“La memoria del bello” è un progetto dedicato ai pazienti con malattia di Alzheimer e prevede una serie di visite guidate per i pazienti e i loro caregivers (familiare/accompagnatore che si prende cura della persona malata).
L’Alzheimer, la più diffusa forma di demenza senile, è una malattia sempre più presente nella società contemporanea. Attualmente in Italia i malati di Alzheimer sono circa 600.000, ma si prevede che il loro numero raddoppi nei prossimi 10 anni.
Nell’ultimo decennio, studi in materia hanno evidenziato come l’arte e le attività creative svolgano un ruolo terapeutico nei confronti di questi pazienti, poiché agiscono sui circuiti emozionali che, rispetto a quelli cognitivi, restano preservati più a lungo nel decorso della malattia.
Spesso l’arte è anche in grado di incidere sulla memoria a lungo termine, stimolando nuove associazioni e idee, migliorando l’umore, riducendo l’ansia e sollecitando il mantenimento delle abilità residue.
L’arte visiva stimola delle aree selezionate del cervello umano e attiva specifici processi cognitivi. L’interazione tra arte e pazienti con malattia di Alzheimer attraverso l’esposizione alle opere artistiche e la discussione intorno ad esse offre all’individuo la possibilità di ricevere una stimolazione intellettiva, scambiare idee, connettere il proprio vissuto personale con la realtà ritratta nell’arte, accedere ad esperienze personali e memorie, aumentare la propria autostima. Questi processi possono influenzare positivamente la cognizione dei pazienti con malattia di Alzheimer ed esercitare un effetto più evidente sui sintomi psico-comportamentali e la capacità di socializzazione.
Sia per il paziente che per il caregiver, queste visite costituiscono un’occasione per socializzare e un momento di tregua nella “sfida” rappresentata dall’Alzheimer.
Come si è svolto
La ricerca condotta attraverso “La memoria del bello” si pone come obiettivo primario la valutazione dell’impatto di un intervento terapeutico non farmacologico, basato sull’esposizione ad arti visive in setting museale, sui sintomi cognitivi e psico-comportamentali di pazienti con demenza di Alzheimer in fase lieve-moderata.
Obiettivi secondari del progetto includono la valutazione dell’efficacia del suddetto intervento sull’affaticamento psicologico dei caregivers, la valutazione del livello di soddisfazione di pazienti e caregivers e la stima dell’impatto sul tasso di utilizzo di farmaci psicotropi da parte dei pazienti.
I partecipanti al progetto sono stati sottoposti a valutazione clinica e neuropsicologica e ne è stato rilevato l’impatto emotivo in relazione all’esperienza museale.
I risultati del presente progetto pilota sono il presupposto per l’inserimento sistematico del progetto tra le attività proposte al pubblico dalla Galleria nazionale d’arte moderna.
I pazienti sono stati scelti dai responsabili dell’iniziativa delle rispettive istituzioni di cura: l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Dipartimento di Scienze Geriatriche, Gerontologiche e Fisiatriche, Centro di Medicina dell’Invecchiamento del Policlinico A. Gemelli, Roma), l’Istituto San Giovanni di Dio- Fatebenefratelli di Genzano e l’Onlus Alzheimer Uniti.
Ogni gruppo era composto da un numero variabile di pazienti che poteva oscillare fra le 3 e le 8 unità ai quali si aggiungevano i caregiver (figli, coniugi) e il personale dell’istituzione di cura (neurologi, psicologi) per un totale di ca. 10-16 persone per visita.
Ogni gruppo ha effettuato un ciclo di 4 visite, ognuna delle quali prevedeva un percorso stabilito di quattro opere d’arte legate da un tema conduttore (per esempio “Il paesaggio”, “La guerra”, “Il colore”).
Risultati emersi
Abbiamo chiesto alcune considerazioni alla responsabile del progetto, la dott.ssa De Luca:
“Abbiamo constatato un miglioramento del linguaggio nei pazienti; all’inizio della visita spesso il linguaggio e il vocabolario usato per descrivere le immagini erano ridotti, diventando più dettagliati e complessi durante la visita. Siamo rimasti colpiti come alcuni dettagli dei quadri avevano il potere di evocare emozioni o ricordi anche inaspettati e che, parlando in generale, i ricordi e le esperienze personali erano predominanti su altre eventuali espressioni. I pazienti all’inizio quasi sempre erano un po’ perplessi davanti ai quadri, anche a causa della poca dimestichezza con l’arte e quindi avevano bisogno di tempo per “sciogliersi” un po’. Le visite sono state sempre condotte in un clima molto familiare in cui si cercava di mettere a proprio agio i pazienti, sollecitando i loro interventi e l’espressione delle loro opinioni e pensieri.
Per tutti i partecipanti è stata un’esperienza molto positiva e, essendo sperimentale, per molti versi sorprendente. Come operatori abbiamo imparato molto durante le visite e dai riscontri con pazienti e personale medico. Le esperienze raccolte ci hanno portato a modificare i percorsi di visita. Per esempio, abbiamo constatato che certi percorsi tematici tipo “eventi storici” suscitavano poco interesse nei pazienti perché difficilmente collegabili alle loro esperienze personali che invece sono l’argomento al quale i pazienti risultano più ricettivi. Inoltre abbiamo introdotto le sculture nelle visite perché i pazienti di Alzheimer reagiscono molto positivamente all’esperienza con oggetti tridimensionali. Dopo qualche titubanza abbiamo affrontato con i pazienti anche opere astratte che li hanno portati ad esprimere riflessioni spesso molto profonde e sorprendenti.
Per quanto riguarda i caregivers, sebbene eterogenei per età, educazione e classe sociale, è stato evidente che tutti ne hanno tratto beneficio, anche se per motivi diversi. Per alcuni si è trattato semplicemente di un momento in cui socializzare con altri pazienti e caregivers, altri invece hanno tratto visibilmente beneficio dai ricordi dei genitori o coniugi emersi durante la visita (quasi sempre riferiti al passato più lontano), altri ancora sono rimasti affascinati dall’arte e dai quadri. Per tutti le visite al museo hanno significato un momento distensivo dove anche la responsabilità per il parente affetto da Alzheimer poteva essere condivisa e quindi alleggerita”.
a cura di Rita Massi e Cristina Tersigni, 2012
Per saperne di più
La prima struttura museale a sostenere una sperimentazione in tale settore è stato il Museum of Modern Art (MoMA) di New York che nel 2006 ha organizzato un programma di visite guidate all’interno dei propri spazi, mirato a incoraggiare l’espressione e la creatività nei malati di Alzheimer.
L’esperienza è stata ripresa in Italia nel 2007-‘08 nell’ambito del progetto AD-Arte, a cura dell’Unità Valutativa Alzheimer dell’ospedale Cardarelli di Napoli insieme con l’associazione Makè e la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia presso Palazzo Reale.
Con l’obiettivo di favorire la replicabilità del progetto anche in altri contesti, il Dipartimento educativo del MoMA con il sostegno del MetLife Foundation ha contestualmente promosso, in collaborazione con musei e istituzioni culturali, delle giornate di studio finalizzate ad offrire un’occasione di formazione e confronto per gli operatori museali e del settore socio-sanitario, interessati a riproporre specifiche attività rivolte ai malati di Alzheimer.
La formazione è avvenuta attraverso vari incontri con la responsabile del progetto, Martina De Luca (Servizi educativi G.N.A.M. – Galleria Nazionale d’Arte Moderna www.gnam.beniculturali.it) e con le responsabili della struttura del Centro di Medicina dell’Invecchiamento, le dottoresse Rossella Liperoti e Federica Mammarella
“La memoria del bello” è un progetto pilota di tipo sperimentale realizzato dalla Soprintendenza alla Galleria nazionale d’arte moderna in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Dipartimento di Scienze Geriatriche, Gerontologiche e Fisiatriche, Centro di Medicina dell’Invecchiamento del Policlinico A. Gemelli, Roma.
Iniziative simili stanno nascendo a Firenze a Palazzo Strozzi, mentre l’Ospedale Cardarelli di Napoli continua a portare avanti il progetto in collaborazioni con le associazioni suddette.
Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.119