Caro collega,
lei ha appena saputo che una mamma ha messo al mondo un bimbo affetto da trisomia 21 (Down) e le ha chiesto di andare subito; e lei vuole sapere da me come comportarsi. Conosco questa situazione, perché la vivo molto spesso, e so come è penosa. È vero, non esiste una maniera buona per dire parole terribili. Sono parole infatti che determineranno non solo la vita di un bambino, ma anche quella della sua famiglia perché, da ora in poi, nulla sarà più come prima per loro.
Se questa mamma l’ha chiamata, lei deve andare, anche se pensa che uno specialista o un’altra persona sarebbero più indicati. Gli specialisti e gli altri interverranno più tardi, su sua richiesta e d’accordo con i genitori, ma in questo momento è lei che deve rispondere a questa «urgenza», perché si tratta proprio di una urgenza!

Bisogna far capire ai genitori che il loro compito più importante è scoprire la personalità del bambino, e che solo loro possono farlo

Non si tratta di consolare a qualunque costo, di dare lezioni che le parole erudite rendono diffìcilmente comprensibili, soprattutto quando si ha il cuore spezzato. Non si tratta di fare pronostici più o meno oscuri.
Si tratta, prendendo tutto il tempo necessario, di mostrare le cose come sono, di spiegarle con parole semplici, di dire ciò che si sa e di non esitare ad ammettere ciò che non si sa. Si tratta di rispondere alle domande anche se sono formulate solo in parte, e di dire la verità anche se non necessariamente tutta insieme.

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Può essere utile parlare prima, da solo, con il papà. Ciò permette di capire l’atmosfera della famiglia e di conoscere un po’ la personalità della mamma. Questo approccio con il padre non deve mai essere preso come una scappatoia, anche se la tentazione è forte… Non si può scaricare tutto su un uomo disorientato dal colpo terribile che ha appena subito. Le testimonianze che riceviamo ad Ombre e Luci, dimostrano che, la disperazione dei padri benché si esprima in modo differente non è meno profonda di quella delle madri. Se lui è d’accordo, potrà proporgli di andare a parlare per un po’ da solo con la moglie promettendogli che, passato quel momento, lei li raggiungerà entrambi. È meglio che lei sia solo con i genitori durante questo primo incontro, perché certe parole e certi gesti non abbiamo altri testimoni. Lei avrà già conosciuto il bambino durante la visita medica effettuata senza la presenza dei genitori. Lo sguardo portato su questo neonato durante l’esame e anche il contatto fisico avuto con lui sono molto importanti se si vuole essere veramente il suo interprete e, se necessario, il suo avvocato. Insieme ai colleghi e al personale della maternità avrà fatto il punto della situazione allo scopo di sapere ciò che è stato detto e non detto e da chi. Saranno stati decisi allora gli esami da fare e i provvedimenti da prendere.
In questo tempo di grande smarrimento, molti genitori vorrebbero poter «sistemare» subito la maggior parte dei problemi per voltare pagina e riprendere una vita umanamente accettabile. Spesso la decisione di abbandonare il bambino, suggerita e persino consigliata da parecchi medici, viene presa perché non è stato proposto nient’altro. Al contrario, ciò che noi dovremmo fare è aiutare i genitori a non prendere decisioni definitive. Non c’è alcuna fretta, a parte quella di costruire intorno a questa famiglia sconvolta, una rete di rapporti caldi e affettuosi, pur nel rispetto della sua intimità.

Varie soluzioni possono essere prese in considerazione. Se il bambino sta bene e i genitori lo desiderano, egli può lasciare il reparto di maternità insieme alla mamma. È necessario però sapere che un neonato affetto da trisomia 21 si alimenta molto lentamente durante le prime settimane ed è scoraggiante per una mamma stanca e triste vedere il suo bimbo dormire quando dovrebbe poppare. Perciò se intorno ai genitori non c’è una famiglia e non ci sono amici capaci di assicurare un ricambio, non bisogna esitare a consigliare una temporanea permanenza al nido. Durante questo periodo 1 genitori potranno ritrovarsi con calma e riprendere le forze. Potranno anche fare progressivamente la conoscenza del loro bambino e saranno così più disponibili ad accoglierlo. Passate le prime settimane il neonato uscirà dalla sua letargia, si alimenterà normalmente e presto imparerà a osservare e a sorridere. Se i genitori non potranno o non vorranno accoglierlo a casa, il soggiorno al nido potrà essere prolungato fintanto che sarà necessario. La disponibilità e la capacità di accoglienza del personale ospedaliero e del medico permetteranno di trovare a poco a poco la soluzione migliore per tutta la famiglia senza che siano emessi giudizi o bmciate le tappe…

Bisogna trovare il modo di far sì che i genitori ‘desiderino” il loro bambino…
Il miracolo dell’amore.

Come mi diceva una brava persona proveniente dalla Tunisia, membro attivo di un’associazione per l’aiuto alle famiglie con un handicappato mentale, bisogna trovare il modo di far sì che 1 genitori «desiderino» il loro bambino… il miracolo dell’amore! I nonni, gli zii e le zie possono fare molto in questo primo momento e non bisogna esitare a sollecitarne l’aiuto: essi, molto meglio di noi, sanno bene ciò che può essere fatto oppure no, specialmente se il papà è assente, oppure se non vuole sentire ragioni.
In questi momenti è forse troppo presto per parlare delle associazioni di genitori o dei movimenti per gli handicappati: queste definizioni sarebbero difficili da accettare. Si può proporre invece, se si sente che ciò può aiutare, la visita di un amico che ha conosciuto la stessa prova. È bene aver sempre con sè qualche numero di telefono che permetta di chiamare una persona efficiente e discreta, capace di dare un’informazione, un consiglio o semplicemente calore umano.
Piuttosto che fare una lista di luoghi, proporre un programma di rieducazione e di scolarità, parlare di ciò che egli potrà o non potrà fare, bisogna far capire ai genitori che il loro compito più importante è scoprire la personalità del bambino e che soltanto loro possono farlo. Bisogna scoprire Lucia, Paolo, Gianluca, e per questo non c’è bisogno di libri dotti. Alcune frasi devono essere bandite, per esempio: «Sono bambini dolci, affettuosi, che amano la musica» il fatto che siano trisomici 21 non li rende affatto omogenei.

Non bisogna nemmeno tentare di consolare I genitori facendo loro capire che «almeno questo figlio non li lascerà e resterà vicino a loro negli anni della vecchiaia». No, la vita di questo bambino non appartiene ai genitori ma è loro affidata soltanto per un periodo. Sta a loro aiutarlo a sbocciare.

Mettere al mondo un bambino handicappato è profondamente doloroso. Noi che specialmente all’inizio siamo incaricati di stare vicino ai genitori abbiamo una responsabilità pesante. Lawenire del bambino e l’armonia della famiglia dipenderanno in gran parte dal nostro atteggiamento. Il neonato potrà essere abbandonato «in una casa fatta per quei bambini là » o potrà essere persino soppresso perché si riterrà che la sua vita non vale nulla, al contrario, potrà sbocciare perché sostenuto dall’amore di coloro che avranno saputo scoprire il tesoro nascosto nel profondo del suo essere.

Dott. Marie-Odile Réthoré, 1992
(tratto da O. et L. n. 81)

Lettera a un medico per la nascita di un bambino disabile ultima modifica: 1992-03-05T08:27:25+00:00 da Marie-Odile Réthoré

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