Il 7 marzo di quest’anno rientravo a casa con mia moglie verso l’ora di pranzo. Vedendo il telegiornale ci colpì la notizia che nell’ospedale di San Giovanni di Dio di Frattaminore, la sera prima, era stato abbandonato un bambino di pochi anni, celebroleso.
Subito chiamai il mio caro amico assistente spirituale regionale Don Giorgio che presta servizio in quell’ospedale come cappellano.
Gli chiesi se in qualche modo potevamo essere utili, e che poteva contare su di noi.
Subito replicò che c’era bisogno di turni per accudire il bambino e chiese se mia moglie poteva dare alcune ore di disponibilità.
Lei subito accettò e la sera stessa andammo in ospedale perchÈ era forte il desiderio di conoscere il bambino. Giunti in ospedale per nostra meraviglia vedemmo in un lettino un cucciolo d’uomo, sembrava di circa 4 anni, spaventato ma soprattutto denutrito. Aveva due occhioni da cerbiatto con ciglia lunghissime e una disabilità evidente.
Lo prendemmo in braccio ma dovevamo sorreggergli la testa tanto era debole. Ce ne siamo subito innamorati. Siccome è stato trovato il giorno prima della festivita” di San Giovanni di Dio gli è stato dato il nome di Giovanni.
Mia moglie mi mandò un’occhiata e capii subito cosa volesse dire e sono stato d’accordo.
Quando ci sposammo avevamo intenzione di avere minimo tre figli, ma purtroppo nel 1999 una malattia molto seria ha colpito Immacolata e non abbiamo potuto avere altri figli. Ora ci si presentava l’occasione di avere il terzo figlio tanto desiderato e Immacolata mi chiese se potevamo fare una domanda di affido.
Domandai il perché volesse fare questo importante passo e lei mi rispose che anche Giovanni doveva avere una possibilità di vivere meglio.
Replicai che tale scelta ci portava a rinunciare quasi del tutto a quello che era la nostra libertà, visto che il bambino doveva essere curato come “Dio comanda”. Lei disse che per Giovanni avrebbe fatto qualsiasi sacrificio e le risposi che anch’io allora ero pronto ad affrontare la nuova situazione e da quel momento considerammo Giovanni il nostro figlio più piccolo.
Giunti a casa manifestammo la nostra intenzione ai nostri due figli che ne furono entusiasti; Tania (la primogenita) espresse qualche perplessità perché le faceva paura la disabilità. Ma il solo pensiero di avere un fratellino, le fece passare ogni timore e subito incominciarono a fare progetti di come modificare la stanzetta per accogliere Giovanni.
Telefonammo a Don Giorgio per comunicargli il nostro desiderio. Lui quasi saltava dalla gioia e subito si attivò con i servizi sociali che, ahimè, erano contrari in quanto il giudice aveva emesso un decreto per affidare Giovanni ad una casa famiglia. Una doccia fredda per noi. Facemmo due incontri con un assistente dei servizi sociali di Frattamaggiore e con uno psicologo molto bravo ed umano di Grumo Nevano.
Intanto il tempo passava e con la tenacia di Don Giorgio e la mia caparbietà dopo un mese abbiamo saputo il nome del giudice al quale decidemmo di inviare una raccomandata nella quale esprimevo tutta la mia volontà di avere Giovanni in affido.
Dopo qualche giorno per mezzo di Don Giorgio venimmo a sapere che il magistrato era favorevole e quanto prima ci voleva a colloquio! Non vedevamo l’ora!
Un bel martedì mia moglie, mentre era di turno vicino a Giovanni, ebbe la telefonata della segretaria del magistrato che ci convocava il 24 aprile per alcuni chiarimenti sulla nostra richiesta di affido.
Subito mia moglie mi riferì la lieta notizia mentre ero in compagnia di Don Giorgio. Incominciammo a saltare dalla gioia per i corridoi dell’ospedale. Il sogno stava diventando realtà!
Da quel momento i giorni sembravano più lunghi ed intanto mia moglie aumentava i turni in ospedale vicino a Giovanni.
Il bambino si era talmente affezionato che, quando lo lasciavamo la sera, piangeva. Giunto il fatidico giorno ci recammo dal giudice. Ci informò che, svolte alcune incombenze burocratiche, Giovanni sarebbe stato affidato a noi. Chiamai il nostro amico Don Giorgio che fece echeggiare all’istante la notizia in tutto l’ospedale. Infatti dopo alcuni giorni, esattamente il 29 aprile, ricevemmo il decreto di affido di Giovanni e così finalmente potevamo portarlo a casa nostra.
In ospedale ci accolse il primario del reparto che, dopo averci fatto tutte le raccomandazioni, ci salutò con affetto versando qualche lacrima di commozione; poi venne il turno delle infermiere che, insieme a Don Giorgio, ci accompagnarono fino alla macchina.
A casa i miei figli avevano ornato tutto con palloncini colorati e cartelloni di benvenuto. Oggi, a distanza di quasi due settimane, vedere Giovanni addormentarsi e svegliarsi con un sorriso, ci rende felici perché manifesta il suo stare bene con noi.
Mia figlia Tania si comporta come se fosse suo figlio suo: gli cambia pannolini, lo lava, gli da da mangiare e ci gioca. Mentre mio figlio Domenico sta ancora sulle sue in quanto ha paura di fargli del male; però gli si legge negli occhi la contentezza di avere un pargoletto per casa.
Riflettendo su tutta la faccenda noi pensavamo di aver regalato un sorriso ad un bambino, forse più sfortunato, ma è stato lui a portare la gioia in casa nostra.
Noi preghiamo il buon Dio di darci la forza di accudirlo e curarlo, affinché il sorriso di Giovanni si possa protrarre nel tempo.
Adesso ci aspetta un’altra battaglia: quella dell’adozione. Solo così possiamo dire di avere il terzo figlio che desideravamo.
Vito Petrone , 2008
È stata tutta una festa! Hanno partecipato Maurizio Manca, il primario dell’ospedale che aveva in cura Giovanni ed altro personale sanitario che, con molta commozione, hanno voluto condividere con la comunità la festa che ha segnato la nuova vita di Giovanni.
Certo che il bambino ha i suoi problemi ma con l’aiuto di Vito e Tina, don Giorgio e, nei limiti del possibile, della comunità, recupererà senz’altro e sarà una vera gioia averlo con noi.
Che dire, il Signore ha organizzato tutto: l’ospedale, don Giorgio, i volontari ad assisterlo, Tina e Vito che lo hanno frequentato all’ospedale, la cultura dell’amicizia e dell’amore che infonde il carisma di Fede e Luce, i sentimenti di due persone che hanno voluto fortemente aiutare chi è stato più sfortunato di noi in questo mondo ed ecco che il disegno si completa.
Senza Fede e Luce ed i suoi insegnamenti può darsi che Giovanni non avrebbe avuto, almeno fino all’adozione, una famiglia vera che lo ama e lo cura in maniera profonda.
Confesso che quando mi sono recato a casa loro la sera dell’affido, ho abbracciato il bambino, i miei amici e mi sono commosso, forse senza motivo ma di sicuro era per la gioia di vedere come un bambino con handicap potesse colpire il cuore delle persone che hanno deciso di amarlo anche se non ha i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Questa cosa per me, genitore di ragazzo con handicap, ha un sapore ancora più speciale ed un valore più profondo; con questo seme si è accesa una grande speranza.
Lello Mele
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.103