Se un gruppo di persone volesse intraprendere l’avventuroso viaggio dell’apertura di una comunità alloggio (comunque la si voglia chiamare: casa-famiglia, comunità residenziale o altro) per persone disabili, è bene che sappia quali sono i passi da fare, le tappe da rispettare e le… lingue da imparare.
La progettazione di una comunità è la risposta concreta a quella domanda che nel mondo dell’handicap sente spesso ripetere: che fine farà questo ragazzo quando la famiglia non ci sarà più o non sarà più in grado di accudirlo? Cosa ne sarà di lui, dopo di noi?

Dire: apriamo una comunità, non è facile. Ma quand’anche si arrivasse a dirlo, tutto deve ancora cominciare. Insieme, a tappe successive, occorre elaborare un progetto, una bozza di quello che si vorrebbe fare. E ci sono delle domande guida che possono aiutare:

  • vogliamo fare una comunità basata solo sul volontariato, che vive grazie alla provvidenza?
  • vogliamo creare una struttura in regola, dove chi vive o vi lavora, riceve uno stipendio, grazie alle rette (date in convenzione dall’ente locale Comunità e comunione) che gli ospiti percepiscono?

L’esperienza insegna che in genere all’inizio serve una buona dose di volontariato e di provvidenza, altrimenti non si partirebbe mai. Ma poi è imperativo creare le condizioni necessarie perché la comunità divenga il più possibile autosufficiente, rispettando le leggi e chiedendo che vengano rispettate.
È corretto socialmente: uno Stato deve provvedere ai bisogni delle persone in difficoltà, e per tramite della comunità, si chiede che questo avvenga. E poi, con la sua attività, la comunità crea posti di lavoro per i giovani, orientandoli ad una scelta professionale di servizio.
È corretto cristianamente: chi agisce perché animato dai valori della fede, non deve sostituirsi allo Stato, ma può aiutarlo a fare il suo dovere, creando servizi convenzionati là dove non ci sono e puntando alla qualità dei servizi resi.
I punti che seguono sono solo indicazioni di massima, per chi volesse seguire questa strada.

Comunità e comunione

Succede che chi pensa alla possibilità di aprire una comunità, si preoccupi (e non a torto) di individuare una casa, le persone disponibili ad abitarla e i fondi necessari per iniziare. Ma tutto questo non basta, anzi, forse non è neppure il giusto punto di partenza. Una comunità può nascere soltanto dalla comunione.
Da sola, una persona non può andare lontano. Le tante cose da fare e da sapere, la diversità delle competenze necessarie, il continuo confronto con la realtà e la necessità di essere plastici, cioè di sapere e voler cambiare strada, aggirare l’ostacolo, per raggiungere la méta, consigliano la creazione di un gruppetto di persone (né troppe, né poche) che insieme e grazie ai doni propri di ognuno, lavorano alla gestazione della comunità.
È un buon terreno di prova dove le motivazioni e la capacità relazionale di ognuno verranno messa alla prova; da questo terreno, e grazie a questo lavoro preliminare, può nascere un buon progetto di comunità e anche un futuro consiglio di amministrazione, quelle persone cioè che pur non vivendo in comunità, aiutano, sostengono e creano le condizioni concrete indispensabili alla vita della comunità.

Progetto realistico

Perché il progetto di una comunità prenda forma occorre fare un buon lavoro di ricerca, di studio, di confronto con ciò che già esiste. Non è tempo perso, perché permette a priori, di individuare le condizioni necessarie a che la comunità possa esistere e vivere.
Un progetto non si fa una volta per tutte, lo si costruisce nel tempo. Di fondo l’idea madre (dare una casa a chi non ce l’ha, costruire una rete di relazioni vitali, ecc.) non cambia. Ma possono cambiare le modalità della concretizzazione di questa idea. Le condizioni indispensabili alla costruzione di un progetto sono due: la plasticità (la capacità di cambiare modalità di realizzazione, l’elasticità mentale) e il realismo (la conoscenza delle condizioni poste dalle istituzioni e dalle sue leggi, la conoscenza di ciò che già esiste).

Le conoscenze per il progetto

3.1 Conoscere il territorio
Cosa esiste sul territorio nel quale si intende creare una comunità? Quali servizi offerti? Gestiti da chi? In che modo? Quali difficoltà incontrano i servizi già esistenti? Queste informazioni si possono chiedere al Settore Servizi Sociali dell’ASL, oppure agli assistenti sociali che operano sul territorio o andando direttamente a conoscere le realtà esistenti. Sono informazioni che permettono di farsi un quadro della situazione, non tanto in funzione di conoscere dati numerici, ma per ascoltare la strada già percorsa da altri con relativi successi e fatiche. C’è molto da imparare da chi ha già costituito un associazione, o una cooperativa, da chi ha già avuto a che fare con la stipula di convenzioni, e con tutto l’iter da percorrere.

3.2 Conoscere le leggi
Ogni Regione ha un suo piano socio-assistenziale e ha formulato delle leggi che regolamentano la gestione dei servizi sociali. Si può chiederne copia all’assessorato regionale ai servizi sociali o all’assessore ai servizi sociali del comune.
La conoscenza di queste leggi è fondamentale per l’elaborazione del progetto di una comunità, perché dettano tutte le condizioni necessarie per lavorare con gli Enti Pubblici.
Il Piano Socio-Assistenziale della Regione Lombardia, per esempio, ha un allegato dedicato all’handicap. Leggendolo se ne ricava:

  • Chi può gestire un servizio (quali caratteristiche devono avere i privati per entrare in convenzione);
  • A quali condizioni (essere un ente senza scopo di lucro, una cooperativa di solidarietà sociale,…);
  • Quali servizi vengono riconosciuti dalla Regione (Centri di Pronto Intervento, Comunità alloggio, Centri residenziali per gravi, ecc.).

Per ogni servizio si specificano:

Gli standard gestionali

  • la definizione (che cos’è)
  • i destinatari
  • i criteri di ammissione
  • la capacità ricettiva
  • il funzionamento
  • le attività
  • il personale (quali figure, quali titoli di studio, quante persone…)

Gli standard strutturali

  • requisiti della struttura (come dev’essere la casa)
  • loco ..^azione (dove dev’essere)
  • accessibilità della struttura (abbattimento delle barriere architettoniche)
  • articolazione della struttura (spazi di collegamento comuni)
  • articolazione della cellula abitative (quali stanze quante, quanto grandi
  • gli impianti (gas, luce, ecc.)
  • gli elementi costruttivi (le porte, finestre, pavimenti…)
  • gli arredi
  • gli spazi esterni.

Sono indicazioni preziose e vincolanti perché permettono di fare i passi giusti per tempo. Dalla scelta della struttura giuridica che la comunità (o chi la gestisce) vuole darsi, alle figure professionali da assumere (e con quale contratto), dal come ristrutturare la casa o quale casa cercare per la comunità e come ottenere l’idoneità alla convenzione, tutto viene indirizzato dalle indicazioni che le leggi forniscono. Non è un lavoro difficile, soprattutto se c’è nel gruppo qualcuno che ha un po’ di dimestichezza con il linguaggio giuridico e che è capace di tradurlo agli altri.
Solo dopo aver preso visione della realtà esistente e delle condizioni poste dalle leggi, si può iniziare a elaborare un progetto concreto, che preveda fasi e tempi, e distribuzione di compiti: chi pensa all’associazione, chi alla casa, chi a trovare i fondi per iniziare. Con il progetto, la comunità è soltanto concepita; c’è ancora tutto il tempo della gestazione prima di arrivare alla nascita. Ne riparleremo.

Manuela Bartesaghi, 1997

Come progettare una comunità ultima modifica: 1997-06-12T08:16:15+00:00 da Redazione

Ogni mese inviamo una newsletter

Ci trovi storie, spunti e riflessioni per provare a cambiare il modo di vedere e vivere la disabilità.

Se prima vuoi farti un'idea qui trovi l'archivio di quelle passate.

Ti sei iscritto. Grazie e a presto... anzi alla prossima newsletter ;) Se ti va, quando la ricevi, facci sapere che ne pensi. Ci farebbe molto piacere.