Attraverso il racconto di una “prova” del Laboratorio Teatrale “Piero Gabrielli” scopriamo che nel teatro è possibile far sì che le differenze convivano e diventino una ricchezza, che il limite diventi occasione creativa, proprio come ha detto il geniale inventore di favole moderne Gianni Rodari:

Aspetto nel corridoio camminando avanti e indietro pensando che è trascorso diverso tempo dall’ultima volta che ho messo piede in una scuola. Sono all’ultimo piano dell’Istituto Comprensivo di via Madonna dell’Orto nel quartiere di Trastevere. Tra pochi minuti entrerò nella “sala prove” per assistere ad un laboratorio di teatro integrato.

Da fuori sembra una comune aula scolastica, dai rumori che ne provengono, però, sembra più una palestra… Sento il suono di passi sul parquet scricchiolante rimbombare in un luogo ampio. Ma ora quei passi si muovono al tempo di una musica eseguita al pianoforte. Immagino, quindi, oltre al parquet, anche qualcuno che balla e qualcun altro che suona. Non reggo e discretamente mi affaccio.

I suoni diventano immagini. La sala è molto grande e le pareti sono scure, il parquet è marrone, il sole pomeridiano entra abbondante dalle finestre. Non è un teatro, né un’aula e nemmeno una palestra. Forse tutte queste cose messe insieme.

I passi a tempo di musica sono di Roberto Gandini, regista e coordinatore artistico del laboratorio, con cui ho parlato poco prima. Si muove bene, sta provando una coreografia ed è straordinariamente disinvolto (fossi io così!). E pensare che prima di incontrarlo me l’ero immaginato un po’ sovrappeso, occhiale da intellettuale, sciarpa e cappello (non è così che ve lo sareste immaginato anche voi un regista?).

Ma ecco arrivare alla spicciolata un’orda di ragazzini rumorosi in tuta da ginnastica che lo salutano. Lui ha una voce chiara e forte che si fa rispettare ed i ragazzi si distribuiscono in file parallele. Cominciano ad eseguire gli esercizi a corpo libero insieme a Roberto. E’ un vero e proprio riscaldamento abbinato ad esercizi di coordinazione, indispensabili per imparare ed eseguire le coreografie, ma soprattutto per conoscere le potenzialità espressive del proprio corpo che inviando messaggi ci mette in relazione con gli altri.

I ragazzi sono euforici, ma impegnati e quando alla fine di questa prima parte di laboratorio si trovano a provare per l’ennesima volta i passi di una coreografia sono entusiasti. Roberto chiede loro di concludere la coreografia inventando una loro personale chiusura tenendo le braccia aperte per accogliere l’applauso del futuro pubblico. E qui si sbizzarriscono!

L’inclusione all’attività di alcuni ragazzi con disabilità è assicurata dalla presenza di altrettante professoresse che (anche loro rigorosamente in tenuta ginnica) eseguono gli esercizi accanto a loro. Uno di questi ragazzini mi sta particolarmente simpatico. Ha l’aria distratta, ma si guarda continuamente attorno, mi nota (infatti, nell’intervallo non si lascia scappare l’occasione per chiedermi: “Ma quanti anni hai tu?”) e quando può si sposta per “fuggire” dal fianco della prof per andare accanto ad una compagna…

Dopo un po’ di meritato riposo si ricomincia. Siedono tutti in cerchio e Roberto racconta ai ragazzi due storie. Stare in cerchio serve a raggiungere un’armonia dove tutti sono alla stessa distanza dal centro. I ragazzi devono conoscere bene le storie che dovranno rappresentare e per questo gli viene chiesto di ripeterle. Ma sono anche spronati ad aggiungere elementi nuovi e a proporre una diversa ambientazione. Roberto, sceglie di cominciare da una delle due storie, scrive con l’aiuto di tutti una prima sommaria divisione in scene.

Il regista sceglie i protagonisti: per un gruppo una protagonista femmina e per l’altro maschio. Così la stessa storia avrà punti di vista differenti.

Il grande cerchio si scioglie e divisi in due gruppi, con l’aiuto sempre delle insegnanti e di due collaboratori, i ragazzi si dividono le parti e in pochi minuti provano, tra di loro, le varie scene. C’è un gran fermento e intanto la sala prende una luce diversa; le tende si tirano ed i riflettori ne illuminano solo una parte: ecco fatto il palcoscenico. Si inizia e le improvvisazioni dei ragazzi non mancano di trovate fantasiose!

Lasciando la libertà di esprimersi Roberto può captare le sensibilità individuali, quei punti di forza in vista dell’assegnazione dei ruoli. La persona così si sente conosciuta nella parte più profonda e può affrontare la sfida.

Durante tutta la prova ho notato con interesse che i ragazzi disabili sono parte del tutto. Non c’è un trattamento di favore, pietismo o compassione; il teatro, con le sue regole, è per sua natura inclusivo. È uno strumento creativo che, opportunatamente guidato, valorizza e gratifica le abilità di ognuno. Come dice Roberto, la persona disabile porta una necessità, ha un gran bisogno di esprimersi perché abbonda di emozioni disponibili. Il gesto teatrale, come gesto artistico, ricerca la relazione, presuppone un interlocutore.

Il pubblico che va al teatro è cosciente che lui stesso è indispensabile, che la sua presenza conta. La partecipazione della persona con disabilità sposta equilibri facili e questo arricchisce una rappresentazione anche perché con il pubblico si crea un rapporto speciale, c’è un’unità in quel preciso momento solo per lui. La probabilità di un errore fa scattare nel pubblico un sentimento di adesione. Come spiega Roberto: “Io stesso dico, barate! Da un errore, da un momento di indecisione, inventi. Bari e viene fuori qualcosa di nuovo!”. In scena il limite diventa occasione creativa, il punto di partenza per un’originalità espressiva.

Laura Nardini , 2008

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.101

Sommario

Editoriale

Avvicinare i genitori di M. Bertolini

Dossier: Un percorso di catechesi speciale

La loro e nostra Cresima di Pietro Vetro
L’uomo guarda il volto, Dio il cuore di V. Mastroiacovo
Ho camminato vicino a Marco di R. Tarantino
Abbiamo tutti bisogno dei sacramenti di P. Luciano Larivera

Articoli

I ragazzi di Sipario
Tra il dire e il fare non c’è più il mare di M. Bartesaghi
Concorso fotografico “Legami” di A. Panegrossi
Sbagliando s’inventa di L. Nardini
Invasioni rumene, non barbariche di H. Pott
Immaginate...  di M.C.V.
Testimone oculare di M.T.Mazzarotto

Rubriche

Dialogo aperto

“sBagLiandO s’inventa” ultima modifica: 2007-12-12T17:13:46+00:00 da Laura Nardini

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