Come padre di Gianluca e di due altre bambine ritengo necessario fare una premessa per poter rispondere a questa domanda ed essere comprensivo ai lettori che non conoscono il nostro caso.

Gianluca è nato undici anni fa in Belgio dove mi trovavo, all’epoca, con la mia famiglia per ragioni professionali. Al momento della nascita Gianluca stava benissimo e anche per sua sorella Sofia, che aveva poco più di due anni, era sicuramente molto bello avere un fratellino.

La malattia si verificò cinque mesi dopo, quando a Gianluca, all’improvviso, fu diagnosticata una “sindrome di West”. Per me ma anche per mia moglie e per mia figlia fu un autentico dramma. Personalmente non potevo immaginare che mio figlio potesse ammalarsi di una sindrome a me totalmente sconosciuta e per di più, a detta degli specialisti, estremamente grave.

Ho tenuto a precisare dove è nato Gianluca perchè, pur avendo in Belgio una serie di conoscenze ed avendo il Paese delle strutture sanitarie di primissimo ordine, di colpo ci siamo dovuti confrontare con una realtà particolare, ovverosia priva del supporto di una rete familiare fatta di nonni, zii, genitori e fratelli sulla quale, normalmente uno ritiene di potersi appoggiare e chiedere l’aiuto o il conforto necessario in simili circostanze.

La degenza di Gianluca si protrasse poi per diversi mesi.Le terapie sperimentate funzionarono solo dopo diverse settimane e nel frattempo la sindrome di West aveva provocato una grave lesione cerebrale. Sempre in ospedale, Gianluca che non aveva più difese immunitarie, a causa dei trattamenti cui era sottoposto, fu soggetto a numerosissime complicazioni e ad altre numerose patologie. Anche dopo la degenza, a causa della sua debolezza cronica, molto numerosi furono i ricoveri d’urgenza e, probabilmente, solo le medicine e le terapie già disponibili all’epoca gli salvarono la vita in alcuni casi.

Ho parlato di dramma per due ragioni: da una parte perchè era difficile confrontarsi con una malattia conosciuta solo dagli specialisti, dove era impossibile chiedere ad un bambino di pochi mesi, che soffriva , come stava e fargli capire tutto il bene che uno gli voleva; dall’altro come affrontare la situazione in un contesto particolarmente delicato. Mi spiego meglio, di fronte ad un quadro clinico complesso e con pareri discordanti, come decidere se andare a trovare o meno degli specialisti in altri Paesi? Come spostarsi per diverse settimane con un bambino gravemente malato, avendo degli obblighi professionali ma soprattutto un’altra figlia di cui occuparsi, la quale celebrò il suo terzo compleanno in ospedale dove la mamma praticamente viveva assieme al fratellino.

Per quanto mi riguarda ho affrontato la malattia di Gianluca in maniera completamente diversa da quella di mia moglie. Forse perchè i ruoli dei genitori non sono identici, così come diversa è la sensibilità nei confronti dei figli da parte di una madre rispetto a quella di un padre.

La malattia di Gianluca ci ha sicuramente tenuti assieme ma ci ha fatto percorrere itinerari spesso soltanto parallelli.

Personalmente ho capito, o forse, più esattamente ho voluto capire la malattia di Gianluca molto tempo dopo mia moglie. Fu necessario un anno e fu in coincidenza di una visita specialistica a Londra. Quanto poi ad accettare quello che succedeva a mio figlio è un altro discorso:ci è. voluto molto ma molto più tempo.

Quanto ho appena detto risponde solo in parte al quesito iniziale. Certamente l’equilibrio all’interno della nostre vita di coppia non è stato più lo stesso dopo la malattia di Gianluca ed i momenti che potevamo dedicare esclusivamente a noi due sono diventati molto rari. Sicuramente, mio malgrado, non ho più potuto dedicare il tempo necessario e che davvero si sarebbe si meritato a mia figlia maggiore , ma ho cercato poi di recuperare questa mancanza con la nostra terzogenita Francesca, che oggi ha quasi sette anni. Non nascondo inoltre di aver dedicato molte energie e spazi a me stesso, a scapito della famiglia. Ritengo che si trattasse in parte di una reazione egoistica, ma anche indispensabile per ricaricarmi e cercare di superare i momenti di difficoltà, che da una cadenza quotidiana iniziale, si sono poi diradati, anche se continuano ed oggi sono più facilmente programmabili e gestibili. Mi rendo anche conto che quanto ho detto non vale in un ambiente socialmente sfavorito, soprattutto in un paese come l’Italia dove purtroppo le strutture di supporto sono assai carenti. Mi spiego meglio: quando trascorro da solo una giornata con Gianluca ho sicuramente delle grosse emozioni ed appagament,i ma arrivo la sera completamente esausto e sarei incapace di spendere, da solo con lui, alcuni giorni senza l’aiuto di un’ altra persona. Tuttavia cerco di dedicare alcuni giorni delle mie vacanze esclusivamente ad ognuno dei miei figli, Gianluca compreso ovviamente. Con Gianluca vado anche a trovare degli amici e noto da parte loro gentilezza e comprensione aiutato in questo dal fatto che, nonostante le sue enormi difficoltà di comunicazione, Gianluca ricerca sempre il contatto con gli altri ed è un bambino mol to affettuoso, nonostante alcuni problemi caratteriali.

Vorrei concludere rispondendo invece alla seguente domanda: come dovrebbe reagire un padre che scopre di avere un figlio gravemente disabile? Non è facile dare una risposta. Ho visto matrimoni fallire, famiglie sfasciarsi e padri scappare per questa ragione, ma ho anche visto famiglie unirsi e rafforzarsi.

L’anno scorso un film dal titolo “Le chiavi di casa” aveva anche il pregio di mostrare come la reazione di un padre di fronte a questo problema é molto diversa da quella di una madre, che ha spesso già portato in grembo il proprio figlio malato per nove mesi ed è quindi forse più portata ad avere una relazione “naturale” con il figlio o la figlia disabile.

Ciononostante di fronte a ciò che il più delle volte diventa un dramma, nessuno è mai preparato. Credo chÈper un padre, ed io non sono stato uno di quelli, chiedere semplicemente aiuto alla propria moglie possa essere l’inizio per affrontare meglio un autentico problema che ha tuttavia un aspetto positivo: rendere più evidenti i valori reali della vita.

Giovanni Adorni Braccesi, 2005

La famiglia messa alla prova dalla disabilità ultima modifica: 2005-12-23T14:59:25+00:00 da Giovanni Adomi Braccesi

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