Sono tutte storie positive quelle presentate nel dossier: nipoti, tutti con sindrome Down, quasi sempre di facile accoglienza, di non difficile accompagnamento.

Non è, ahimè, sempre così. Può capitare che qualche nonno o nonna non ne vogliano sapere di quel nipote; che il figlio o la figlia non se la sentano di affidare il proprio “caso difficile” a delle persone che “ci complicherebbero ulteriormente la vita”. Può succedere che il/la nipote sia veramente troppo difficile da accudire per delle persone anziane non più in grado di “tener duro” di fronte a certi capricci e troppo lontane ormai da compiti di difficile interpretazione.

Questo accade soprattutto con i bambini o con i ragazzi autistici che sono un arduo problema non solo per i genitori ma anche per gli educatori. Allora ho pensato e riflettuto a tante situazioni che mi sono passate davanti agli occhi: essendo io stessa nonna ormai da tempo, mi pare di poter affermare che, al di là delle difficoltà obbiettive che alcuni casi presentano, c’è un ruolo importante che i nonni possono e forse debbono assumere sempre, in ogni caso.

Quello di essere i primi sostenitori dei propri figli, divenuti genitori di figli un po’ complicati.
Sostenere vuol dire, mi sembra, schierarsi anima e corpo nel voler bene, da subito a quel bambino/a. A far sentire ai genitori – anche se all’inizio sperduti, distanti, silenziosi, arrabbiati… – che loro sono lì a disposizione, pronti ad assumere la loro partecipazione senza critiche, né consigli, né raccomandazioni.

Non è facile, soprattutto per le nonne, essere accanto con tenerezza, affetto, dolcezza, senza rovinare quel filo sottile di complicità che si sta costruendo a fatica, con commenti poco appropriati, con frasi buttate lì per sbaglio ma che possono fare tanto male. Non è facile essere nonni: la distanza fra generazioni si sente sempre di più con i tempi che corrono come adesso. Quando poi c’è di mezzo un elemento così nuovo, non atteso, al quale nessuno è preparato, che scompiglia l’andamento regolare già di per sé difficile; allora si ha l’impressione di non poter reggere; si teme di avere a che fare con qualcosa che ci è sconosciuto totalmente. Ci si tira indietro…si esita…si preferisce far finta di…si parla d’altro. Ma intanto capiamo che si sta buttando via quel ruolo che ci è assegnato da madre natura.

Quando poi, a non fare i complicati, è così semplice “fare bene i nonni”. Basta aver accettato di essere non più genitori – tutti dediti a mille impegni verso la famiglia – ma nonni, che vuol dire in parole semplici, giocare il ruolo della tenerezza verso i figli e i nipoti. Saper rompere le tensioni con un bel sorriso; scherzare un po’ quando il clima si fa tenebroso; tirar fuori un oggetto o un libro o una foto dimenticati per sviare l’interesse da un argomento fattosi teso. Proporre di cantare insieme una canzone di tanto tempo fa’. Preparare un pranzo a sorpresa. Permettere ai figli di uscire una sera da soli e tenere con sé i bambini…

Mille altre piccole attenzioni che richiedono soprattutto di dimenticare il proprio dolore, la propria preoccupazione per quel bimbo difficile, per far prevalere invece tutta la comprensione e tutta la disponibilità di cuore verso i figli e i nipoti tanto amati.

Mariangela Bertolini

Nata a Treviso nel 1933, insegnante e mamma di tre figli tra cui Maria Francesca, Chicca, con una grave disabilità.
È stata fra le promotrici di Fede e Luce in Italia. Ha fondato e diretto Ombre e Luci dal 1983 fino al 2014.

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Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 117, 2012

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I nonni, una tenerezza in più ultima modifica: 2012-03-16T11:08:09+00:00 da Mariangela Bertolini

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