Angela va a scuola, perché ha sei anni, perché finalmente esiste la scuola su misura per lei, una scuola che non le farà pesare la sua grave disabilità mentale, l’assenza del linguaggio verbale e l’incapacità di compiere qualsiasi movimento volontario. È a Zingonia, in provincia di Bergamo. È una scuola elementare di un paese di periferia, abitato da operai, immigrati, piccola borghesia. Una scuola con i muri blu e il pavimento giallo, le finestre rosse e le aule con le porte sempre aperte. Anche i bambini sono… di tutti i colori. C’è il pachistano, la bimbetta senegalese, il cinese con i capelli diritti, la polacca bionda bionda e anche qualche bergamasco doc con i capelli rossi. Una scuola statale, multicolore, multietnica e “multi-intelligente”.

Due aule e un bagno attrezzato sono riservati a sei bambini in età scolare, tre maschi e tre femmine, con deficit gravi e gravissimi. Con loro ci sono gli insegnanti, gli educatori professionali e gli assistenti educatori, questi ultimi, per la maggior parte obiettori di coscienza.

“Abbiamo iniziato sette anni fa – dice Rita Rovaris, direttrice didattica del Circolo di Verdellino – sollecitati dalla presenza di quattro alunni disabili gravi, nessuno dei quali in grado di comunicare verbalmente e tre dei quali non camminavano. Ognuno di questi alunni necessitava di un ambiente particolarmente organizzato e protetto; erano disturbati dal restare in classe così a lungo e a loro volta disturbavano durante le lezioni. E, a scuola, non era possibile progettare un piano educativo individualizzato che rispondesse ai loro bisogni specifici. Così si è pensato di unire due realtà esistenti finora in modo separato in altri territori. Esisteva la Scuola Potenziale, che a tutti gli effetti è una scuola nella scuola, ‘potenziata’ dal punto di vista del personale e delle risorse, una scuola debitamente attrezzata per questi bambini, dove era possibile sì l’integrazione con gli altri bambini, ma restavano scoperti quei bisogni più di stampo educativo ed assistenziale. E c’era il Centro Socio Educativo per i piccoli, una struttura prevista dal Piano Sociale della Lombardia ma ancora in fase di attuazione, più di stampo educativo e assistenziale che però penalizzava l’integrazione. Scuola Potenziale e Centro Socio Educativo per piccoli, insieme formano un’unica realtà che ben risponde ai bisogni dei bambini con deficit gravi. È stata la prima sperimentazione in provincia di Bergamo.

“È difficile dire che cosa sia questa scuola – spiega Antonella Costantino, neuropsichiatra infantile dell’Unità Operativa Territoriale – perché diverse possono essere le definizioni a seconda dei compiti istituzionali e dei ruoli dei singoli operatori. È un servizio che vede coinvolti familiari, educatori, insegnanti, assistenti sociali, riabilitatori, psicologi e neuropsichiatra, ognuno dei quali si avvicina al problema da punti di vista diversi e con compiti differenti; alla fine però il bambino con cui si ha a che fare è uno solo e, di necessità virtù, bisogna rimettere insieme i pezzi.

Ombre e Luci n. 64 - 1998

Forse è più facile dire che cosa non è questa scuola o cosa non vorremmo che fosse. Dal nostro punto di vista, non è un posto dove si fa “riabilitazione” ma nemmeno soltanto una “scuola” in senso stretto ma neppure un posto puramente assistenziale o di “parcheggio”. Non è neppure un luogo solo “educativo”. Non è un posto dove bisogna “riempirli” di attività e informazioni, ma neppure un posto dove vanno “lasciati in pace”, non è un posto chiuso ma nemmeno un girotondo dove tutti possono andare e venire senza alcun ordine né progetto. Non è un posto contro i genitori, ma neppure un posto dove fare quanto i genitori chiedono. Possono sembrare tutte cose scontate, ma credo che chi abbia condiviso con noi il percorso sappia bene che non lo sono e ricordarlo può aiutare a “tenere insieme i pezzi”.

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È proprio un lavoro di integrazione (inteso non soltanto come integrazione del bambino disabile nella scuola dei bambini abili, ma anche dei bambini abili nelle attività dei bambini disabili) e l’integrazione delle diverse figure professionali e delle competenze di chi vive e lavora con il bambino disabile ha permesso di arrivare a definire e programmare il servizio svolto in questa scuola.

La Scuola Potenziata – Centro Socio-educativo per piccoli è un’iniziativa per bambini con deficit gravi e gravissimi, con handicap severo e per le loro famiglie, in cui poter sperimentare contesti di vita partecipati e non emarginati. La finalità perseguita è la costruzione e l’espressione di un’identità personale mediante proposte più consone alle effettive esigenze dei bambini.

Ma è anche un servizio al territorio perché non riguarda soltanto il maggior benessere dei bambini disabili e delle loro famiglie ma anche e soprattutto il potenziamento della capacità della comunità locale a convivere autenticamente con le infinite diversità presenti al proprio interno, mediante un processo di allargamento graduale e di scoperta/riscoperta delle proprie competenze, che permettano di integrare a mano a mano le differenze.

Non una scuola solo per bambini disabili gravi quindi, ma una scuola per i loro genitori, per i coetanei, per veder lavorare insieme tutte quelle figure professionali che gravitano nell’orbita del bambino disabile.

Questa scuola ha più finalità.

Prioritario è trovare modalità di interazione e di contatto adeguate ai bambini disabili, “su misura” per ognuno di loro, che permettano di sperimentare un percorso evolutivo, o forse prima ancora, di sperimentare la possibilità di effettuare scelte, senza essere costretti in binari predeterminati. “Il recupero possibile – dice Rita Rovaris – deve essere visto in modo realistico onde evitare quelle reazioni di rifiuto e di abbandono, risultato di programmi fantasiosi e utopici, che deludono bambini disabili ed insegnanti’.

“Ne consegue – precisa Antonella Costantino – la finalità di appoggiare i genitori nel compito faticoso di fronteggiare la disabilità grave e gravissima dei propri figli e riscoprire la propria competenza, trasformando gradualmente il dolore in un’altra cosa che possa divenire arricchimento per loro e per la collettività, anziché un’eterna richiesta di risarcimento”.

Un terzo scopo è quello di permeare nella comunità sociale una cultura della differenza, permettendo agli altri bambini di scoprire che è possibile un contatto vero con i bambini disabili anche gravissimi, e non solo di facciata, e che il dolore e l’angoscia si possono guardare senza nascondersi per lo spavento. L’esortazione del lavoro sulla differenza nelle classi normali, in particolare con un lavoro di preparazione all’ingresso di tutti gli alunni disabili nelle classi di riferimento, può permettere una significativa facilitazione delle relazioni sia con i bambini disabili sia con tutto il gruppo classe.

Ma cosa farà Angela a scuola? Un sacco di cose: laboratori di attività grafiche, pittoriche, plastiche, cucina, drammatizzazione, espressione corporea, musica. E andrà in classe con gli altri bambini per l’attività musicale, motoria e l’educazione all’immagine. E mangerà alla mensa della scuola, usufruendo dei buoni mensa quotidiani che eviteranno di pagare una retta mensile standard non rimborsabile nel caso di assenze. Poi incontrerà il fisioterapista e la psico-motricista, ogni 15 giorni, che verificheranno l’ottica riabilitativa delle attività di Angela, insieme alle sue insegnanti e ai suoi assistenti. E se si ammalerà, la scuola potrà chiedere all’insegnante o all’assistente educatore di andare a casa di Angela durante le ore di scuola.

Per costruire questa scuola, che non è solo una scuola, e per farla funzionare si sono dati da fare in tanti. La direzione didattica e gli insegnanti, l’Unità Operativa Territoriale di neuropsichiatria infantile, i Servizi sociali e i comuni. Ed è forse proprio questo l’insegnamento più grande: non solo si possono “tenere insieme i pezzi” del bambino disabile, ma si possono “tenere insieme i pezzi” delle strutture sociali, in un’ottica di integrazione, di complementarietà delle competenze e delle professionalità e di interdipendenza delle parti che sono l’unica strada percorribile affinché l’integrazione del bambino disabile sia reale.

Manuela Bartesaghi, 1998

Questo articolo è tratto da
Ombre e Luci n.64, 1998

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Editoriale

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Articoli

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Una scuola su misura ultima modifica: 1998-12-10T16:27:31+00:00 da Manuela Bartesaghi

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