Il disagio personale, può avere spazio all’interno delle relazioni quotidiane? Ogni persona può vivere una relazione in cui sentirsi guardato e “preso sul serio” … o il disagio “imprigiona” ad un’inevitabile emarginazione sociale?
Abbiamo incontrato l’Associazione di volontariato “I SempreVivi”, all’interno della Parrocchia S. Pietro in Sala in piazza Wagner a Milano, associazione di accoglienza per persone affette da disagio psichico, ma forse… qualcosa di più. Lo abbiamo chiesto al fondatore Don Domenico Storri.

Quale è stato il percorso dell’associazione all’interno della comunità parrocchiale?
La cosa è nata come tutte le cose belle e semplici della vita. In parrocchia c’erano persone che frequentavano il quartiere e l’oratorio, malvisti perché erano considerati i “matti”. Quando ho iniziato psicologia in Cattolica è cresciuto un occhio di riguardo, un’attenzione particolare: ho cominciato a parlare, a incontrare, a dare del tempo con incontri in oratorio, un panino al bar. Poi, una volta laureato con una tesi sulla “montagna terapia”, con qualche giovane dell’oratorio appassionato abbiamo iniziato questa esperienza con giornate in montagna insieme ad alcune di queste persone. Esperienza di otto anni fa, in un giugno a Macugnaga al rifugio Zamboni, io con tre educatori e quattro persone affette da malattia mentale.

Da lì abbiamo iniziato. Si è cercato di camminare su due piani, parallelamente: innanzitutto abbiamo costruito un gruppo di ragazzi volontari, e, sull’altro binario, abbiamo sensibilizzato la parrocchia, piano piano, coinvolgendola in alcuni incontri sul disagio mentale che poi si sono trasformati in veri e propri convegni con un’alta affluenza di persone. Convegni nei quali abbiamo coinvolto i ragazzi chiedendo loro di raccontare, dal loro punto di vista, che cosa vuol dire vivere la malattia mentale o in cui i genitori hanno raccontato che cosa significa avere un figlio con disagio mentale, e questo ha creato un’apertura e un cambiamento di mentalità della parrocchia e del territorio verso i malati mentali.

Oggi il gruppo, dopo otto anni di vita (cinque come associazione), accoglie una sessantina di persone con disagio mentale che vivono fondamentalmente integrati con i ragazzi dell’oratorio e i loro genitori. Questo è uno dei “miracoli” più belli di questa esperienza, capace di fare dell’incontro una vera occasione di condivisione.

Possiamo perciò dire che si è creata una vera e propria integrazione…
La marcia in più che la nostra associazione ha, non è tanto quello che facciamo, che poi sono le cose “classiche”, ma di aver “giocato” molto sulla capacità terapeutica della parrocchia che è un insieme di relazioni. Io credo che il disagio psichiatrico si sconfigga inserendo il malato mentale in una rete di relazioni sane e la parrocchia è una fucina di relazioni, favorendo percorsi riabilitativi importanti per le persone accolte.

…è ovvio che tu credi molto che in una scelta di questo tipo ci sia uno svelarsi del volto di Gesù, un essere ancorati al messaggio evangelico…
Potremmo dire che è una nuova evangelizzazione. Ad esempio da anni facciamo la Scuola dei Genitori una volta al mese per genitori con i figli delle medie, e un altro per i genitori con figli adolescenti, in cui vengono trattate tematiche psicologiche, di aiuto alla crescita dei figli e la frequenza è altissima. Questo per dire che è un modo concreto per coinvolgere le persone su tematiche fondamentali perché tutti i genitori hanno a che fare con la crescita dei figli. Anche questo è un modo di evangelizzazione, perché il messaggio e la proposta educativa tiene conto di valori umani e spirituali e nel tempo mi sono reso conto che la gente lo apprezza molto. Gli incontri, nei quale mi faccio aiutare anche da esperti, diventano per me occasione di incontro, di approfondimento. Così abbiamo iniziato anche all’interno dell’oratorio incontri di supporto alla famiglia.

Racconti davvero di un’integrazione con la comunità parrocchiale in cui non siete percepiti come ospiti… potremmo dire che si è venuta a creare una sorta di sensibilità particolare che a partire da un progetto di accoglienza raggiunge tutti…
Quando i genitori vedono che l’impianto educativo è a disposizione dei figli e fa cose davvero utili, la gente si apre all’accoglienza. La Scuola per i genitori ha una sua storia e la gente è contenta perché si parla dei figli ma si allarga a una riflessione sull’uomo.
I genitori si fidano perché sanno che c’è serietà e un accompagnamento che va bene per i SempreVivi e per i ragazzi dell’oratorio. L’oratorio funziona se c’è una presenza educativa stabile, soprattutto del prete, che è li a vivere le relazioni. Credo che sia importante stare con i ragazzi e fare il prete dell’oratorio. I genitori sanno che c’è il prete, i volontari, l’educatore, e che ci sono anche i SempreVivi ma con tutta una serie di presenze che fanno da mediazione e che favoriscono una reale integrazione.

Insomma non è vero che i ragazzi non vanno più in oratorio se questo resta e diventa un’esperienza educativa e di incontro importante…
Siamo in centro a Milano: alla messa di mezzogiorno fai fatica ad entrare tanti sono i ragazzi e i genitori. Abbiamo quasi mille bambini iscritti all’oratorio. Certo non è l’oratorio di una volta, l’oratorio di paese, qui i ragazzi entrano ed escono anche perché gli spazi sono limitati, però quelli che vengono all’oratorio sono davvero tanti: nelle vacanze estive portiamo via quasi 400 bambini. Bisogna divertirsi, è importante anche la dimensione del “gioco” nel vivere le relazioni.

Cosa può fare un cristiano per essere strumento evangelico nella propria vita e quotidianità, nell’incontro…
Deve scendere dal dogmatismo che è una delle cose che fa male… la parola cristiano, per essere vitale, deve coniugarsi nelle varie situazioni e nelle varie realtà. Si deve avere capacità di flessibilità senza cadere nella rigidità, scendere dal piedistallo. Bisogna evitare una Chiesa per pochi aprendosi un po’ di più all’incontro con l’altro… Capire fino a che punto spingersi senza perdere la propria dimensione profonda dell’essere cristiano ma aprendosi all’accoglienza di tutti. Che è poi quello che penso che abbia fatto Gesù, scendere dal piedistallo e incontrare la gente…

Una fede un po’ più incarnata, che si fa incontro, vicinanza…
Vivere la fede dentro l’umanità, senza scandalizzarsi… dove c’è la sofferenza umana deve esserci sempre un grande rispetto e attenzione…

Grazie Don Domenico per la tua disponibilità, e buon cammino! E buon cammino anche a noi…perché la possibilità di vivere e incarnare il Vangelo forse davvero esiste, è possibile… che basti davvero solo un pizzico di “follia” per fare meraviglie?

a cura di Giovanni Vergani
Info: www.isemprevivi.org

“Nella realtà parrocchiale si beneficia di relazioni spontanee, variegate, autentiche. Le persone affette da disagio psichico vivono in tutti i suoi aspetti la dimensione parrocchiale, specie quella dell’oratorio: prestano servizio al bar, al cinema, al gruppo estivo con i ragazzi, partecipano alle diverse riunioni di gruppo, alla messa domenicale e si incontrano sul sagrato a chiacchierare senza difficoltà.

(…) Altro aspetto riabilitativo importante è la settimana bianca di iniziativa oratoriana. Circa una trentina di malati mentali condivide l’esperienza della neve, degli sci e delle ciaspole, con ragazzini della scuola media e con adolescenti e genitori. La sorpresa di queste giornate sono le riunioni serali dove l’intero gruppo eterogeneo interagisce, discute e si confronta su tematiche esistenziali e dove i ragazzi, ascoltando con attenzione i racconti di sofferenze e di paure ma anche di essenzialità e di coraggio dei cosiddetti “matti”, stemperano ogni pregiudizio”. (da Famiglia Oggi n.3/2012)

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.121

“Un po’ di follia …per fare meraviglie!” ultima modifica: 2013-03-10T15:05:04+00:00 da Giovanni Vergani

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