale il sacerdote prega “per il nostro Papa, e per il nostro Vescovo”, da allora, e ancora oggi, io, senza far torto al Vescovo della mia diocesi, aggiungo il nome “Carlo Maria”, e so che anche Lui, ora come allora, prega per ognuno di noi nella pienezza della Vita.

Valeria Levi Della Vida, 2012

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.120

Un vescovo per amico ultima modifica: 2012-12-10T15:35:04+00:00 da Valeria Levi della Vida

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