Non sempre ce ne rendiamo conto ma ci sono, anche vicinissimi a noi, bambini che nessuno vuole. Non sono solo quelli abbandonati alla nascita, ma anche quelli che nel corso dell’ infanzia non hanno nessuno che veramente li ami e li accolga. Sono bambini che percepiscono e vivono spesso brutalmente il rifiuto dell’altro e quindi non imparano ad amare. Nascono sani e liberi, si dice,ma liberi da chi o da che cosa? Un bambino non può e non deve essere libero, deve appartenere a qualcuno, a qualcuno che lo tenga vicino a sé, che lo leghi a sé con un amore intenso e determinato che lo accompagni per tutta la vita.

Sono tanti e spesso li abbiamo davanti a noi; possono essere quelli che a scuola disturbano troppo, che rispondono a
male parole, che sono “aggressivi” e non rispettano le regole, ma che piangono raramente…Non ci preoccupiamo troppo per loro, li consideriamo spesso un fastidio, un pericolo per gli altri compagni…Per questo voglio raccontare la storia di due di questi ragazzini, “liberi”, perché ad un certo punto della loro vita non appartenevano più a nessuno.

La vita di Stefania ha tutti gli elementi di un romanzo dell’ottocento: l’abbandono della mamma alla nascita, la successiva morte di entrambi i genitori, la grave malattia della nonna che in effetti l’aveva cresciuta, il giro dei parenti “buoni” che non sono in grado di accogliere le sue istanze, la sua sofferenza, la sua prepotente richiesta di attenzione.

Stefania ha tredici anni e ripete la II media, quando comincia a rifiutare la scuola, facendo numerose assenze e comportandosi in modo non adeguato, sia nelle modalità relazionali che con stili di vita molto a rischio per la sua età.. Dopo la morte del padre, Stefania è rimasta a vivere con l’anziana nonna e con l’aggravarsi delle condizioni psico-fisiche di quest’ultima, comincia a vivere un ulteriore abbandono; sperimenta così comportamenti “estremi” soprattutto considerando la sua giovanissima età. Frequenta discoteche, fa tardi la sera con compagni più grandi, tende insomma a non rispettare più alcuna regola.

Con la morte della nonna, Stefania inizia a fare il giro dei parenti, ma questi non sono assolutamente in grado di accogliere il suo carattere ribelle ed oppositivo che cela un disperato, ma orgoglioso bisogno di amore. I suoi zii, inoltre, spesso l’attaccano violentemente spostando su di lei tutte le colpe vere o presunte dei suoi genitori.

Per alcuni mesi questa ragazzina, ormai di 14 anni, si trova a vivere completamente sola, conduce una vita da sbandata e talvolta non ha nemmeno da mangiare, non frequenta la scuola e non si fida dei servizi sociali che ella vive come “l’autorità”, le istituzioni in genere, verso cui nel suo ambiente sociale bisogna diffidare, ma a cui tuttavia è costretta a ricorrere per molte esigenze della vita quotidiana.

Stefania esteriormente è socievole e allegra, ma è ermetica nell’esternare i suoi sentimenti, vuole sembrare “dura”, ostenta sicurezza e difficilmente cede alle emozioni :per questo viene anche indirizzata ad uno psicologo che lei rifiuta sempre con decisione. Ma lei lo rifiuta, sempre con decisione.

Durante quei mesi in cui sono state coinvolte varie istituzioni Comune, ASL, Scuola, Tribunale dei Minori, Giudice Tutelare, Stefania vive una situazione ad altissimo rischio, anche per la sua stessa incolumità fisica, tuttavia ella benché molto difficile, ribelle ed orgogliosa manifesta notevoli risorse personali, tanto che sembra mantenere la giusta distanza da comportamenti gravemente devianti.

I Servizi sociali del Comune, il Tutore pubblico, ma soprattutto il Tribunale per i Minorenni e il Giudice Tutelare, sollecitano in ogni modo |’ inserimento di Stefania in una struttura residenziale, ma lei afferma che se ciò accadesse, scapperebbe immediatamente e arriva anche a minacciare di uccidersi.

In queste condizioni, peraltro, nessuna struttura è disponibile ad accoglierla, quanto meno quelle Case Famiglia improntate su metodi educativi basati sulla fiducia verso i ragazzi che richiedono da parte di questi ultimi un, seppur minimo, consenso iniziale.

Con la stagione estiva Stefania accetta di fare un mese di vacanza in un Istituto di suore situato in una cittadina di mare; vi trova un clima sereno ed accogliente, non si comporta certo correttamente, ma alla fine ammette di essersi trovata bene. Non accetta di restarvi definitivamente, ma questa esperienza ha favorito un primo importante passaggio per lei che così ha sperimentato la possibilità di fidarsi e di affidarsi a qualcuno; questo grazie anche alla sensibilità ed alle capacità educative nonché al grande “cuore” della suora che dirige la comunità.

Finita la vacanza Stefania riprende la sua vita sbandata; i suoi parenti stanno anche occupando la sua casa, per cui preferisce restare quasi sempre in un piccolo paese dove ha delle amicizie. Ogni tanto “sparisce”, nessuno ha notizie di lei, poi riappare e vorrebbe essere affidata a qualche famiglia dove è stata ospitata per qualche giorno, famiglie, con situazioni difficili o fortemente destabilizzate, di amiche conosciute nel corso delle sue scorribande notturne. Finché, in seguito all’ennesima fuga, trova fortuitamente rifugio nella casa di una nuova amica, con una famiglia adeguata, i cui genitori, Carmine e Daniela, dopo aver informato i Carabinieri, si offrono di ospitarla per qualche giorno, ma Stefania a questo punto è costretta inevitabilmente ad entrare in Casa Famiglia e a malincuore capisce che non può fare diversamente.

Durante la permanenza nella Casa Famiglia i suoi problemi di comportamento continuano, ma in modo più contenuto, anche perché Carmine e Daniela sono disponibili ad ospitarla per le feste e pian piano per tutti i fine settimana. Stefania comunque, nonostante le numerose e forti intemperanze caratteriali, rispetta gli orari e frequenta con discreta continuità la scuola .

Instaura un sincero profondo legame affettivo con l’anziana Direttrice della Casa Famiglia, anche lei una religiosa, dall’aspetto burbero, ma che accoglie Stefania con tenero affetto, quasi con una predilezione per lei. Un giorno la suora incredibilmente le rivela che in passato aveva accolto nella stessa Comunità anche sua madre, di cui le racconta alcune vicende e le mostra delle foto. Sembra che per Stefania il cerchio si stia chiudendo: risalire alle sue radici, ritrovare e riappacificarsi con la figura materna tanto denigrata dai suoi parenti, riscoprire nell’anziana religiosa una sorta di nonna materna indulgente ed affettuosa, un po’ com’era la sua e come sono in genere le nonne, ha portano un po’ di pace nel suo cuore. Questo consente a Stefania di instaurare un rapporto sempre più significativo ed importante con la famiglia di Carmine e Daniela da cui incomincia ad accettare anche regole e modifiche nel comportamento finché, dopo un anno, i due coniugi chiedono l’affidamento della ragazza.

Stefania oggi è una giovane donna, si è inserita perfettamente nel nuovo numeroso nucleo familiare; per qualche anno ha svolto vari lavori, ma in seguito, già adulta, ha ripreso a studiare, conseguendo un diploma; presto Stefania si formerà una sua famiglia e sarà in grado di amare i suoi figli!

L’infanzia di Gianni presenta alcuni elementi comuni a quella di Stefania: una famiglia che per vari motivi non c’è, una mamma che muore, un padre assente e una nonna. Una nonna anziana e fragile che tuttavia con il tempo ritrova in fondo al suo cuore uno spazio di accoglienza che le darà forza per poter riaccogliere un ragazzino “perduto” .

Gianni è vissuto fino a dieci anni con la madre ed il nuovo marito di lei; dopo la precoce separazione dei genitori è stato poco con il padre, in effetti i giorni che avrebbe dovuto passare con lui, secondo le disposizioni del Giudice, li trascorre per lo più con la nonna paterna. Il padre è quasi sempre altrove e alla fine “altrove” trova un lavoro e si fa un’altra famiglia.

Gianni tuttavia è un bambino giudizioso che studia, si adatta bene a questo regime di vita, è affezionato alla sorellina nata dal nuovo matrimonio della madre; il patrigno non gli è simpatico, anche per l’evidente predilezione di quest’ultimo per la propria figlia, tuttavia ci convive pacificamente. Quando Gianni ha meno di dieci anni, lamamma viene colpita da una grave malattia e negli ultimi mesi, nella fase ormai terminale, egli l’assiste e fa fronte a molte piccole incombenze domestiche, soprattutto quando il patrigno lavora .Nello stesso giorno in cui la madre muore viene mandato dalla nonna e vi rimane senza fare più ritorno a casa, cambiando addirittura scuola nel corso dell’anno scolastico. Finite le elementari, la nonna, ultra ottantenne, ritiene di non potersi occupare di un ragazzino ormai alle soglie dell’adolescenza e pensa sia più giusto per lui andare a vivere con il padre. Evidentemente la nuova compagna dell’uomo non è dello stesso avviso, avendo anche altri figli a cui badare, e forse nemmeno il padre si mostra in grado di assumersi la giusta responsabilità genitoriale, di dare affetto e accoglienza a questo figlio rimasto solo.

Gianni inizia a manifestare qualche problema di comportamento, ad essere insofferente, irrequieto e svogliato nell’ulteriore nuova scuola che frequenta. Tanto svogliato da iniziare a dare molti problemi, sia in famiglia con atteggiamenti fortemente oppositivi, sia in classe con atteggiamenti di rifiuto verso i professori ed i compagni. La soluzione per la sprovveduta e improvvisata coppia “genitoriale” è quella di rimandarlo dalla nonna, che però non appare in grado di dare risposte adeguate ad un ragazzo doppiamente frustrato per la perdita della mamma ed il “disimpegno” del padre.

Occorre considerare inoltre che Gianni, ancora non ha avuto modo di esternare il suo dolore per la morte della madre, non ha trovato nessuno con cui condividerlo, non ha trovato nessuno in grado di consolarlo, nemmeno i pochi parenti della madre gli sono stati vicini, a causa di vecchi pregressi dissapori familiari.

Gianni pertanto si chiude in se stesso, ostentando indifferenza e non parlando mai né della mamma né della sua vita con lei. Pian piano mette su una maschera da “duro”, incapace di dimostrare i suoi sentimenti ed il suo bisogno di ricevere affetto ed attenzione. I suoi atteggiamenti ribelli ed oppositivi si manifestano in maniera critica e talvolta violenta, soprattutto a scuola dove egli non riesce nemmeno a stare seduto, è totalmente indifferente alle regole del vivere civile, risponde male e con espressioni volgari ad alunni ed insegnanti, comincia ad uscire di sera facendo ritorno quando crede. La nonna ed il padre, a questo punto, ritengono opportuno inserirlo in una Casa Famiglia; il padre comincia anche ad ipotizzare che il figlio si comporti così a causa della cattiva educazione ricevuta dalla madre o che possa avere qualche problema psichico. Gianni entra in una Case Famiglia, dove resta per alcuni mesi, ma poi nonostante il discreto rapporto instaurato con la Direttrice, a causa del suo comportamento maleducato ed aggressivo viene mandato via. Questo fatto costituisce per lui un ulteriore grave trauma, egli desidera e chiede di poter restare, ma, nonostante ciò, le circostanze sono tali che viene messo nelle condizioni di non poter restare. Successivamente fa altre due esperienze brevissime in altre comunità, ma viene subito allontanato. Il suo comportamento è oramai “intollerabile” in una comunità educativa dove ci sono altri ragazzi con i loro problemi, ma per Gianni tutto ciò è letteralmente devastante, non riesce più nemmeno ad entrare a scuola, il solo pensiero di doverci andare lo fa andare su tutte le furie. Sembra non esserci nessuno disposto ad offrirgli uno “spazio”.

Come può sentirsi un ragazzino di dodici anni che nessuno sembra volere? Forse come un animaletto “braccato”, che si vuole catturare con regole e doveri ma che in realtà è espulso dall’indifferenza di chi dovrebbe avere nel cuore uno spazio di amore per lui, e anche da chi per dovere professionale dovrebbe prendersi cura di lui.

L’anziana nonna tuttavia, benché continui a dire di non potersi occuparsi del nipote, in fondo è l’unica che gli dimostra affetto e continua a tenerlo con sé dopo ogni “espulsione”. Cerca aiuto nei Servizi per trovare una soluzione idonea, pur comprendendo che Gianni preferisce restare almeno con lei.

Un certo giorno Gianni viene inserito in un Centro diurno per adolescenti difficili ed ha la possibilità di sperimentarsi in vari laboratori finché non comincia ad appassionarsi ai corsi per il computer, socializza con altri compagni “difficili”, ma soprattutto ricomincia a “fidarsi” degli adulti e si lascia aiutare. Instaura un forte legame con l’educatrice che si occupa del suo gruppo e solo con lei comincia a parlare della madre, talvolta facendo trasparire la sua emozione. Dopo tre anni di permanenza nel Centro, Gianni ha ripreso la scuola e ha conseguita la licenza media. Ora sta frequentando un corso professionale per operatore di computer e fa parte di una squadra di palla a volo. Vive con la nonna, si comporta in modo abbastanza adeguato e corretto, ma dimostra ancora di avere un gran bisogno della presenza e dell’interesse del padre. Quest’ultimo alleggerito dalla responsabilità diretta e dalla quotidianità del rapporto con un figlio per il quale non è mai riuscito a vivere un sentimento paterno, ha cercato a modo suo, di mantenere con lui un rapporto costante, ma è comunque rimasto molto a margine del processo evolutivo del figlio e questo per un adolescente maschio è pur sempre un problema serio.

Ho scelto queste due storie, perché hanno avuto comunque un’evoluzione positiva: sono vicende dolorose, talvol ta incredibili, sono storie vere che interrogano ognuno di noi. Questi ragazzini ci abitano vicino, frequentano le scuole con i nostri figli o sono nostri alunni; tanti di loro non riescono a ritrovare più quel dono che la vita gli ha portato via, sentono di non appartenere a nessuno e predomina in loro l’idea di essere stati rifiutati per non essere stati buoni figli. Possono sviluppare quindi, un’identità negativa con comportamenti antisociali; in altri casi, la ferita affettiva e la perdita di autostima possono generare atteggiamenti regressivi ed inibizioni psicologiche sul piano affettivo e relazionale, che li conducono verso la malattia mentale o la devianza sociale. Come Ettore che a 14 anni, dopo essere stato abbandonato prima dal padre e poi da una madre mentalmente fragile, è stato lasciato anche dai nonni che non riuscivano a sostenere le sue ribellioni e le sue prepotenti e “strane” richieste di attenzione ed affetto ed oggi presenta una grave patologia psichiatrica. O come Luciano che, perduta la madre a 13 anni, accudito da una nonna anziana e malata, è rimasto in balia di un padre egoista e socialmente pericoloso ed oggi ha già sperimentato il carcere, o come Rosalinda che a 14 anni è entrata in Istituto perché la madre aveva riaccolto in casa il padre che aveva abusato di lei e della sorella.

Ci sono bambini e ragazzi le cui vite sono drammaticamente segnate dalla perdita di un genitore, ma spesso il vero dramma non è costituito dal lutto bensì dal rifiuto e dall’indifferenza degli altri. Ci sono tanti bambini e ragazzi che hanno storie dolorose, vite di sofferenza, perché ad un certo punto del la loro vita viene a spezzarsi anche quel tenue filo che li lega a qualcuno di importante nella loro vita affettiva, qualcuno che avrebbe potuto o dovuto dar loro l’elemento fondante per la vita di ognuno di noi, elemento senza il quale è impossibile vivere: il dono dell’amore di una famiglia.

R.M.A., 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.102

Adolescenti allo sbaraglio ultima modifica: 2008-06-27T11:47:11+00:00 da Redazione

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