Ho partecipato poco ai pellegrinaggi delle comunità Fede e Luce d’Italia, solo due volte. La prima volta, forse nel 1978, un pellegrinaggio è stato organizzato a Loreto per le comunità di Fede e Luce di Roma: non avremmo potuto essere più numerosi, perché gli spazi messi a nostra disposizione non lo permettevano. Ci ha accolto con benevolenza energica il vescovo di Loreto, Loris Francesco Capovilla, che era stato segretario personale di Giovanni XXIII e che morì cardinale e centenario nel 2016. La seconda volta è stato nel 1991 per un pellegrinaggio famoso, vent’anni dopo il primo pellegrinaggio internazionale a Lourdes di Fede e Luce, che ancora non aveva quel nome ma l’idea di creare la comunità di Fede e Luce prese consistenza. Nel 1991, siamo andati dunque in treno a Lourdes con il pellegrinaggio nazionale italiano presieduto dal cardinale Carlo Maria Martini. Molte comunità ci hanno raggiunto lì, provenendo da tutta l’Italia. I romani sono partiti dalla stazione Ostiense.

Un pellegrinaggio è sempre un avventura umana profonda: si sa da dove si parte, ma non si sa bene cosa si troverà né come si sarà tornati a casa.

Ho avuto personalmente altre esperienze a Lourdes. Nel 1964, ci sono andato con un pellegrinaggio della mia diocesi del Belgio per accompagnare persone con problemi di salute; un mese dopo, entravo nel noviziato dei gesuiti francofoni belgi; questo pellegrinaggio è stato per me molto importante. Nel 1976, un mese dopo la mia ordinazione sacerdotale, ho accompagnato di nuovo a Lourdes un’ottantina di ragazze e ragazzi: un gruppo di giovani belgi che si erano dati il nome Fede e Luce. Questi giovani avevano infatti avuto l’intuizione di condividere momenti di vita con persone diversamente abili, senza però sapere che Fede e Luce era già il nome ufficiale di un movimento in Italia e, forse, anche in Francia. Per i giovani del Belgio, il nome Fede e Luce non significava per tutti una vita d’amicizia che coinvolgeva la vita quotidiana (il nostro quarto momento). Il gruppo si riuniva infatti solo in occasione del pellegrinaggio estivo, ogni anno, a Lourdes. Insomma, la mia esperienza di pellegrinaggio è stata sempre in relazione a momenti importanti della mia vita di cristiano e di sacerdote gesuita.

Un pellegrinaggio è sempre un’avventura umana profonda. Si sa da dove si parte, ma non si sa bene che cosa si troverà né come si sarà una volta ritornati a casa. Il cammino dell’andata è di purificazione della vita passata, di liberazione dalle condizioni della vita quotidiana, un’occasione per prendere coscienza che non siamo abitualmente attenti alle persone con cui viviamo nei nostri differenti ambiti, anche in famiglia. Spesso, si va in pellegrinaggio per fare il punto sulla vita quotidiana personale.

Un pellegrinaggio è un’esperienza di conversione. Partire verso una destinazione che non conosci con il progetto di fare un’esperienza spirituale con altre persone, ti invita a essere accogliente nei confronti dello sconosciuto, prima di tutto delle persone che camminano con te. Siamo tutti incerti durante il cammino, e abbiamo bisogno gli uni degli altri per darci forza durante l’incedere verso situazioni sconosciute; ciò, almeno secondo tre punti di vista: il mondo in cui andiamo, il mondo che tutti noi insieme siamo, il mondo che è il mio e che spesso, assai perplesso, io stesso porto con me. Anche se le persone con le quali viaggiamo in queste circostanze sono fisicamente vicine a noi, camminando insieme a loro scopriamo che però non ci conosciamo con verità e profondità. Durante un pellegrinaggio, le relazioni umane si purificano dalle maschere del quotidiano, e facciamo l’esperienza di una possibile più profonda amicizia.

Durante il viaggio in treno, si canta, si discute di tutto, ma possiamo anche parlare gli uni con gli altri e con un’attenzione reciproca nuova, libera: quella del cuore. Facciamo del nostro cuore un ricettacolo amichevole delle parole ascoltate dall’altro. Con il tempo che si passa viaggiando e comunicando tra noi in modo personale e profondo, capita però talvolta che l’esperienza divenga anche troppo intensa. Insorge allora il desiderio di tacere, non per farci sordi ma, al contrario, per imprimere meglio nella memoria le cose che ci sono state affidate dagli altri, per gustarle nel cuore, per riflettere un po’ su di sé e prendere coscienza dei sentimenti che sono stati generati in noi dagli altri quando ci hanno parlato della loro vita. Tacerò magari anche per pregare silenziosamente, per offrire a Dio che ci ascolta le parole udite dai compagni di viaggio e che sono state per me significative, forse anche provocanti e impegnative per la mia vita. Pregherò con una certa gioia segreta quando parlerò con il Signore degli incontri che Egli mi ha regalato e che sono per me una chiamata a cambiare qualcosa della mia vita quotidiana.

Quando arriviamo a destinazione, il nostro modo di essere è via via un po’ cambiato. A Loreto o a Lourdes, si sperimenta una presenza nuova, quella di Maria. Vediamo che Lei entra nel cuore di tutti, che tutti desiderano parlare con lei con grande fiducia. Nessuno sembra pensare a sé, ma neanche solo alla Madre di Gesù. Ci preoccupiamo invece gli uni degli altri affinché tutti stiano bene, col cuore contento, allegri, desiderosi di amare, di condividere un momento di amicizia. Facciamo così la stessa esperienza di Maria, sentiamo in noi i suoi stessi sentimenti e desideri. Facciamo l’esperienza della sua disponibilità a Nazareth a camminare su strade sconosciute per portare Gesù al mondo. A Lourdes o a Loreto, riceviamo infatti una missione, siamo invitati a seguire la vocazione o la missione di Maria, che è di donare il Figlio al mondo. Così come Maria riteneva nella sua memoria tutto ciò che Gesù faceva, anch’io nella mia vita mi ricorderò di te che, a Loreto o a Lourdes, mi hai parlato di te, e darò ospitalità in me alla storia che tu mi hai affidato.

Il cammino dell’andata è stato un cammino di purificazione o di liberazione.
Il cammino del ritorno è un cammino anche attraverso la memoria del nostro vissuto quotidiano nel desiderio di vivere giorno dopo giorno la dinamica del vangelo, con Maria, con Gesù, nella luce dell’amore di Dio padre di tutta l’umanità. Il tempo a disposizione a Lourdes è infatti congruo per condividere le preoccupazioni della vita e la gioia delle giornate di pellegrinaggio, seduti in piccoli gruppi sul prato davanti alla grotta, oltre il fiume chiamato “Gave”.
C’è abbastanza tempo per la preghiera e la liturgia, per celebrare tutti insieme l’eucaristia nella basilica Pio X; c’è abbastanza tempo per stare in silenzio e in raccoglimento insieme, per esempio salendo faticosamente con chi non ha una buona salute il cammino della croce sulla collina di Lourdes, a poca distanza dalla grotta di Massabielle. Tutto questo tempo può farsi momento di azione di grazia al Signore per il dono dell’amicizia, di una parola, di una persona che forse non sapevo così vicina a me, per un accompagnamento discreto nelle nostre inquietudini quotidiane. È anche importante e significativo il tempo di riconciliazione sacramentale con il Signore.

Quando viene poi il momento di tornare a casa, il nostro cuore è rinnovato, pieno di progetti che danno speranza e gioia, energia e disponibilità a vantaggio delle nostre comunità Fede e luce, con il desiderio di aggiungere qualche nuovo capitolo alla loro storia. OL

* Professore emerito di Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e assistente spirituale delle comunità romane di Fede e Luce

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.169

 

Storie che ci vengono affidate ultima modifica: 2025-05-14T11:06:42+00:00 da Paul Gilbert

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