Nella foto: festeggiamenti per i 40 anni di Fede e Luce a Lviv, Ucraina a cui hanno partecipato le comunità di Russia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania e Georgia nel 2012

G. (nome di fantasia) è un’amica russa di Fede e Luce, fuggita all’estero. Attraverso il suo canale telegram, racconta quel che avviene nel suo Paese e il dolore immenso che tutto ciò provoca nelle vite di moltissimi. Abbiamo assemblato alcuni suoi messaggi: il risultato è una testimonianza sofferta e profonda, da cui farsi accompagnare in questa settimana santa. E per cui pregare incessantemente.

Forse a qualcuno interesserà se racconto come si vive, come ci si sente sia a Mosca che fuori, perché molti di noi sono partiti, è un vero esodo (non visto, perché non si corre via da sotto le bombe, ma sempre doloroso). Vi racconto la mia angoscia, sì, ma anche le loro voci. Perché davanti all’orrore e all’odio di un aggressore abominevole, è così facile scordare che dietro le sue spalle ci sono anche ostaggi che non hanno possibilità di fuggire, che non hanno altra casa, se non quella in cui vivono.

Ieri ai centri commerciali di Mosca è arrivato un nuovo ordine: togliere dalla vendita tutti gli articoli che hanno anche se solo sulla confezione l’abbinamento del giallo e dell’azzurro. Vietato l’uso di questi colori anche nell’abbigliamento.

Sabato c’è stato un piccolo ritiro per le comunità di Fede e Luce di Mosca. Sono venuti anche dei rappresentanti delle comunità di San Pietroburgo. Quelli che sono lontani, come me (e purtroppo siamo in tantissimi), e chi non esce di casa a causa del covid o per altre ragioni, potevano seguire via zoom. Ha parlato padre Giovanni Guaita, un grande amico di Fede e Luce; è un prete ortodosso sardo che vive a Mosca e celebra nella mia parrocchia dei Santi Cosma e Damiano. Ha parlato di paura e di amore, di come l’amore superi ogni paura, di quanto sia importante, nonostante tutto, l’amore tra di noi. Si piangeva, si rideva, si stava in silenzio insieme; e anche lontani migliaia di chilometri ci si sentiva abbracciati.

Oggi è il compleanno della mia amica Lera, Valeria. Compie 19 anni. Per questo compleanno le è arrivata una brutta notizia. Chiude la scuola presso l’hospice, che lei frequentava. Lera è andata a scuola per la prima volta esattamente due anni fa. Da allora è cambiata moltissimo, è maturato, diventata adulta, con la propria vita. Ma dal 1° aprile la scuola chiude perché l’hospice deve concentrare ogni suo mezzo per comprare tutto quello che c’è ancora nei magazzini del Paese: attrezzi e pezzi di ricambio per ossigenatori, ambulanze, macchine per la tosse, stomie gastriche, carrozzine, medicinali, tubi, utensili. Perché non ci saranno più. Quello che adesso c’è, c’è. Altro non arriva. Chi mangia con la peg, vivrà quanto durano le riserve. Vale anche per la nostra Lera. Chi assume medicine vivrà quanto dureranno le riserve. Anche questo vale per lei. Perché non scappano, forse vi chiedete voi? È difficile scappare con uno che ha bisogno di tutte queste cure.

La storia di Lera e di tutti i nostri ragazzi più fragili è la storia della chiusura totale imposta da questo maledetto Stato. Fin dall’inizio della pandemia non si svolgono più i processi della «privazione dell’abilità per agire», vuol dire che i ragazzi diventati maggiorenni non possono più restare sotto tutela dei loro genitori. I genitori non possono firmare per loro nessun documento, non possono presentare nessuna domanda. Niente visti, niente passaporti. Perché lo fanno? Non credo sia perché li vogliano tenere a tutti i costi nel Paese: è piuttosto la spia dell’indifferenza totale, della non-curanza totale per le vite, per le persone. Questa è la radice di tutto il male che il nostro Paese porta nel mondo, l’indifferenza alla vita umana.

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Il male dell’indifferenza ultima modifica: 2022-04-11T09:56:36+00:00 da G.

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