Non sempre sono riuscita a vivermi bene: ho 34 anni e una disabilità motoria. Nonostante i miglioramenti nell’autonomia grazie a tanta fisioterapia, rimango comunque fisicamente dipendente dagli altri. Mi riconosco molto in quello che mi dissero alcuni amici che vivono la mia stessa condizione: con la disabilità puoi imparare a conviverci, puoi prendere consapevolezza che un limite non è necessariamente del tutto negativo, ma che può, anzi, aiutarti a scoprire potenzialità che non immaginavi di avere e che invece sono dentro di te pronte per uscire. Nonostante questo, però, è difficile accettare totalmente questa situazione, farci pace in maniera definitiva.

Il contesto familiare in cui sono cresciuta mi ha aiutata a rasserenarmi, favorendomi in uno sviluppo emotivo equilibrato, nonostante io abbia dei tratti ansiosi che (in alcune fasi della vita e in alcuni contesti) tendono a prevalere. Sostanzialmente posso dire di essere soddisfatta della persona che sono. Riconosco le mie cadute; non sono pochi in me difetti caratteriali e punti da migliorare, ma se (nonostante tutto) ho sviluppato la gioia di vivere, lo devo non solo all’aiuto dei genitori, dello psicologo e agli studi di filosofia, ma soprattutto al bel rapporto con la mia amata sorella gemella Silvia e alla forza che mi viene dalla sete di ricerca spirituale.

Siamo gemelle omozigote ed è difficile non notare la somiglianza. Con il tempo ci siamo differenziate e abbiamo sempre tenuto a mantenere ognuna il proprio stile e le proprie peculiarità: l’amore si espande anche attraverso il dialogo e il confronto con l’alterità. Ciò che è altro da me mi arricchisce, mi interroga, mi fa crescere. Abbiamo stili diversi: il suo è etnico, semplice, più essenziale del mio (anche nel trucco); io sono più eccentrica nell’abbigliamento, amo molto i colori accesi e gli accessori originali. Più che esibizionismo, credo che il mio sia un modo per mascherare timidezze e fragilità interiori, un modo per far venire fuori la mia anima colorata e leggera, liberandola dai macigni (più o meno grandi, come per ciascuno). Con Silvia parliamo molto, dialoghiamo bene. Lei non è molto credente ma condivide con me il sogno di una società più solidale, egualitaria e non materialista. Su tutte, però, c’è una cosa che più amo di mia sorella: la sua capacità di farmi ridere. Riesce sempre a portare il sereno nelle mie giornate. Ci divertiamo molto insieme.

Condividiamo una grande passione per la natura, per gli animali (a casa nostra non sono mai mancati), per la poesia e per l’arte: tutte cose che ci mettono in contatto con ciò che ancora di buono e di bello c’è nel mondo, che ci invitano a credere, nonostante la cattiveria, al bene. Non aveva torto Italo Calvino quando diceva che bisogna prendere la vita con leggerezza, che è cosa ben diversa dalla superficialità. Questa è anche la più bella lezione che mi ha dato Gesù.

Vorrei che restassimo tutti uniti, che non ci chiudessimo nelle nostre comunità di appartenenza perché Chiesa siamo tutti e tutte. Da soli non si vince.

Negli ultimi anni sono molto attiva nella comunità di Sant’Egidio. Con loro ho imparato a capire che dobbiamo guardare un po’ più al presente, senza lasciarci schiacciare dai problemi della società consumistica occidentale, troppo impegnata a insegnare arrivismo e competitività. Ho tanti amici con disabilità diverse, anche cognitive: mi hanno insegnato a essere più semplice, a capire che Gesù non ci vuole tutti “professori”. Lo ricorda sempre anche Papa Francesco: non si annuncia il vangelo salendo in cattedra o facendo proselitismo. Dio ci ama per come siamo, nella nostra umiltà; ci invita a stare vicino ai poveri e a tutte le persone sole e dimenticate, agli ultimi. Anzi, è proprio in loro che lo incontriamo.
Vorrei tanto riuscire ad avere una fede più semplice; vorrei riuscire a fidarmi di più. A volte, forse, mi faccio troppe domande,
ho troppi dubbi e grattacapi. Credo, però, di aver capito che Dio è il nome che ho dato alla speranza.

Vorrei che restassimo tutti uniti, che non ci chiudessimo nelle nostre comunità di appartenenza perché Chiesa siamo tutti e tutte, da soli non si vince. E solo così anche noi persone con disabilità potremo riuscire a trovare i nostri talenti a partire dai nostri limiti, e a capire che – come tutti e senza vergogna – abbiamo bisogno di aiuto. Tutti siamo chiamati ad aiutare e ad aiutarci come fratelli e sorelle.

Giulia e Silvia Cirillo - testimonianza

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 160, 2022

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Alla ricerca dell’altro da me ultima modifica: 2023-01-13T11:18:57+00:00 da Giulia Cirillo

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