Ci siamo trovati dentro per caso! Un pomeriggio Mariangela parlava di pentole da trovare, di fornelli da impiantare, di tavolini da pitturare e piatti, cartelloni, bicchieri e posate, tappeti fuori uso, giochi da inventare, marmellata per la merenda, detersivi, pennelli, “chi viene a mettere a posto?”, “il riso lo fai tu?”, “avete preso l’acquaragia?”. Per chi la conosce non è una novità.

Si può star tranquilli che nessuno berrà l’acquaragia e non si incolleranno i cartelloni con la marmellata. Ma il problema resta quello di capire cosa c’è sotto.

Chi diceva, “la garderie”, chi parlava di “tana”, chi accennava semplicemente ai locali giù di sotto; poi è venuto fuori il nome: “la casetta”, la casetta di Fede e Luce. E l’operazione ha preso il via!

L’invincibile armata dai giovani amici ha cominciato a grattare i muri, a lavorare di stucco e di scopa, a scrostar pavimenti e a spostare mobili.

Una domenica di polvere e calcinacci: sfido a trovare quello che è tornato a casa con venti centimetri quadrati di qualcosa di pulito. Teste canute, facce sioux, calzoni a pois e mani degne del migliore muratore con trent’anni di lavoro alle spalle.

Guenda per tutta la settimana ha girato Roma, alla moda di Agostino o’ pazzo, napoletano motorizzato, e con la tipica faccia di tolla che si ritrova è arrivata al Nazareth con due quintali di pezzi di moquette di tutti i colori che con un po’ di scotch, un po’ di fantasia e il lavoro di tutti quanti,
avevano la possibilità di diventare un cocktail di colori per un tappeto mille usi.

Ormai anch’io avevo trovato il gusto di pitturare, soprattutto l’aveva trovato Matteo, che di fronte all’urlo materno: “Oddio, il morbillo!!” spiegava lemme lemme, “Mamma, io no il morbillo, io ho pltturato”. Sì, di rosso il seggiolino, il maglione, le calze, l’orlo delle mutande e… la faccia.

In tandem con la Guenda-nazionale abbiamo sbiancato muri, dato la cementite ai tubi, il rosso e il blu a tutto il resto. Alla sera ci si ritrovava con il crampo dell’imbianchino, il colpo della strega, l’occhio accecato, che scomparivano di fronte alla felicità di vedere che la “casetta” non era più un’idea nella testa di qualcuno, ma aveva una bella faccia bianca e sapeva di nuovo e di pulito.

Mercoledì, giovedì, venerdì. “Tu fai la spesa, io faccio l’insalata di riso, Francesca porta le torte”.

Guenda organizza, telefona, invita i ragazzi a passare la domenica alla “casetta”, lasciando ai genitori una mezza giornata di riposo. La lascio nel pomeriggio con trecento cose da fare.

Poi la sera … la fatidica telefonata: “Manu, l’appendicite. Sono KO.”

Eh, no! non ci voleva. La Guenda-nazionale a letto immobile, con la faccia triste triste, non tanto per il mal di pancia, quanto per la “casetta”.

Così domenica, quando ha attaccato il cartello di benvenuto pensavo a chi avrebbe dovuto essere lì a cavallo del motorino e invece in quel momento cavalcava smoccolando il materasso del letto.

Ed è stato un continuo pensarci a vicenda: fumetto sopra le teste che dicevano: “cosa faranno quelli laggiù?” “Non pensarci troppo, pensa al mal di pancia”.

Tra incollamenti di moquette, staffette e pallonate la prima mattina passa in allegria.
Poi tutti collaborano (non si sa se per spirito di solidarietà o per fame) a metter a tavola.

Si pranza, siamo in venti, grandi e piccoli.

Insalata di riso, uova torte e frutta.

E io stavo lì, col boccone in bocca a pensare al semolino e alle prugne cotte di Guenda.

Scherzi del destino…

Viene Michel, per la Messa. Giorgio è di turno come accolito perfetto. Chi ha detto che non si può lodare Dio anche con il lancio di qualche birillo?
Così tra un’epistola e un Vangelo, Giorgio pregava facendo volare i birilli colorati. Una partita personale tra lui e il Buon Dio.

I saluti, l’arrivederci. La “casetta” era stata inaugurata.

È mercoledì. La casetta riposta in attesa della prossima domenica. Guenda è in clinica con un pigiama a fiorellini. La solidarietà, le visite, gli amici di Fede e Luce.

Tra tanti regali che la “casetta” ha ricevuto, questi dieci centimetri di appendicite infiammata, sono tra tutti, il più gradito.

Manu, 1977

La casetta di Fede e Luce è una piccola realtà nata a Roma in seguito all’esperienza del campeggio di Alfedena (vedi n.10 di “Insieme”).
Alcuni amici hanno voluto continuare ad incontrarsi due volte al mese, rivivendo lo stile del campeggio. Trovati due locali (uno per lavorare e giocare, l’altro adibito a cucina) ci si ritrova dalle 9 alle 16 per passare la domenica insieme.

Chi sono gli “abitanti”? Una quindicina di amici provenienti da tutti i gruppi di Roma, che invitano 7 o 8 ragazzi che non hanno altre occasioni di lasciare i genitori, o hanno raramente qualcuno con cui ritrovarsi, o costituiscono per la famiglia un particolare problema. A volte qualche mamma viene a dare una mano.

L’atmosfera è semplice e serena per tutti, tanto che raramente si finisce la giornata all’ora stabilita e sempre ci si lascia con il desiderio di tornare dopo 15 giorni.

Segno che la cosa funziona,

Italia Valle, 1977

Questo articolo è tratto da:
Insieme n.12, 1977

Com’è nata la prima “casetta” Fede e Luce? Storie di pennelli e appendiciti ultima modifica: 1977-03-20T09:30:34+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.