«Posso sentire le parti della macchina e capire i problemi dei motori solo ascoltando i loro suoni. Questo mi aiuta a realizzare un buon lavoro». Siamo a Trinidad, Cuba, è il 2016. Un meccanico sorride davanti al cofano sollevato di un’automobile, parcheggiata lungo un viale alberato. Oltre alla tuta da lavoro, l’uomo indossa occhiali scuri, che non lo proteggono soltanto dal sole. Col braccio destro s’appoggia a un bastone da orientamento.

Kampong Cham, Cambogia, 2016. Qui, invece, ci sono una madre e un figlio seduti sul pavimento, probabilmente nella loro abitazione. La donna stringe a sé il bambino con disabilità, senza distogliere lo sguardo – pieno di dignità e consapevolezza – dall’obiettivo. «Mio figlio crescerà a casa sua, nella sua comunità» è quanto lei dice.

«Ogni giorno vado in mare». Un uomo, a Manzanillo, sempre a Cuba nel 2016, siede su una barca e si prepara a pescare. È assorto nei suoi pensieri, magari riflette sul pescato del giorno o sui giovani del villaggio, sulle tradizioni pronte lentamente a sgretolarsi a causa della modernità che avanza. L’uomo, maglietta bianca e calzoni corti a righe, non ha un braccio. Evoca il pescatore de Il vecchio e il mare di Hemingway.

Queste sono tre delle storie che emergono dalle novanta fotografie in bianco e nero (ognuna di esse è accompagnata da una didascalia) realizzate da Christian Tasso e raccolte nel suo Nessuno escluso (Roma, Contrasto, 2021), un libro – frutto di un progetto artistico cominciato nel 2009 – che pone attenzione sulla disabilità senza stereotipi, senza pietismo, «senza infingimenti e orpelli».

Il pluripremiato fotografo, infatti, viaggia per il mondo (Italia, Ecuador, Romania, Nepal, Germania, Albania, Cuba, Mongolia, India, Islanda, Svizzera, Kenya, Cambogia) e incontra uomini, donne, bambini e anziani che convivono con forme diverse di disabilità, le quali sono sì, «uno degli elementi che (ne) costituiscono l’identità», ma non, al contrario, l’aspetto totalizzante del proprio “io”. Lo spiega bene Tasso con le sue potenti immagini – in cui i protagonisti sono tutti alle prese con le loro attività quotidiane, le loro ambizioni e soprattutto con la partecipazione all’interno della comunità d’appartenenza – e lo ribadisce quando scrive: «Con il mio lavoro ho voluto sfidare la percezione scontata che noi abbiamo delle cose. Quando si parla di disabilità, tutti concentriamo lo sguardo su quelle caratteristiche che rendono l’oggetto della nostra attenzione “diverso”. Ma io ho fatto l’esatto opposto, senza forzare la mano, senza negare nulla, ma centrando l’attenzione sulla verità, cioè sulla persona, messa al primo posto. Ognuna con le sue caratteristiche, e ognuna valorizzata dalla possibilità di darci una visione di sé lontana dagli stereotipi che molto spesso si trasformano in filtri dai quali è difficile liberarsi».

Sfogliando il bel volume, ci si imbatte così in un bambino su una sedia a rotelle, in Kenya, che si diverte attorniato dai suoi numerosi compagni, e in una coppia di giovani sposi del Nepal (lei nel 2015 aspetta il loro primo figlio, lui s’aiuta col bastone dell’orientamento e sembra pensare al terremoto che gli ha distrutto la casa, senza perdere però la speranza); ancora, scorgiamo un altro uomo, non vedente, dietro al bancone di un bar in Albania, che serve birra a due clienti. Poi c’è chi va a cavallo, chi bacia o abbraccia un amico o un familiare, «individui attivi» che, con le peculiarità delle loro esistenze, arricchiscono e valorizzano il mondo che li circonda.

Grazie alle fotografie di Tasso, si dà quindi voce a un’umanità che appare fiera nello sguardo e nella postura, a persone «consapevoli – come sottolinea Alessandra Mauro nell’introduzione al libro – di quel che sono, e di quel che è il loro corpo» e che, in particolare, «sembrano dire a chi li riprende, ma anche a noi che a distanza di tempo e di spazio li osserviamo, “Guardami, ecco, questo sono io. Qui, ora”». Non c’è da vergognarsi, non è in corso una guerra col proprio corpo. Una galleria di immagini, pertanto, dove nessuno è escluso – «laddove avrà il suo posto nella comunità» – «dagli occhi di chi sa guardare» con rispetto ed empatia e in riferimento a cui, per la relativa realizzazione, «ognuno ha scelto liberamente come e dove essere ritratto».

Le fotografie sono, infine, precedute da una riflessione di Giuseppe Pontiggia (tratta da Nati due volte) e quattordici tra le immagini pubblicate nel volume sono rese accessibili a persone non vedenti e ipovedenti con audio descrizione e paesaggio sonoro. Un apparato testuale semplificato per la comprensione – disponibile accedendo al sito www.contrastobooks.com – è a supporto verso uomini e donne di ogni età con difficoltà linguistiche o cognitive. Un lavoro imperdibile.

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n. 154, 2021

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Chi mettere al centro dell’obiettivo? ultima modifica: 2021-08-04T09:01:39+00:00 da Enrica Riera

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