“Caro Giudice, ho chiesto di parlare con te perché ho deciso di raccontare molte cose su papà, sono fatti successi quando avevo sei anni e sono durati fino a quando sono venuta qui(…).. Quando papà veniva a trovarmi la notte mentre dormivo, anzi quando ero sveglia perché non potevo dormire, avevo tanta paura! Mio padre dava botte anche al mio fratellino, ma io lo difendevo. Quante mazzate ho avuto, quanto male mi ha fatto mio padre.”

Benvenuti nel paese delle meraviglie, dell’incredulità che proviamo di fronte a tanto male, a famiglie tanto lacerate, a padri tanto spietati, a madri tanto sottomesse da chiudere gli occhi davanti a minacce, segregazioni, percosse, abusi sessuali.

Benvenuti nel paese delle meraviglie, dello stupore che proviamo di fronte al fatto che la persona che ha scritto quelle parole e che ha raccontato al magistrato che il suo papà non si comportava come “un vero papà” ma come “un fidanzato”, sia sopravvissuta a quello sfacelo indicibile e ora viva serena in una nuova famiglia.

Benvenuti ad Ostuni, provincia di Brindisi. Siamo in uno degli istituti della Nostra famiglia, l’opera fondata da don Luigi Monza nel dopoguerra e il Paese delle meraviglie è il nome che gli operatori danno all’Unità operativa “Sindrome da maltrattamento” che accoglie persone da 0 a 12 anni inviate dal Tribunale dei minori. In questo momento ce ne sono 44. La direttrice dell’istituto, Carmen Chiaramonte, la responsabile dell’unità operativa, Maria Grazia Bacco, il dottor Luigi Russo, Beatrice Panarelli e altri operatori del centro ci raccontano tante storie, tutte diverse, tutte terribili, spesso rese più complicate dalla presenza di un handicap mentale, accomunate dalla ferita più grande: la perdita della fiducia negli adulti. I ragazzi coltivano, invece, una profonda solidarietà fra loro “qui tutti teniamo un guaio”, dicono — ma arrivano avvolti da una paura che una di loro ha descritto così: “con il tempo ho scoperto che la vita è un percorso nel quale spesso inciampi, non riuscendo a rialzarti proprio per la paura di scoprire che nulla è cambiato. La paura di affrontare la vita dopo aver sopportato un’esperienza che lascia il segno. La sottile e costante presenza del timore che le persone intorno a me non si accorgano che esisto”. Da questo accorgersi di loro inizia l’opera di chi lavora nel centro: devono restituire la dignità e instillare la fiducia. É un lavoro difficile e anche pericoloso perché si rischia in ogni momento di restare coinvolti in liti familiari dirompenti. Lavoro così prezioso che nel suo ultimo libro Conversazioni notturne a Gerusalemme, il cardinale Martini paragona gli operatori sociali ai teologi della liberazione e a tutti coloro che esercitano “l’opzione a favore dei poveri” e per questo motivo devono attendersi ancora oggi persecuzioni. E a Ostuni le angosce prendono le forme più varie: la fatica di sanare le ferite, ovviamente e soprattutto. Ma anche la lista d’attesa per entrare nel centro, sempre troppo lunga. E poi i dubbi quando si deve individuare una nuova famiglia per un affido o, ancora di più, per un’adozione. “È importante far conoscere ai ragazzi tempi e caratteristiche del loro percorso di “uscita dal trauma” — ci spiegano — ma con grande delicatezza”. Ad esempio, quando parlano di eventuali nuovi genitori, gli operatori non parlano mai di “famiglia” perché questa è una parola che evoca solo sofferenze, ma di “amici” da conoscere, nuovi amici che solo col tempo potranno diventare mamma o papà.

Poi arriva Natale. Sotto forma di doni e di un grande pranzo tutti insieme. I ragazzi sono sempre meravigliati del fatto che ci siano gli antipasti e che ricevono (per una volta all’anno e grazie alla generosità segreta degli “amici”) tutti i regali che chiedono, anche i più costosi, l’iPod o le Nike Silver. Ma come, direte voi, cibo e regali come nel Natale più banale che ci sia? Potremmo rispondere che quel che ricevono, qualunque cosa sia, è solo un pallido risarcimento per vite come le loro, ma sarebbe anche questa una risposta banale. No, è che in posti come questo davvero il Natale dello spirito o si fa tutto l’anno o non si fa. Di fronte a queste ferite, lo Spirito consolatore ha così tanto da fare che non può aspettare Natale. Come “brezza leggera”, soffia ogni giorno e produce frutti piccoli ma indimenticabili. Come al solito, sono gli stessi ragazzi a trovare le parole più adatte per descriverli: “Se questa casa fosse viva la considererei una mamma”, ha scritto uno e la ragazza dalla quale siamo partiti, parlando con una zia del fatto che ora finalmente riusciva a dormire, diceva: “ci guardano anche di notte!”. E al matrimonio di un’educatrice, un’altra, che veniva da una famiglia poverissima, ha fatto una preghiera: “Ti auguro che tuo marito sia bravo e che tu abbia almeno una casa popolare”.

Vito Giannulo, 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.104

Sommario

Editoriale

Philippine di M.Bertolini

Presenza Reale di P. Roberti

Articoli

Il paese delle meraviglie di V. Giannulo
Sono un pellegrino di J. Vanier
Quel tesoro nascosto di B. Bertolini
Una grande sorpresa di Maria
Un luogo dove è bello vivere di T. Cabras
Carugate: a catechismo con gli amici disabili di B. Arrigoni
Non una santa di S. Gusmano
Tanti volti, tante lingue… un solo cuore di Enza Gucciardo
I fraticelli di Pennablu

Libri

Vegliate con me, C. Saunders
La vita è una sfida, C. Lejeune
Più forte della malattia, B. Kullmann
Eloì. Eloì, A.Custovic
Sessualità – Come viverla con la propria disabilità, K. M. Schweir e D. Hingsburger
Eros e Disabili, R. Gay e M. Di Bona
Gli errori di mamma e Papà: Guida pratica per non sbagliare più

Rubriche

Dialogo aperto

Il paese delle meraviglie ultima modifica: 2008-12-07T19:25:20+00:00 da Vito Giannulo

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.