Di Precious, film di Lee Daniels tratto dal romanzo di Sapphire Push (Fandango) la trama è ormai nota. Nella Harlems cupa e povera di fine anni Ottanta, questa sedicenne obesa e di colore, abusata dal padre, umiliata dalla madre, semi-analfabeta, con due figli (la maggiore è down) nati dall’incesto e sieropositiva, riesce — quasi miracolosamente — a mettere insieme la sua vita, dandole una direzione. Così Precious si appropria di una dignità e di un’identità che, forse, nonostante il suo nome, non ha mai avuto nella sua vità breve, ma già profondamente ferita.

In questa vicenda, non vera ma tragicamente verosimile (in cui più volte lo spettatore è portato a domandarsi: che altro ancora?), c’è una scena clou, una scena in cui davvero questa adolescente rivela, sorprendentemente, una forza ed una determinazione che hanno dell’incredibile.

La scelta veramente matura e coraggiosa che Precious compie, infatti, non è solo e tanto quella di ribellarsi alla madre, una donna talmente disperata che, nella sua distorta follia, arriva ad incolpare la figlia di “averle rubato l’uomo” (che altri poi, non è, che il padre della ragazza stessa). Una ribellione verso la madre che passa per la decisione di iscriversi ad una scuola speciale, reagendo così a quella vita di rancore, povertà ed ignoranza a cui il suo ambiente parrebbe averla già inchiodata. (Alla seconda gravidanza, Precious viene infatti espulsa dalla scuola pubblica dalla preside, che, però, non l’abbandona a se stessa ma. in un surreale dialogo dal citofono di casa; con la donna in strada, dà alla ragazza indicazioni sulla struttura che le cambierà la vita).

Se dunque già in questo passaggio l’adolescente tira fuori una grinta fino a quel momento insospettata (nella parte iniziale del film sembra quasi che odio, dileggio e violenza le scivolino semplicemente addosso), la vera, autentica determinazione di Precious risulta più avanti nella pellicola, quando la ragazza (quasi in sordina, senza squilli di fanfare) si oppone allaisua nuova professoressa. Si tratta di Miss Rain, la donna intelligente, affascinante e’discreta che, insegnandole a leggere e a scrivere, con un affetto caparbio e determinato, le permette finalmente di credere în se stessa, e di volersi bene.

La scena si svolge al telefono. Precious è seduta sul suo letto all’ospedale, dove ha appena partorito il secondo figlio, Abdul. Miss Rain spinge per una soluzione che nessuno si sentirebbe di condannare: Precious ha appena iniziato a prendere in mano la sua vita, deve finire la scuola, diplomarsi, andare all’università, ha solo 16 anni, forse la soluzione migliore è quella di dare il neonato in adozione (la maggiore vive con la nonna)… La ragazza, però, non vuole sentire ragioni (“nemmeno i cani danno via i loro figli”). Precious vuole sì reagire all’odio e al degrado di cui è stata cresciuta e nutrita, ma lo vuole fare con loro, con i suoi figli, amandoli e tenendoli accanto a sé. E lo farà non solo con il piccolo Abdul, ma anche con la primogenita down che, finalmente, smette di essere “Mongo” (come Precious la chiama per quasi tutto il film), per diventare una bambina. Una bambina e basta.

Giulia Galeotti, 2011

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.113

Precious – Recensione Film ultima modifica: 2011-03-04T16:11:14+00:00 da Giulia Galeotti

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