Dal 7 al 18 settembre si sono svolte a Rio le Paralimpiadi: più di 4000 atleti si sono sfidati in 23 discipline sportive. Anche questa edizione si è tenuta separatamente rispetto alle Olimpiadi “normali”, con un distacco di ben tre settimane. Il messaggio di sport accessibile e inclusivo di cui le paralimpiadi si fanno portavoce prende quindi una dimensione un po’ contraddittoria, visto che oltre alla separazione netta tra gli atleti disabili e non, vi è anche una minore eco mediatica. Polemiche a parte, quest’edizione ha saputo regalare splendidi momenti, emozionanti in egual modo sia per il mondo dello sport che della disabilità. La nostra lettrice Marta de Rino ci ha inviato una sua riflessione.

“Quando mi sono svegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non quella che era andata persa”. Alex Zanardi

Adoro le olimpiadi. Mi piacciono molto. Cerco di guardare tutte le gare possibili. Di molti sport diversi. Trovo straordinarie le gesta di quegli uomini e di quelle donne che, con fatica, durissima disciplina e estremo rigore, portano il loro corpo a compiere esercizi incredibili, che ai miei occhi, di persona totalmente digiuna di sport, appaiono come dei veri e propri miracoli o giochi di prestigio.

Adoro, ugualmente, le paralimpiadi. Non di più. Non diversamente. Ugualmente. Si. Ugualmente, perché per me, dotata di tutti gli arti, e teoricamente priva di qualsivoglia disabilità, è ugualmente impensabile eseguire un qualsiasi gesto sportivo che vagamente ricordi ciò che quegli atleti e quelle atlete compiono. Disabili o meno.

Così sono stata molto orgogliosa del settebello rosa, della pallavolo, degli schermidori, nuotatori, tuffatrici che ad agosto ci hanno regalato medaglie su medaglie. E sono altrettanto orgogliosa di tutti gli atleti che ce ne stanno regalando altrettante (forse anche di più?) adesso.

Però… Sì. C’è un però. Mi resta addosso la vaga sensazione di una certa ipocrisia, nel vedere così applaudite e celebrate (giustamente, non si discute) queste imprese. Perché “Ci vuole coraggio, ci vuole una forza incredibile! I loro limiti non li hanno fermati. Sono andati oltre. Oltre le difficoltà. Oltre la sconfitta. Oltre i muri”.

Caspita. È vero. Non ci sono dubbi.

Ma, nel mondo, ci sono migliaia e migliaia di persone colpite da varie forme di disabilità che non parteciperanno mai a nessuna olimpiade. Perché per loro “il limite” da superare é più piccolo, quasi minuscolo ai nostri occhi: mangiare senza soffocare, allacciarsi le scarpe, dormire per più di un’ora senza svegliarsi per chissà quale motivo, vestirsi autonomamente, curare la propria igiene, o, ancora più banalmente, far capire a chi hanno accanto cosa desiderano, sbattendo le palpebre, o pronunciando una parola comprensibile.

Perché queste persone non hanno la nostra più totale e indiscussa ammirazione? Quando va bene raccolgono compassione, e commenti sconsolati sui genitori che “portano questa croce”.

La frase di Alex Zanardi è molto bella. Vale per tutti. È un modo diverso di parlare del “bicchiere mezzo pieno”.

Io ci leggo un invito a guardare ogni persona, qualunque persona, per quello che è. Non per ciò che le manca.

“Non sa leggere. Non sa mangiare da solo. Non sa camminare…”

Ma sa sorridere, stringere una mano, guardare negli occhi.

Non certo per “accontentarsi”!!! Ma per cominciare da lì. Perché se Alex Zanardi, Beatrice Vio e tutti gli altri sono arrivati dove sono arrivati è stato perché hanno guardato a ciò che avevano, e sono andati avanti. Un passo dopo l’altro, hanno compiuto gesta straordinarie. Per loro il traguardo da raggiungere era una medaglia. Per qualcun altro è qualcosa di apparentemente meno eroico: infilarsi una maglietta, dormire da soli, mangiare da seduto. O, semplicemente, sbattere gli occhi per dire “sì” oppure “no”. È un allenamento quotidiano. Silenzioso. E certamente poco spettacolare. Ma altrettanto duro, faticoso, coraggioso. Eroico. E dura per tutta la vita.

Allora continuiamo a fare il tifo! Non solo durante le paralimpiadi. Per sempre. Ogni giorno. Guardando ogni persona con rispetto e ammirazione per la forza che sta mettendo, senz’altro, nella sua personalissima gara.

Ma non solo. Sostenendo la ricerca. Mettendo in campo risorse, umane e economiche, che contribuiscano all’abbattimento di barriere architettoniche e al mantenimento delle strutture che possono accompagnare questa lotta quotidiana. Facilitando l’inclusione sociale, permettendo a tutti coloro che ne hanno la possibilità di frequentare le scuole, non come de parcheggi, ma con il personale adatto, preparato e professionale. Fornendo ausili moderni che rendano meno difficili almeno alcune imprescindibili azioni quotidiane.

Mannaggia.

Vuoi vedere che é l’economia che decide chi è un eroe e chi no?

Marta De Rino, 2016

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.135

Un oro al giorno ultima modifica: 2016-09-16T14:10:14+00:00 da Marta De Rino

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